VOLONTARIATO:
NON AL POSTO DELLO STATO MA DEL MERCATO

Vorrei cercare di approfondire il significato sociale di quello che oggi si chiama Terzo Settore. Mi pare che pochi sappiano che parlare di Terzo Settore è parlare di diverse pratiche sociali:

Tali distinzioni ci saranno utili come linee guida per distinguere l'etica del dono dalla precarizzazione del lavoro, due realtà che non dovrebbero aver nulla a che fare fra loro.

Ci sono sempre state pratiche di solidarietà e di mutualità, basti ricordare le Società di Mutuo Soccorso dei primi del novecento e l'inizio del sindacalismo operaio, ma oggi più che mai, assistiamo ad una loro fortissima ripresa.

Non può non colpire, e far riflettere, il fatto che c'è una diminuzione della militanza politica, soprattutto giovanile, contemporanea ad una crescita delle pratiche sociali laiche legate al "dono", al "fare dotato di senso", al tentativo di tessere relazioni solidali in contrapposizione alle logiche individualistiche e del profitto.

Esistono purtroppo due strumentalizzazioni del significato sociale di queste pratiche:

Purtroppo vedo una pericolosa trasformazione, quasi un piegarsi di queste pratiche sociali, nate della logica del dono, alle logiche di mercato. E' evidente che un individuo che vive del proprio lavoro e che nel tempo libero svolge lavoro di volontariato segnala una scelta assai diversa dal giovane disoccupato che accetta un posto precario e sottopagato in una cooperativa sociale o un lavoro "volontario con rimborso orario". A questa ambiguità va posto rimedio soprattutto per evitare che il Terzo Settore diventi un terreno di scontro politico.

Credo sia necessario costruire una sfera pubblica più ampia della sfera statale che cresca non "al posto dello Stato" ma del mercato, e costituisca nuovi servizi. Questo significa che la spesa sociale non va diminuita ma potenziata. Per ottenere ciò è necessario:

E' opportuno quindi indirizzare il Terzo Settore verso quegli ambiti che lo Stato oggi copre poco o nulla (tossicodipendenza, handicap adulti, servizi agli immigrati) e verso la costruzione di una nuova generazione di servizi, in un ruolo di innovazione e non di concorrenza e smantellamento di quelli attuali .

Vanno valorizzate le pratiche di volontariato e di autotutela che svolgono un controllo sociale "dal basso" sui servizi che lo Stato rende al cittadino.

Va potenziato infine il complesso di queste pratiche sociali , per costruire tessuti comunitari, reti di solidarietà sociale che non lascino isolato il singolo cittadino nei suoi problemi. Questo è un terreno che non va lasciato in delega allo stato sociale.

Allo Stato dobbiamo chiedere di progettare e gestire bene i servizi sociali ma questo non risolve il problema della costruzione di relazioni sociali significanti tra gli individui.

In una situazione in cui lo sviluppo capitalistico, la corsa al benessere, il "mercato" non producono socialità ma la distruggono, la costruzione di relazioni sociali significanti non può essere demandata alle istituzioni extra statali classiche (la famiglia) o alla spontaneità delle reti territoriali (quanti quartieri non sono più un tessuto accogliente per gli anziani?) ma deve essere parte di un consapevole progetto politico che sappia valorizzare e sviluppare le mille forme e i mille gradi di consapevolezza in cui si esprime questo positivo "senso civico" questa militanza dalle forme inedite.

Di questo si devono far carico anche le forze politiche almeno quelle che fondano la propria ragione di esistere sui principi di eguaglianza e sul rifiuto della delega.

Voglio concludere con l'augurio a "Il Ritorno" di essere parte attiva e propositiva nell'ambito del volontariato in generale così come dimostra di esserlo nel suo specifico settore di intervento sociale.
 

Giuseppina Minotti

(consigliere comunale di Rifondazione Comunista)
 

Seregno, 23 febbraio 1998