L'abbandono dell'industria e le grandi manovre per il controllo delle società che gestiscono tlc, acqua ed energia, mentre parte alla Camera il riordino del settore energetico

Tutti alla guerra della luce

sommario

I giochi si fanno pesanti sullo scacchiere dell'energia e delle società multiutility. Ciò che guida il ballo è il luccichio e il tintinnio dei soldarelli (pochi o tanti) che ogni santissimo bimestre cadono dalle tasche delle famiglie: italiane, europee e in prospettiva dei paesi dell'Est, e dai bilanci delle imprese su scala continentale. Un rivolo di monete sonanti che si trasforma presto nel ruscello, nel torrente, nel fiume degli introiti di chi controlla l'erogazione di acqua, luce e gas. Lo stesso per i telefoni: fissi e mobili, con le loro bollette o con le schede prepagate. Un business che si alimenta da solo e che nessuno può fermare.

Un giro di affari che (tranne per il disgraziato caso delle licenze Umts, che finora non hanno prodotto nulla, meno che mai profitti, e che sono state più che altro una specie di tangente) non richiede altri investimenti, sia perché gli "imprenditori" italiani non hanno mai fatto ricerca di tasca loro, sia perché le infrastrutture le aveva abbondantemente pagate lo Stato, cioè la collettività, che le ha poi cedute alle società privatizzate. E' avvenuto per Telecom, è avvenuto per Autostrade, per aeroporti-ferrovie-metropolitane, per Enel and so on. E poi, terza ragione: le multiutility non hanno bisogno di lavoratori dipendenti. Basta dare la stura alla sequenza degli appalti e dei subappalti, delle microsocietà senza tutele-senza diritti-senza sindacati, delle cooperative di servizi fatte da ex dipendenti, da prepensionati riciclati, da co. co. co imprenditori di se stessi, e il gioco è fatto.

Questa è la ragione vera, profonda, che ha portato la famiglia Agnelli a disfarsi dell'industria dell'auto, diventata una grana che continuava a richiedere soldi, quando i soldi pubblici non c'era più modo di mungerli e quando il livello di obsolescenza e di insostenibilità del trasporto urbano individuale ha cominciato a premere sull'esigenza di sviluppare nuovi progetti e nuovi processi. Come quella seccatura del motore a idrogeno che richiederebbe tanti di quei soldi in ricerca da prosciugare la cassaforte di famiglia. Meglio, allora, molto meglio, lasciar perdere l'auto (che tanto se ne occupano gli americani che sono abituati a buttare milioni di dollari in tecnologie e in innovazione, sperimentate prima di tutto nell'industria militare), e volgere lo sguardo rapace a quel rivolo tintinnante che sgorga alla fine di ogni contatore e di ogni rubinetto, tutte le volte che una massaia accende la luce o lava un piatto o mette la pentola sui fornelli.

Ma i giochi accendono la fantasia e l'avidità di molti, e la torta e le infrastrutture in fondo non sono così tante, né si possono replicare le reti elettriche o idriche o telefoniche. Per questo era necessario spezzettare l'Enel. Per questo il governo di centrodestra si appresta a varare un nuovo "riordino del settore energetico", dopo aver venduto per otto miliardi e mezzo di euro le società di gestione delle centrali elettriche, agganciando così al carro delle multiutility imprenditori e cordate che se tenute fuori avrebbero potuto dare molto fastidio: la famiglia Agnelli e la famiglia De Benedetti; i Tronchetti Provera con la Telecom e i Benetton con Autostrade; quella Hdp dei Romiti a cui è approdato Franco Tatò; la Hopa di Emilio Gnutti - già socio di Roberto Colaninno - che sta diventando il mestolo di tutte le minestre societarie (con aggregazioni che vanno dalla "rossa" Unipol a Silvio Berlusconi). E poi le altre società europee, ché l'allargamento e la penetrazione a Est nessuno può credere di farlo da solo; oltre a una manciata di ex municipalizzate in crisi di espansione.

Così i movimenti societari, il lascia e piglia sul mercato borsistico, le nuove aggregazioni e le partecipazioni incrociate, si vanno districando e si aggrovigliano in un disegno che è difficile seguire. Anche perché ogni cordata (come si può vedere dalle schede a fianco) si porta dietro una congrua zavorra bancaria, spesso presente con quote di minoranza ma il più delle volte decisiva perché coinvolta in altre operazioni di finanziamento o di copertura dei gruppi "industriali" di riferimento.

A illuminare una tale "lettura opaca" di quello che si muove sottotraccia sul mercato dei capitali e delle partecipazioni societarie, si accende ogni tanto un'indiscrezione. I più informati (i più vicini al potere) sono di solito "il Foglio" di Giuliano Ferrara e "il Sole 24 Ore" di Confindustria. Il Foglio è stato il primo, qualche giorno fa, a parlare di manovre in corso e stati di agitazione tra la francese Edf, che vorrebbe e non vorrebbe mettere altri soldi nella cordata italiana, e le società multiutility tedesche Rwe ed E. on, interessate a una possibile ricomposizione e allargamento del capitale di Italenergia (dopo la fusione di quest'ultima con Edison, l'accorciamento della catena di controllo e la quotazione in Borsa) a nuovi partner industriali (si parla di 1,2 miliardi di euro). Italenergia da parte sua ha assoluto bisogno di nuove risorse, sia a causa del cumulo dei debiti che la newco ha contratto a suo tempo per lanciare l'Opa (5,6 miliardi), sia per effetto del prestito concordato dal gruppo Fiat con le banche, a copertura dei 6.500 miliardi di indebitamento da cui la Fiat deve obbligatoriamente rientrare, secondo i termini e i tempi fissati da queste ultime. E intanto ieri, primo giorno di Borsa della nuova società quotata, i titoli sono finiti a meno 1, 12 per cento.

Gemma Contin
Roma, 3 dicembre 2002
da "Liberazione"