Nota per la discussione in vista dell’Assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti

Il 22/23 febbraio è convocata a Terni dal PRC una assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti

Terni 22/23 febbraio 2003

Per il 22/23 febbraio è convocata a Terni una assemblea nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori comunisti. Non una Conferenza che avrebbe richiesto un percorso molto più lungo e assai più impegnativo ma una Assemblea che serva a fare il punto sulla mutata situazione sociale e politica (dalla guerra permanente alla forte ripresa di conflitto sociale),  che ridefinisca nella nuova situazione gli elementi progettuali individuati alla Conferenza di Treviso e che indichi le priorità di lavoro politico per la prossima fase.  Una sorta di riunione allargata del Dipartimento lavoro che abbia una grande attenzione alla operatività politica. Quello che segue non è quindi un documento organico da approvare o respingere ma semplicemente una traccia di ragionamento e di proposte politiche su cui costruire gli attivi preparatori a livello locale. Anche per questo, il quadro dei rapporti politici, trattato nell’ultima direzione nazionale, è volutamente lasciato ai margini.

La guerra infinita

La guerra infinita ed indefinita è il dato caratterizzante la situazione a livello mondiale. La guerra infinita è infatti la barbarica risposta che le elites mondiali forniscono alla crisi sociale ed economica della globalizzazione neo liberista e alla sua stessa perdita di capacità egemoniche. L’incertezza sociale dilagante e l’arbitrio della forza caratterizzano quindi la risposta regressiva delle classi dirigenti. La guerra annunciata contro l’Iraq è in questo quadro solo uno dei drammatici episodi di questa strategia. La lotta contro la guerra e la costruzione di una risposta politica e sociale da sinistra a questa prospettiva costituiscono quindi il principale punto di iniziativa politica oggi. Importantissima è quindi la parola d’ordine dello sciopero generale contro la guerra e la costruzione unitaria della manifestazione del 15 febbraio prossimo.

L’Europa neoliberista

A livello europeo la globalizzazione neoliberista ha avuto pratica attuazione attraverso il trattato di Maastricht e il successivo Patto di stabilità di Amsterdam. La priorità assoluta è stata data agli obiettivi della stabilità dei prezzi e della liberalizzazione dei mercati finanziari, a scapito di obiettivi reali di sviluppo e di occupazione. Le politiche fiscali e ridistributive nazionali sono state imprigionate da vincoli quantitativi irrazionali (come il rapporto deficit\PIL), finalizzati alla drastica riduzione dei livelli di protezione sociale e dell’intervento pubblico nell’economia. D’Altro lato, non si è proceduto alla costruzione di una politica fiscale e sociale europea per realizzare un comune spazio di diritti. In questo modo, la politica monetaria è diventata l’unico strumento attivo di politica macroeconomica ed ha agito, in sintonia con gli interessi della rendita e della speculazione, in senso restrittivo, mantenendo elevati i tassi di interesse reali e con ciò aggravando i bilanci pubblici.

A causa di questo impianto nell’ultimo decennio, i Paesi dell’UE hanno registrato bassi tassi di crescita economica ed elevati livelli di disoccupazione, accompagnati dalla precarizzazione e dalla svalorizzazione crescente del lavoro. Il mutamento in senso sfavorevole del ciclo economico internazionale, sintomo di una crisi strutturale del modello della globalizzazione neoliberista, ha trovato l’Europa impossibilitata ad azionare politiche pubbliche di rilancio economico e di sostegno della domanda effettiva, a causa della gabbia del Patto di Stabilità che è l’ostacolo principale per lo sviluppo economico e per l’occupazione in Europa.

L’Italia di Amato e Berlusconi

Il quadro italiano è caratterizzato da una situazione che vede presenti i tratti europei in forma accentuata. Assistiamo nel settore pubblico ad una compressione occupazionale funzionale alla precarizzazione del lavoro e nell’industria, ad una nuova crisi occupazionale intrecciata ad un depauperamento dell’apparato produttivo che tende a posizionarsi in una fascia fortemente esposta alla pura concorrenza sui costi. Il pesantissimo ridimensionamento della grande impresa, di cui la crisi Fiat è solo l’ultimo tassello, unita ad una politica che anche per ragioni di contenimento del conflitto operaio ha privilegiato l’espandersi della piccola impresa e ad una assenza di politiche industriali e di ricerca pubbliche, ha determinato una modifica strutturale dell’apparato industriale italiano.

La Confindustria ha favorito questo processo, ha registrato nei suoi assetti il declino delle “grandi famiglie sovvenzionate” e si fa portatrice di un pesantissimo attacco antioperaio. Il governo Berlusconi, che interpreta, all’interno della  più generale tendenza europea questa specificità italiana, è la punta della lancia di questa offensiva della destra liberista. L’attacco all’articolo 18,  al diritto del lavoro (libro bianco), al salario diretto e indiretto (Welfare e pensioni), al diritto di sciopero, la legge Bossi-Fini sugli immigrati da un lato; dall’altra politiche di taglio delle tasse al profitto e alla rendita intrecciate con una politica delle opere pubbliche in cui profitto, rendita e speculazione si intrecciano con un pesante attacco all’ambiente. Spicca l’attacco alle donne, le più colpite dalla flessibilizzazione del lavoro e dalle politiche familistiche che tendono a ricacciarle a casa. Tutte queste misure vanno nella stessa direzione: frantumare e precarizzare il lavoro – nel settore pubblico come in quello privato - per poterlo fruttare meglio e dare margini di guadagno al padronato, senza nulla fare per riqualificare l’apparato produttivo.

L’attacco di governo e Confindustria non ha però determinato una situazione stabilizzata. Nonostante l’amplissimo fronte che ha sottoscritto il Patto per l’Italia, da Cisl e Uil alla Lega delle Cooperative, l’iniziativa della Cgil e il complesso dei movimenti in campo ha tenuto aperta la situazione.

La crisi dell’ideologia neo liberista

Dopo un lungo periodo in cui il padronato ha governato incontrastato, sta maturando a livello di massa la consapevolezza della inadeguatezza delle formule neoliberiste a garantire lo sviluppo civile.

La borsa ha inghiottito enormi quantità di risparmi creando non poche disillusioni anche sui fondi pensione. Le privatizzazioni non hanno dato gli effetti promessi e anzi ci troviamo di fronte alla crisi della più grande impresa privata e alla più potente dinastia industriale. Sono in crisi gli stessi assetti del capitalismo italiano con la proliferazione di una guerra per bande che rafforza il senso di insicurezza generale. E’ in crisi l’egemonia del pensiero unico a cui contribuisce la stessa prospettiva della guerra permanente.

In questa situazione uno dei principali punti di forza del governo Berlusconi è costituito proprio dall’assenza di una matura alternativa politica. Il centro sinistra infatti ha confermato un profilo assai moderato ed interno al blocco borghese, senza avanzare in alcun modo un progetto alternativo alle politiche neoliberiste. L’Ulivo si conferma quindi una gabbia che imprigiona energie ed aspettative positive in un quadro moderato e privo di sbocchi coerenti.

La ripresa delle lotte

In questa situazione, negli ultimi due anni abbiamo avuto un fortissimo aumento del conflitto sociale, sia sul versante del movimento no global, sia sul versante del movimento operaio tradizionale. La durezza dell’attacco dell’avversario e la crisi dell’ideologia dominante, hanno determinato un forte inasprimento dello scontro. Queste lotte hanno segnalato la forza del movimento e hanno costituito l’unico vero contrappeso all’attacco dell’avversario.

A livello europeo, pur in presenza di una significativa ripresa del conflitto di classe, registriamo l’insufficienza dell’iniziativa della Confederazione Sindacale Europea che non organizza una risposta comune alle politiche monetariste europee.

Sul piano italiano il relativo stallo che si è verificato sull’articolo 18 segnala che i rapporti di forza reali tra le classi non sono così sfavorevoli come molti vorrebbero far credere. La capacità di interdizione del movimento è forte, si è manifestata con l’iniziativa della Cgil, costruendo un significativo terreno di unità di classe, di dialogo unitario con il movimento no global e di unità d’azione nei fatti con larga parte del sindacalismo extraconfederale. La rottura dell’unità sindacale di vertice è quindi stata concretamente la condizione per la ripresa del movimento di classe nel nostro paese.

Le contraddizioni della Cgil

Il lato debole di queste lotte è costituito dall’essere sostanzialmente lotte generali, con una scarsissima capacità di articolazione. Per rimanere sul terreno del conflitto capitale lavoro, la lotta generale contro il governo, ha avuto difficoltà a tradursi in una vertenzialità articolata ed in una capacità di mettere in discussione lo strapotere padronale nel concreto dei rapporti di produzione.

Questo evidenzia in primo luogo i danni creati dall’intreccio tra ristrutturazioni, privatizzazioni e concertazione nel desertificare il tessuto militante di classe sui posti di lavoro. Da questo punto di vista, la decisione della Fiom prima e della Cgil poi di rompere la gabbia dell’unità sindacale per dare voce alle istanze dei lavoratori ha costituito un passaggio fondamentale e assolutamente positivo. L’unità sindacale dell’ultimo decennio, non era funzionale alla costruzione dell’unità di classe ma alla sua disarticolazione e alla passivizzazione dei lavoratori. La rottura di quell’unità sindacale concertativa, anche a livello delle diverse categorie, è la condizione necessaria per poter ricostruire un terreno unitario basato sulla democrazia di mandato e sulla difesa degli interessi dei lavoratori. Questa considerazione  ci porta direttamente alle contraddizioni che anche oggi caratterizzano la linea e la pratica della Cgil. E’ infatti evidente che la positiva iniziativa della Cgil ha reso possibile le grandi mobilitazioni dell’anno scorso contro governo e Confindustria. A questa iniziativa, non è però seguito una modifica della pratica sindacale diffusa. Solo la Fiom  ha tenuto un comportamento contrattuale coerente, presentando una piattaforma contrattuale che fa perno sulla democrazia, sul salario e sulla lotta alla precarietà Nelle altre categorie non si vedono segni di discontinuità e la pratica unitaria e moderata continua a farla da padrona, sia a livello nazionale che a livello territoriale. La stessa pratica della sinistra sindacale è pesantemente segnata dalle contraddizioni che attraversano la Cgil. Il sindacalismo di base da parte sua, fatica a ridefinire un suo percorso  di unificazione e a sviluppare le sue potenzialità nel  nuovo contesto determinato dall’iniziativa della Cgil.

L’importanza del referendum e dei contratti

La modifica della linea sindacale della Cgil, costruendo una pratica contrattuale coerente con le posizioni politiche espresse a livello generale, è quindi la condizione per evitare la sconfitta delle esperienze più avanzate ed un generale ripiegamento del movimento. La tenuta della linea tracciata dalla Fiom in tutte le categorie, deve diventare il terreno prioritario di iniziativa nei confronti del sindacato e di riqualificazione dell’azione della sinistra sindacale. A partire da questo, è necessario puntare ad una qualificazione dello sciopero generale dell’industria del 21 febbraio, intrecciando la lotta per l’occupazione con la lotta alla precarizzazione del lavoro.

In questo contesto un ruolo fondamentale lo svolgerà la campagna referendaria per l’estensione dell’articolo 18. Il referendum è lo sbocco politico coerente delle lotte dell’anno scorso su un terreno più avanzato, quello dell’unità di classe. L’intreccio tra la lotta alla precarizzazione nei contratti e la campagna referendaria rappresenta concretamente la risposta alternativa ed efficace alle politiche di governo e Confindustria. Anche su questo va chiamata a coerenza la Cgil, al fine di ottenere lo schieramento più ampio possibile a favore dell’allargamento dei diritti dei lavoratori. Il referendum è potenzialmente maggioritario a livello sociale, dobbiamo farlo diventare una grande occasione per la ripresa, vincente, di un limpido conflitto di classe.

Il nostro progetto

Il nostro progetto politico di fase resta quello definito a Treviso e attualizzato nell’ultimo Congresso nazionale: la costruzione di un nuovo movimento operaio e l’aggregazione della sinistra di alternativa, rompendo lo schema bipolare. Riteniamo infatti che per porre il tema dell’alternativa alla crisi della globalizzazione liberista ed alla guerra permanente, il nuovo movimento operaio e la sinistra di alternativa rappresentino i passaggi fondamentali ed indispensabili. Proprio a partire dalla consapevolezza dell’intreccio tra contenuti di classe, messa in discussione dell’assetto istituzionale bipolare e rottura della gabbia dell’Ulivo, riteniamo sbagliato il progetto politico perseguito da Cofferati.

All’interno di questa linea politica, i punti fondamentali che proponiamo per il nostro intervento all’interno del movimento dei lavoratori sono i seguenti.

1 - Favorire l’unificazione dei movimenti

In primo luogo operare per favorire l’unificazione del movimento dei lavoratori e del movimento no global. Si tratta di un percorso politico che non parte da zero; ha vissuto momenti significativi sin dal luglio 2001 con la partecipazione ai comizi della Fiom degli esponenti dei Social Forum, ha avuto una accelerazione a Genova e poi nelle iniziative di mobilitazione sull’articolo 18 per arrivare al Social Forum di Firenze e alle iniziative dei disobbedienti all’interno della vertenza Fiat. Dobbiamo quindi proseguire su questa strada a partire dalla salvaguardia e della valorizzazione dell’unità e dell’autonomia dei movimenti.

La mobilitazione contro la guerra sarà il primo banco di prova. La proposta dello sciopero generale in caso di attacco all’Iraq costituisce il primo passo. Più in generale dobbiamo sviluppare una campagna di massa che evidenzi la il carattere organico ed unitario delle politiche liberiste, della guerra e dell’attacco ai diritti dei lavoratori. La comprensione a livello di massa dell’unitarietà del disegno delle classi dominanti è la condizione per dislocare il movimento dei lavoratori contro la logica della guerra infinita.

In secondo luogo dobbiamo costruire una connessione tra la messa in discussione del modello di sviluppo avanzata dal movimento no global e le lotte dei lavoratori Si tratta di lavorare alla connessione tra la difesa degli interessi immediati dei lavoratori e la trasformazione dei processi di lavoro, sia dal punto di vista della qualità del lavoro, che dal punto di vista dei prodotti del lavoro medesimo. Occorre intrecciare la lotta alle privatizzazioni e alla precarizzazione del lavoro nei settori pubblici e privati a politiche innovative in termini di ricerca, ambiente, trasporti, energia, difesa del territorio, ecc. Nella vicenda Fiat abbiamo avanzato una proposta di nazionalizzazione connessa alla riconversione della Fiat al fine di riprogettare i sistemi di mobilità in termini ambientalmente e socialmente compatibili. Abbiamo cioè avanzato una proposta per unificare la difesa dei livelli occupazionali e la modifica del modello di sviluppo. Si tratta di riprendere e allargare questo livello di proposta, rimettendo al centro le tematiche del cosa, come e per chi produrre, che avevano caratterizzato i momenti più alti del ciclo di lotta degli anni ’70. Occorre mettere al centro i beni pubblici, ripensare l’intervento statale sull’economia, il ruolo della ricerca, la riconversione delle fabbriche di armi.

In generale dobbiamo operare affinché proprio a partire dall’estensione e dall’articolazione del conflitto sociale, si costruisca un dialogo tra i diversi soggetti in lotta elaborando linguaggi ed obiettivi comuni. La vertenza Fiat ha segnalato – sia pure in forma embrionale - questa possibilità, con le tante azioni che in modi diversi hanno caratterizzato il mese di dicembre: dalla partecipazione dei disobbedienti ai picchietti di Termini Imerese e di Melfi alle azioni a palazzo Grassi e alla pinacoteca del Lingotto, alla campagna di solidarietà e di raccolta di fondi, alla global Tv a Termini a capodanno. Si tratta di estendere ed articolare queste pratiche sociali.

2 - Mettere al centro l’unità di classe

In secondo luogo si tratta di operare per la ricostruzione dell’unità di classe in senso stretto. L’offensiva del padronato punta alla disarticolazione e alla frantumazione della classe e notevoli sono i risultati sin qui conseguiti. In una situazione in cui circa un terzo della forza lavoro è oggi priva di tutele sindacali, l’azione sindacale si è in larga parte limitata alla tutela dei lavoratori “garantiti”. Una parte consistente del mondo del lavoro è impossibilitata a far valere le proprie ragioni; questo rappresenta una formidabile arma di ricatto usata dal padronato per peggiorare le condizioni di tutti i lavoratori. La lotta contro la precarizzazione del lavoro non è quindi un problema che riguarda i precari ma il principale problema politico e sindacale per tutto il mondo del lavoro. Questo mondo, che spesso risulta quasi invisibile, va scandagliato e conosciuto, valorizzando  pienamente lo strumento dell’inchiesta. Come negli anni ’60 la ricomposizione tra operai qualificati e operai dequalificati fu decisivo per l’apertura del ciclo di lotte del 69, oggi questo tema si pone nella ricomposizione tra lavoro precario e lavoro “garantito” Per questo è centrale la nostra iniziativa per l’estensione dell’articolo 18 e questo deve coniugarsi con una più generale proposta che estenda a tutto il lavoro – in qualsiasi forma giuridica venga prestato – le tutele proprie del lavoro dipendente strettamente inteso. La lotta alla legge razzista Bossi – Fini è parte integrante di questo percorso; decisiva è la parificazione dei diritti tra lavoratori immigrati e quelli italiani. In questo quadro deve anche essere ripensato l’utilizzo di strumenti come le 150 ore che potrebbero  avere una funzione enorme per allargare il bagaglio degli strumenti a disposizione dei lavoratori immigrati.

La stessa lotta per l’occupazione e per la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore – che deve essere ripresa - costituisce uno snodo di questo percorso, perché senza risposte unitarie e generalizzate, rischiamo una guerra tra i poveri gestita dal padrone, che offre i posti di lavoro “residui” a quelle realtà produttive disponibili a lavorare a condizioni peggiori di altre.

Un altro elemento di questa prospettiva, è costituito dal terreno salariale. Oltre alla riproposizione di un meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione, alla richiesta nei contratti di aumenti che si muovano nella direzione dei salari europei, si tratta di concretizzare la rivendicazione del salario sociale e di un salario minimo intercategoriale. Quest’ultima rivendicazione, non intende per nulla sostituire la pratica contrattuale, al contrario intende rafforzarla attraverso la rivendicazione di una legge che garantisca un minimo “indisponibile” da cui far partire la contrattazione.

3 - Rilanciare lo stato sociale e rottura del patto di stabilità europeo

In terzo luogo si tratta di estendere e rafforzare la lotta contro lo smantellamento e la frantumazione federalista e “devolutiva” dello stato sociale. Si tratta di opporsi a qualsiasi operazione di ulteriore manomissione del sistema pensionistico e di sua eventuale frantumazione a livello regionale. Occorre mettere al centro la salvaguardia e la riqualificazione della scuola pubblica e della sanità pubblica a partire dal rilancio della prevenzione sui luoghi di lavoro, battendosi sia contro le privatizzazione che contro il proliferare della mutualità integrativa/alternativa. Questo tema ha una ricaduta sindacale diretta in quanto anche la piattaforma della Cgil prevede il ricorso ai fondi integrativi sul terreno sanitario/assistenziale e sempre più spesso questa voce viene inserita all’interno dei contratti di lavoro; la stessa 626 – di cui pure conosciamo tutti i limiti - viene scarsamente utilizzata ai fini di un rilancio di un movimento sulla salute nei luoghi di lavoro. E’ poi necessario costruire un intervento sulla questione fiscale contrastando la linea governativa di favoreggiamento dell’evasione e di taglio delle tasse per le imprese e per i redditi alti. Il reperimento delle risorse è infatti un capitolo ineliminabile, al fine di garantire un sistema di welfare degno di questo nome. In questo quadro, la lotta contro lo spezzettamento regionale o municipale dello stato sociale, costituisce un passaggio decisivo, per evitare che la frantumazione sia la strada attraverso cui ridurre la rete delle tutele sociali, i diritti dei lavoratori, per accelerare ulteriormente i processi di privatizzazione.

La rottura del Patto di Stabilità europeo rappresenta allora la cornice macroeconomica indispensabile per il perseguimento di una politica economica alternativa al neoliberismo. Accanto a questo, occorre ricondurre la politica economica europea verso obiettivi economici reali, come la piena occupazione, e non puramente monetari, in coerenza con gli indirizzi definiti delle sedi democratiche, in primo luogo nei Parlamenti nazionali e in quello europeo. Ciò che occorre è quindi un nuovo assetto economico, politico ed istituzionale dell’UE, non più fondato solo sulle necessità dei mercati, ma sui bisogni di sviluppo, di giustizia sociale e di democrazia dei popoli. La scadenza dell’approvazione della Convenzione Europea, prevista per il prossimo autunno, rappresenta un significativo momento di lotta, unificante su scala europea, per costruire un’altra Europa possibile.

4 - Costruire la democrazia dal basso

In quarto luogo occorre rilanciare con forza il nodo della democrazia sui luoghi di lavoro. Di fronte alla crisi della forma tendenzialmente bipolare della democrazia rappresentativa e ad una riforma istituzionale strisciante che tende a concentrare i poteri in luoghi sempre più incontrollabili, è necessario riproporre la questione della ricostruzione della democrazia dal basso. La rivendicazione del diritto dei lavoratori a votare sugli accordi che li riguardano e ad eleggere liberamente i propri rappresentanti è questione decisiva, per riproporre il terreno democratico come grande terreno di costruzione dell’alternativa. Inoltre la riunificazione della classe e la costruzione di strumenti di democrazia reale, sono la condizione per l’attivazione di un tessuto militante sui luoghi di lavoro e per la ricostruzione di un sindacalismo di classe, che esca dalle secche dell’unità di vertice e concertativa. La ripresa della democrazia dal basso costituisce la condizione indispensabile per costruire elementi di unità d’azione tra le diverse organizzazioni sindacali, confederali ed extraconfederali.

Le nostre priorità politiche

All’interno di questo progetto politico le priorità di lavoro politico per i prossimi mesi ci paiono le seguenti:

Il partito: più innovazione e più organizzazione

Per fare tutto questo è necessario un deciso salto di qualità nel lavoro politico del partito riferito al mondo del lavoro. Si tratta, per dirla in uno slogan, di coniugare più innovazione e più organizzazione per costruire un partito comunista fortemente radicato nella classe, dove le lavoratrici e i lavoratori possano esprimere il proprio protagonismo e la propria soggettività. In particolare ci pare necessario sottolineare l’esigenza di:

Dipartimento Nazionale Lavoro - PRC
Roma, 22 gennaio 2003