Non per soldi ...

Beautiful Oriana

Quarta parte

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Oriana Fallaci

Nessuno invidia la Fallaci e il suo patrimonio, perché la ricchezza in sé non può assolutamente essere considerata una colpa. E pazienza se qualcuno in giro avanza l’ipotesi che, a lungo andare, e soprattutto dopo un decennio di inattività editoriale, la signora Fallaci abbia avuto bisogno di rimpinguare le casse per non finire in bancarotta. Ciò che le si chiede invece è di essere onesta con i propri lettori: non venga a raccontarci che rischia di vendere matite sul marciapiede nel momento in cui vanta un patrimonio da svariati miliardi. Come la mettiamo con la casa nel centro di Manhattan, le due case in Italia (di cui una di 23 camere), la tenuta che produce il Chianti e l’olio, il Dover Delicacies, i finissimi vini, le sigarette speciali, le collezioni del seicento-settecento e l’antiquario-libraio? E, soprattutto, non venga a piangere così tanto quello che chiama l’Esilio, con pagine e pagine che descrivono New York come "Refugium Peccatorum", come "asilo dei fuoriusciti", e ad insegnarci come “l’esilio-richiede-disciplina-e-coerenza”  perché il suo non lo è affatto e la coerenza, di certo, non è il suo forte. Lei che conosce cosi bene la storia (!) dovrebbe sapere che l’esilio è miseria e disagio. Ed entrambi le sono sconosciuti. L’esilio è impossibilità di tornare in patria e vedere i familiari. Di quale esilio allora sta parlando se è stata proprio lei ad informarci che “Quando mi manca Firenze anzi la mia Toscana, cosa che mi accade con ancor maggior frequenza, non ho che saltare su un aereo e venirci (…) A Firenze, anzi nella mia Toscana infatti, ci vivo più di quanto si creda. Spesso, mesi e mesi o un anno di fila. Se non si sa è perché ci vengo alla Mazzini”. E poi perché non raccontare le cose come stanno? La signora Fallaci sta negli Stati Uniti perché la sua malattia lo richiede. Il suo team di oncologi si trova là. Quindi le saremmo grati se la smettesse con la retorica che la paragona a Garibaldi, agli antifascisti scappati negli USA, ecc. ecc.

Hitler spesso diceva “volete che i vostri figli facciano da schiavi ai russi?”, la Fallaci invece dice “volete che le vostre figlie siano costrette al velo e i ragazzi obbligati ad inchinarsi alla mecca?” . È legittimo quindi domandarsi se al giorno d’oggi  basta plagiare il "Mein kampf", sostituendo alla parola “ebrei” quella di “musulmani”, per far fortuna. Perché se è effettivamente cosi, sarebbe gravissimo. E si riproporrebbe con forza il dibattito sui principi etici che devono (o dovrebbero) stare alla base del successo. È ancora più legittimo domandarsi se è corretto che la suddetta autrice - che della miseria, del bisogno, della povertà, oggi non sa proprio nulla - prenda in giro gli immigrati che sbarcano morenti, o cadaveri, sulle coste dell’Italia (costoro, d’altronde, costituiscono una minima parte dell’immigrazione illegale. Per chi non lo sapesse, e nonostante lo strombazzamento dei media, il 70% degli immigrati clandestini entrano in Italia con visti turistici o concessi illegalmente, oppure con documenti falsi) o a deridere un “figlio di Allah” costretto a vendere le matite o a pulire ai semafori per strada in pieno inverno. Forse la Fallaci è convinta che queste persone si divertano così, che preferiscano fare questo: rischiare di morire in mare aperto e finire su qualche marciapiede a vendere matite, e il tutto in nome del grande complotto binladiano per “invadere” l’Europa. Ed è cento volte più legittimo, a questo punto, chiedersi se questa persona sia quella più adatta a parlare per conto del popolo italiano, a dire le cose che la gente pensa ma non dice, a lamentarsi della “carne che non è più carne, pesce che non è più pesce” e perfino del rincaro prezzi dovuto all’Euro.

Ma forse la Fallaci pensa di prenderci tutti in giro, cosi come un giorno la prese in giro Enrico Lucherini, famoso press-agent, che per ottenere la copertina dell’Europeo per il suo cliente, la convinse che  Laurent Terzieff era malato di leucemia e che quella che gli avrebbe fatto sarebbe stata la sua ultima intervista. Peggio ancora, a sentire Pietro Petrucci, mandato dall’Europeo nel '79 a seguire  la guerra d’indipendenza eritrea assieme al fotografo rizzoliano Gianfranco Moroldo, quest’ultimo gli disse: “Ricordi il cazziatone che Oriana raccontò di aver fatto al Negus durante un’intervista? Non ci fu nessun battibecco. Noi eravamo come cani in chiesa: Oriana faceva le domande a debita distanza e il piccolino sussurrava le risposte nella sua lingua. Tutto lì”. Ma, al di là dall’atteggiamento (o presunto tale) della Fallaci, io trovo scandaloso che la stampa la assecondi tentando di dipingerla come un fachiro messianico che si sacrifica per una buona causa. La Fallaci descrive cose che non può assolutamente vedere oggi, come la povertà, la disperazione, il caro vita, perché l’unica cosa che può effettivamente vedere è il suo razzismo da salotto ottocentesco che le frutta miliardi e l’onda di xenofobia che adesso sta comodamente cavalcando.

Non a caso, padre Carmine Curci, missionario comboniano, testimone delle guerre in Africa e neo-direttore di Nigrizia disse: “Lei parla come una persona che abita ai piani alti di un grattacielo, vede e giudica le cose con la sua cultura di persona benestante del Nord. Non la sfiora nemmeno che altri punti di vista possano avere la stessa dignità culturale dei suoi. Il Sud è un'appendice, un incidente della storia da utilizzare per i propri interessi, al massimo per aiutare perché restino subalterni in eterno ai giochi economici occidentali. Noi missionari anziché al sesto piano abitiamo al piano terra, quello della gente comune. E ora addirittura stiamo emigrando nelle strade, dove cammina gente senza speranze e senza futuro degno di essere vissuto da esseri umani. E le assicuro che a leggere il mondo dal punto di vista di questa gente, si vedono cose in modo del tutto diverse dalle lenti di Bush che tanto piacciono alla Fallaci”. Ecco allora che ritorna in mente lo show di Sabina Guzzanti, la quale – imitando la Fallaci – disse: “Voi dovete capire la mia fatica, di vivere in un attico a New York che mi costa 5.000 dollari al mese solo di spese condominiali, e la fatica di non aver scritto romanzi per più di dieci anni, e senza mai poter parlare. Poi, alla fine, quando si parla si parla e ce la si prende col primo che capita. Questa volta è toccato ai musulmani, la prossima volta saranno i cinesi e la prossima ancora i marziani. Questi piccoli omuncoli verdi io li vedo girare sopra le nostre teste con le loro astronavi, e vi dico che devono smetterla di cagare sui monumenti di Michelangelo e Donatello”.

La rabbia, diceva la Fallaci, nel suo primo famigerato articolo, non sa se le giova. Al suo portafoglio però, certamente. Aveva inoltre affermato, alla fine di quell’ articolo: “Non chiedermi più nulla. Meno che mai, di partecipare a risse o a polemiche vane. Quello che avevo da dire l'ho detto. La rabbia e l'orgoglio me l'hanno ordinato. La coscienza pulita e l'età me l'hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta”. A giudicare però dai suoi vari interventi in questi ultimi anni, non sembra affatto che non voglia partecipare a risse e polemiche, anzi. Si vede benissimo che si diverte ad accenderle, ad alimentarle, a guadagnarci sopra. Dedicando una risposta infuocata ad Agnoletto e commentando lo sputo di Totti ha dimostrato di cercare disperatamente un’occasione per polemizzare. Non a caso, commentò il compianto Terzani, “Per una che un anno fa ci aveva promesso di stare zitta, mi pare che blateri anche troppo”. Continua a sfornare a raffica libri che non sono altro che manipolazioni del suo primo libro sotto un altro titolo. Tutti basati, come giustamente faceva notare Luciano Andreotti, su quello che Quintiliano chiamava congeries... verborum ac sententiarum idem significantium ovvero accumulo di parole e pensieri che significano la stessa cosa. Un esempio dal primo libro? Dire “Noi italiani, noi francesi, noi inglesi, noi tedeschi, noi austriaci, noi ungheresi, noi slovacchi, noi polacchi, noi scandinavi, noi belgi, noi spagnoli, noi greci, noi portoghesi” al posto di “noi europei” oppure nel secondo libro dire  “Da Mazzara a Siracusa, da Siracusa a Taranto, da Taranto a Bari, da Bari ad Ancona, da Ancona a Ravenna, da Ravenna a Udine, da Genova a Livorno, da Livorno a Pisa, da Pisa a Roma, da Roma a Salerno, da Salerno a Palermo” al posto di “In Italia” . Si fa in fretta a riempire le pagine, così. A questo aggiungiamo il fatto che parla di culture, società, politica, storia, religioni e tanto altro ancora, senza servirsi delle ricerche, delle documentazioni e delle argomentazioni degne di simili tematiche ma attraverso stereotipi e pregiudizi dell'uomo della strada. Non c’è da meravigliarsi quindi se riesce a sfornare quei libri cosi velocemente. “Quando scrivo un libro io mi comporto come una donna incinta che pensa al feto nel suo ventre e basta. Non conta che lui” . Ma di libri, la Fallaci ne sforna più di un abitante del terzo mondo. Si moltiplicano come conigli (per non usare il termine che ha usato lei per descrivere i musulmani: "ratti"). Ha impiegato solo due settimane per scrivere “la Rabbia e l’Orgoglio”, ripubblicato come “la Forza della Ragione” e ultimamente come “Oriana Fallaci intervista Oriana Fallaci”. Non oso nemmeno pensare al tempo che ha impiegato per scrivere questi ultimi due. Chissà con quale titolo verrà ripubblicato, ancora una volta, quell’unico libro che la sua mente è riuscita a partorire in questi anni. Forse sarà “Lettera ad un libro mai nato”. E che non avrebbe dovuto nascere. Perché un giorno i nostri nipoti lo guarderanno esterrefatti e ci chiederanno come mai sia stato possibile che abbia visto la luce.

Sherif El Sebaie (Collaboratore di Aljazira.it)
Italia, 3 ottobre 2004
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