Al via un riassetto del settore energetico che è già fallito:

L'arretratezza strategica delle privatizzazioni

Il liberismo straccione non ha prodotto concorrenza e non ha abbassato i prezzi

Quattro anni dopo la prima liberalizzazione del mercato dell'energia elettrica voluta dal centrosinistra con il decreto Bersani, arriva un altro duro colpo dal provvedimento che il governo ha depositato in Parlamento in questi giorni (Riforma e riordino del mercato elettrico).

Alla Confindustria, che ovviamente lo applaude, non sono bastati i decreti che Marzano ha emanato in questi 20 mesi di governo: quello che consente di costruire centrali elettriche senza più sottostare ai vincoli dei Comuni e dell'ambiente, quello che consente la costruzione in mare di pericolosi impianti di rigasificazione, quello per la costruzione di reti private per il trasporto del gas. Oggi alza il tiro e ottiene tutto e di più.

Il governo cioè, con questo provvedimento, sancisce che la produzione, l'import export, la trasformazione, la commercializzazione dell'energia elettrica, non sono più un servizio pubblico ma una attività svolta in regime di mercato libero. In altre parole, gli italiani non avranno più diritto ad avere una fornitura elettrica come principio universale, con tariffa unica su tutto il territorio nazionale, ma più brutalmente anche l'energia elettrica viene affidata alla legge del mercato, per cui solo chi ha i soldi per pagarla continuerà ad averla (dimenticando che alla lunga questo sistema, come è avvenuto in California, priverà dell'energia tutti quanti).

L'imbroglio del mercato

Dopo solo quattro anni di mercato liberalizzato i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la concorrenza che doveva ridurre le tariffe non c'è stata, per cui queste rimangono alte e le imprese hanno avuto invece bilanci con lauti profitti; i Comuni sono stati resi impotenti per cui le centrali possono essere costruite ovunque; l'occupazione e il lavoro si è ridotto notevolmente nel settore; la nostra dipendenza negli approvvigionamenti dall'estero rimane uguale: importiamo un po' meno petrolio ma più gas, con l'aggravante ambientale dei rigasificatori. In questi anni di mercato liberalizzato, come del resto è avvenuto con assicurazioni, prodotti petroliferi, banche, ecc. ecc., è apparso chiaro che l'interesse dei privati non coincide con quello collettivo del Paese.

Il riconsegnare quindi un bene indispensabile alla vita di ogni giorno come l'energia nelle mani dei privati, per farne oggetto del loro profitto, era e rimane un grande errore. E' necessario perciò lanciare l'allarme e riprendere l'iniziativa politica con i lavoratori, con il movimento e in Parlamento, per riportare al centro dell'attenzione del Paese i rischi che questo processo liberista produrrà nei prossimi anni.

Questa legge del governo, di riforma e di riordino, abbandona definitivamente qualsiasi idea di programmazione, di sviluppo sostenibile, non costruisce nessuna azione per il risparmio energetico, non sviluppa la ricerca sulle energie rinnovabili, non si pone il problema della riduzione delle emissioni in atmosfera, se non tramite l'utilizzo del gas e del carbone, che viene rilanciato eliminando gli aumenti previsti dalla carbon tax.

Indietro di 40 anni

Nel lanciare questo allarme va ricordato che nel 1962 le 1462 imprese elettriche private furono nazionalizzate perché non erano in grado di garantire lo sviluppo del Paese, ma soprattutto perché venne affermata la scelta politica: l'energia elettrica non era un bene su cui speculare e fare soldi. Con questa legge di riordino del governo si fa un salto indietro di quarant'anni riportando il Paese e la sua economia alle stesse condizioni di allora.

Già i primi segnali di questi danni sono visibili, per cui prima che sia troppo tardi bisogna invertire la rotta: va quindi riproposta una politica energetica nella quale lo Stato torni ad essere protagonista per promuovere un modello di sviluppo economico, sociale, ambientale a basso consumo energetico, nel quale le fonti rinnovabili non siano più marginali, per garantire una politica energetica universalista, collocabile come un bene indispensabile da erogare in regime di servizio pubblico, per una politica energetica fondata sulla innovazione tecnologica, la ricerca, il lavoro e l'occupazione.

L'iter parlamentare è appena iniziato e già incontra i primi ostacoli, visto che Regioni, Province e Comuni hanno presentato decine e decine di emendamenti al disegno di legge del governo. Probabilmente non sarà brevissimo, per cui è necessario da subito organizzare iniziative e confronti con tutti i soggetti disponibili, per cambiare la struttura e le finalità di questa ulteriore riforma liberista del governo Berlusconi.

Edo Rossi
Roma, 3 dicembre 2002
da "Liberazione"