Già negli anni '60, quando nella taverna di casa Rizzoli in via Gesù, e Liuba non c'era ancora,
si proiettavano dei film in anteprima (giornalisti di destra, il prefetto, qualche fragoroso avvocato
e anche don Pisoni), sui tavoli della cena troneggiava il "Chianti Oriana Fallaci" che veniva dalla
sua tenuta di Greve.
Era arrivata a Milano, verso il '50, quando l'Europeo era traslocato in piazza Carlo Erba.
Carina, minuta, begli occhi celesti, aveva fatto il liceo classico a Firenze ed era stata staffetta
partigiana: il padre un antifascista duro, poi in galera e valoroso comandante partigiano, la madre
figlia di uno scultore anarchico.
Il padre che lei nominava spesso, chiamandolo "pà" o "el mi babbo", si era poi messo a fabbricare
mobili fiorentini, cosiddetti "in stile".
Subito dopo la Liberazione, Oriana aveva guidato una rivolta studentesca al liceo Galilei di Firenze
contro un professore di lettere che era Manlio Cancogni, e certo non per ragioni di fascismo, perché non
era mai stato fascista, ma perché (ed è ignoto il motivo) lo considerava un rompiballe.
Allora fu lei ad iniziare la moda dei graffiti sui muri.
"Cancogni, la tu' mamma!", classico e irriverente modo di dire toscano per indicare un'ascendenza vergognosa
dal lato materno.
A Firenze fece qualche anno di medicina, fu cronista del Mattino, poi venne a Milano, scrisse per
l'Espresso, per Epoca, e ancora per l'Europeo.
Lo zio Bruno Fallaci, un giovane intellettuale fiorentino brevemente sposato con Gianna Manzini
e più tardi convivente con Olga Villi, insegnò a Oriana qualche trucco giornalistico e la raccomandò a
Rizzoli.
Ex caporedattore del Corriere fino al 25 luglio, fu ottimo dal punto di vista giornalistico, ma presto
divenne famoso per il pessimo carattere, il gusto della rissa e le ire funeste che Oriana ereditò da
lui.
Mentre la smania del protagonismo ("io, io, io e sempre io") era già insita in lei.
Oriana aveva l'"istinto del successo" come diceva Buzzati di qualche amico che ce l'aveva anche lui.
E allora puntò sul mercato internazionale, diventando una prestigiosa PR di se stessa, facendo in
modo che i suoi articoli fossero venduti in tutto il mondo, e diventò presto una diva.
"Montanelli è il più grande giornalista italiano" diceva, "ma lo conoscono soltanto in Italia".
E ora sta per scoppiare il grande evento editoriale dell'anno, il suo nuovo romanzo che le è costato
cinque anni di fatica, e che è già prenotato a scatola chiusa in tutto il mondo: circa la sua tiratura
si fanno già cifre da capogiro.
"Un grande affresco di vita contemporanea, tipo 'Guerra e pace'" viene definito dai pochi rizzoliani
che l'hanno letto prevedendo enormi guadagni.
E a proposito di questo suo affresco è divertente ricordare che a New York due anni fa fece arrestare
Lanfranco Vaccari, che stava per lasciare il posto di corrispondente dell'Europeo per diventarne
il direttore, perché secondo lei aveva scassinato il suo ufficio per leggerlo in anteprima, e del
tutto innocente dovette passare una notte al commissariato.
Il suo enorme successo Oriana lo ebbe in America.
Infatti quel che fece in Italia non fu granché degno di nota.
A cominciare dall'attacco a Natalia Aspesi, ospitata per una notte a Greve per parlare di Lettera
a un bambino mai nato, "un libro politico, 700.000 copie, tradotto in 14 lingue compreso l'arabo
e il giapponese", cioè il suo dialogo quotidiano (condito con molta melassa) con "questo esserino
che le cresceva dentro", e le patetiche fiabe che lei gli raccontava, e "che più che un libro è un
urlo".
Sul Giorno la Aspesi scrisse che non le era piaciuto.
Allora Oriana le dedicò un pezzo su Playboy rinfacciandole la minestrina e i cuscini che le aveva
offerto quella notte, e volò basso parlando delle confidenze di Natalia sui suoi problemi ovarici
e sessuali.
La Aspesi le riconobbe una grande abilità nel presentare i fatti a modo suo.
Oriana era già divisa da Panagulis ed era arrabbiatissima con lui perché le aveva lasciato dei calzini
da lavare.
Le confidenze sessuali gliele aveva fatte Oriana.
I giornalisti volevano intervistare Natalia, volevano che scoppiasse una guerra di dame, ma la Aspesi
non disse una parola.
Quando poi morì Pasolini, basandosi sulle chiacchiere di un noto mitomane, chiamato "Cavallo pazzo",
Oriana si schierò dalla parte di chi affermava che era stato ucciso dai fascisti, e perse la causa.
Una grande scenata la fece al Bocca quando le recensì il suo libro Niente e così sia (1970), chiamandola "Oliala
Fallaci".
Un libro che però vinse il premio Bancarella.
Se la prese anche con Giuseppe Ferrara, regista dello sceneggiato "Panagulis vive" in corso di
trasmissione sulla seconda rete RAI.
Affermava che quel filmato era un "plagio", "un saccheggio di rara impudenza e arroganza in quanto
ricalcava sfacciatamente sia "Un uomo" (quasi un milione di copie), che l'ultimo capitolo di "Interviste
con la storia"".
"Perché gli sceneggiatori hanno copiato tutto, anche i miei dialoghi" e via di questo passo.
"Niente di vero," ribattè Ferrara.
"Per fortuna il mio sceneggiato non ha nulla a che vedere con i travisamenti del personaggio Panagulis
compiuti dalla Fallaci.
Per fortuna non ho "ricalcato" le pagine di "Un uomo" dove Alessandro ubriaco orina lungamente sulle
auto in sosta in un famoso piazzale recitando le sue poesie, o dove sferra calci nel basso ventre
di lei procurandole un aborto".
Il regista poi non mancò di farle tanti auguri per il film che lei voleva fare su Panagulis "al
quale tra l'altro aveva messo in bocca discorsi di una rara immaturità politica".
E avrebbe voluto Robert Redford come protagonista.
Sempre Ferrara disse che Oriana chiamava la madre di Panagulis "una megera ciabattante", mentre uno
dei più grandi poeti greci l'aveva ribattezzata "Madre Grecia", e così continua; "Ho un nastro di
una lunga intervista e quaranta nastri delle interviste fatte in Italia e in Grecia con quelli che
sono stati più vicini ad Alekos.
Athina, la madre, è una donna straordinaria".
E avanti.
Anche i familiari di Panagulis polemizzano con Oriana. Il fratello Statis rabbrividisce a sentirne
il nome.
Ad Atene, ricorda Ferrara, la chiamano "Melissa dell'informazione, sciacallo femmina, colei che scrive
con gli zoccoli".
Tanto gli amici quanto alcuni oppositori politici di Panagulis non riconoscono in "Un uomo" il protagonista,
che nel libro è un attentatore imbranato, un goliardo della resistenza prima e della politica poi,
un ragazzetto coraggioso, ma al limite del più incosciente masochismo, un anticomunista piagnucoloso,
sempre appeso alla mano e ai consigli della "ninfa egeria della democrazia".
"«Una donna» invece che «Un uomo» sarebbe stato il titolo giusto del suo best-seller.
Fece poi un'intervista al presidente della repubblica Giovanni Leone nell'aprile del 1973.
Nell'introduzione in cui ce lo descrive, lei lo trova "di un'intelligenza libera come un gabbiano,
misteriosamente scampata alle insidie dei dogmi e del potere".
Umanamente "è ricco di finezze sottili, eleganze impalpabili".
Inoltre, sentendo che al successo arrivò suo malgrado e scoprì se stesso quando lesse le lettere
dei condannati a morte della resistenza, conclude che Leone è ciò che gli inglesi definirebbero a
late blossomed tree, un albero fiorito tardi.
E avanti con una valanga di domande per la verità appropriate, se è stato fascista, monarchico, clericale,
e dalla parte del "gabbiano" una valanga di ben calibrate risposte: esempio, napoletano con l'accento
anche se ha preso lezioni di dizione, ma non superstizioso, mai che abbia tenuto in tasca un amuleto,
un cornetto. E con un ultimo pensiero sulle donne: "Le donne io le adoro. Sono il più forte argomento
per dimostrare l'esistenza di Dio", finisce l'intervista late blossomed tree.
Oriana si dichiara grande ammiratrice di Jack London, di Hemingway (ma di un Hemingway commosso,
con la lacrima sul ciglio) e infine di Malaparte da cui eredita il lato macabro e truculento, vedi
il Vietnam.
Prima andò nel nord che la entusiasmò, poi consigliata dall'alto a visitare anche quello del sud,
se voleva restare negli Stati Uniti, lei ci andò, ma adeguandosi al punto di vista americano, così che
i suoi reportages sembravano dettati dall'ufficio stampa del Pentagono.
Strombazzatissimi questi suoi viaggi: è la prima volta che una giornalista va alla guerra in Vietnam,
dimenticando che ce n'erano già state altre, e di grosso calibro come Mary McCarthy e Susan Sonntag.
A proposito del lato macabro ereditato da Malaparte chi avrebbe mai immaginato che ad averli addosso
i morti tengono un gran bel calduccio? Ed ecco un mucchio di sabbia da cui spunta una manina gialla,
ecco i morti scaricati dagli elicotteri "chiusi dentro in sacchi di plastica argentata che puzzavano
come la coscienza degli uomini che li avevano mandati a morire", ecco il bel ragazzo biondo che sale
sull'elicottero prima del suo e ha un po' di paura perché in alto c'è vento, ma lei lo incoraggia,
e quando scende dal suo poco dopo, immaginate cosa le capita? Che atterra su una testa decapitata.
Ahimè, appartiene a quel bel biondino spaventato dal vento.
Quando poi viene ferita a Città del Messico durante la rivolta studentesca, scambiata per una "agitadora" e
tutti sordi alla sua dichiarazione d'essere invece una "periodista", due uomini le fanno scudo coi
loro corpi, e vengono uccisi tutti e due.
"Ce l'hanno con me perché non sono morta e sono antipatica come tutte le persone scomode, e mi odiano
perché sono un mito, mi conoscono perfino in Lapponia, e in Romania ci sono tante bambine che si chiamano
Oriana.
Poi faccio rabbia perché sono brava in un mestiere monopolizzato dagli uomini".
Di sé dice ancora: "Mi sono formata alla scuola della fregatura", pensando ai suoi primi articoli
a Firenze.
Quello che non si può negare è la cura professionale con la quale si prepara alle interviste, già a
conoscenza di vita morte e miracoli della sua vittima (è stata la prima ad usare nel '56 sofisticati
registratori).
"Accettare la sua intervista è stato l'errore più stupido della mia vita", disse l'allora segretario
di Stato americano Kissinger che si mise a tuonare sul ruolo degli Stati Uniti nella battaglia contro
il male comunista e poi si divertì a descrivere con brio l'allora presidente degli Stati Uniti Gerald
Ford, incapace d'intendere e volere e anche fisicamente malmesso.
Una volta pubblicata l'intervista, Kissinger disse che il suo massimo desiderio era di frantumare
il naso a quella giornalista (che nel giugno '78 riceverà la laurea ad honorem in letteratura da
una delle più prestigiose università americane, il Columbia College di Chicago).
Di incidenti ne ebbe anche in America, quando andò a intervistare Bob Kennedy allora senatore, e
partendo dalla famosa frase sul portasigarette del fratello John ("perché non te dopo di me?"), lo
interrogò sulla sua corsa alla presidenza.
"No," lui le aveva risposto.
"Volevo diventare senatore non presidente, non considerando assolutamente l'opportunità di essere eletto".
Oriana invece lo descrisse in corsa verso la presidenza.
Lui protestò subito con violenza.
Pare che sentendo qualsiasi parola che cominciasse per fall, facciamo "fall out", si mettesse a inveire
contro la "Fallaci".
Al giornale allora venne richiesta la bobina dell'incontro e alla domanda fatale si udì soltanto
un grugnito.
Ma chi era dalla sua parte disse che Oriana aveva usato la tecnica degli americani, ben noti per
esasperare un po' i toni.
Un altro personaggio di cui lei s'invaghì fu un astronauta americano, tale Aldrin, quello che aveva
guidato il modulo lunare.
Lo spupazzò in Italia, così lei diventò persona non grata alla Nasa, e non la invitarono a vedere
la partenza.
Ma Ruggero Orlando, allora caporedattore della RAI Corporation di New York, se la portò dietro, e
lei poi scrisse contro le insipide consorti degli astronauti.
Probabilmente perché sulla luna non aveva potuto andarci lei.
Ancora oggi se si sentono urla in un vagone ristorante, si può essere sicuri che è l'Oriana che
se la prende col cibo, o col cameriere o col maìtre.
Nella sua bellissima tenuta valutata un bel numero di miliardi dove produce vino e olio e ha molte
cascine, ha litigato con tutti i contadini, e resistendo a uno di loro che non voleva che sconfinasse
ne] suo territorio (o qualcosa di simile) si prese un ceffone che la mandò all'ospedale.
Acutissimi i suoi strilli quando, durante un festival del cinema a Venezia, disse che le avevano
rubato tutti i gioielli.
Panico fra gli ospiti e soprattutto nel personale.
Poi il clamore si spense perché lei li trovò tutti in camera sua.
Di me e del mio mestiere per la verità una volta aveva parlato bene, ma mi era rimasto come un presentimento
che questa benevolenza non sarebbe durata.
Infatti qualcosa la morse quando tornai dalla Cina.
Vedo la cameretta di Mao nella scuola dove aveva insegnato, la sua branda e la zanzariera, i suoi
modesti bagagli oltre al cappotto che usò durante la lunga marcia, e poi gli asili perfetti, il commovente
museo dedicato appunto alla marcia.
Niente più prostitute, ladri niente, omosessuali? Qui stentano a capire la parola, ma non ce n'è nemmeno
uno.
Nessuno ruba, tutti rifiutano la mancia, il sindaco spazza le strade perché è la sua settimana di
lavoro.
Insomma ne tornai entusiasta, e lei si infastidì; così sotto il soffitto fiorito del mio soggiorno
in via Brera, mi fece quel che si dice una scenata che poi trascrisse.
Era furibonda per come avevo parlato della Cina rossa, e di Mao e del culto che ancora lo circondava.
Mi descrisse con la testa rovesciata all'indietro, e la bocca dipinta di un rosso vivo spalancata
nel raccontare queste meraviglie.
A lei sembravo una pazza in preda a un delirio isterico, presa com'era da una rabbia senza nome,
da una viscerale furia anticomunista.
Poi non la vidi più, ma mi fece ridere quello che raccontò Renzo Cianfanelli, corrispondente da New
York, quando Ostellino, allora direttore del Corriere, la incarica di mandargli l'articolo (che fece
furore) su Gheddafi.
Si era durante un week-end e Cianfanelli era nella sede del Corriere al ventiduesimo piano, col condizionatore
spento perché lo chiudevano il sabato e la domenica.
Lei allora aveva uno schiavetto paracadutista che gli portava una cartella per volta e tutto il giorno
Cianfanelli doveva fare su e giù i 22 piani a prenderla.
Ma lei voleva anche il bozzone del giornale per dare il suo placet.
Bastava che lei desse il suo numero di telefono e sarebbe stato tutto più facile.
No, quello lei non lo dava, per paura che la CIA o gli arabi la minacciassero.
Ebbe il bozzone e lo approvò.
In fondo cos'era stata tutta quella fatica per il paracadutista e il corrispondente del Corriere? "Un
niente, e così sia".