La 626 in Brianza e Lombardia

Infortuni sul lavoro, cambiare strategia:
dal modello partecipativo alla pratica sindacale

Come diminuire il livello degli infortuni sul lavoro

L’azienda Sanitaria Locale, provincia di Milano n° 3, che ha sede in Monza e copre l’ambito territoriale della Brianza (più alcuni importanti comuni quali: Sesto San Giovanni; Cinisello Balsamo; Cologno Monzese; Cormano; ed altri ancora), ha presentato, in un convegno, un monitoraggio fatto in circa 150 unità locali del territorio; obiettivo del monitoraggio: verifica del livello di applicazione formale, delle procedure previste del D.lgs 626/94.

Come tutti sanno la “626” non modifica gli aspetti di tipo tecnico, se non in parte (tant’è che le precedenti norme rimangono in vigore), ma introduce un modello che, per poter determinare dei risultati soddisfacenti sul versante della diminuzione degli infortuni da lavoro, deve essere condiviso dai vari soggetti che all’interno dei luoghi di lavoro si occupano di ambiente e di tutela della salute, il cosiddetto “modello partecipativo”.

Il monitoraggio ha interessato sia aziende con meno di 10 dipendenti, che quelle con più di 200 ; inoltre, sono stati coinvolti tutti i settori economici, dalle realtà manifatturiere alle costruzioni, dal commercio e distribuzione alle banche, dalla pubblica amministrazione alla sanità.

Alcuni dati emersi dalla ricerca:

I dati che emergono dal monitoraggio possono anche essere interessanti, ma non aiutano certo ad affrontare una situazione che appare ogni giorno sempre più grave.

Tant’è che a nostro giudizio, a circa otto anni dall’entrata in vigore della “626”, il problema non lo si può porre solo sotto l’aspetto della verifica della formale applicazione della norma legislativa.

A nostro parere la questione è: a fronte di una formale applicazione della norma, il dato degli infortuni diminuisce in termini consistenti, oppure no?

Per quanto concerne il territorio di nostra competenza, la Brianza, possiamo affermare, ovviamente con molto disappunto, che la situazione, in questi ultimo anni, sotto l’aspetto dei puri dati statistici, risulta notevolmente peggiorata, sia per quanto riguarda gli infortuni in generale, sia per gli eventi mortali.

In una situazione di sostanziale consolidamento (o di insignificante diminuzione degli infortuni) in valori assoluti, sia a livello nazionale che lombardo, in provincia di Milano si verifica una inversione di tendenza preoccupante, molto accentuata tra l’altro, in Brianza.

Non abbiamo ancora a disposizione i dati del 2002, ma con riferimento al passato (fonte Inail Monza), emerge un aumento del 8,5% nel 2000 rispetto al 1999 e del 9% nel 2001 rispetto all’anno precedente.

In particolare, gli infortuni mortali hanno registrato 9 vittime nel 2001, 13 nel 2002 e, già 2 decessi nel primo mese di lavoro del nuovo anno.

Il comparto dell’edilizia risulta essere il più colpito, ma tutti i settori produttivi sono oggettivamente coinvolti in questa strage infinita.

A nulla valgono le tranquillizzanti dichiarazioni dei dirigenti dell’assessorato alla sanità della regione Lombardia, secondo i quali, in termini assoluti la regione detiene il primato nel Paese, ma considerando l’indice di frequenza (infortuni per 100.000 dipendenti), la situazione non sarebbe tra le peggiori, ma sostanzialmente il linea con la media italiana.

Se ciò può essere vero in generale, per quanto concerne gli infortuni mortali, considerando l’indice d frequenza, la situazione risulta essere la seguente:

Italia

Lombardia

Anno

N° infortuni mortali

Indice di frequenza

Anno

N° infortuni mortali

Indice di frequenza

1999

1.438

6,95

1999

210

5,48

2000

1.412

6,70

2000

194

5,01

2001

1.452

6,75

2001

278

7,02

I dati generali evidenziano comunque la gravità del problema:

Italia

Lombardia

Anno

N° infortuni

Anno

N° infortuni

1998

997.914

1998

166.344

1999

1.010.777

1999

166.755

2000

1.022.693

2000

170.049

2001

1.029.925

2001

170.124

Alla luce di questi significativi dati, alcune nostre riflessioni:

Ora, se la situazione è questa, è necessario intervenire su più piani, sia sul versante diciamo, politico-culturale che in merito alle cose possibili da fare.

L’aspetto politico-culturale

  1. In primo luogo serve ricostruire una cultura del lavoro; non è più accettabile il silenzio che avvolge il lavoro: Forse qualcuno pensa che non esistano più, nel nostro Paese, le lavoratrici e i lavoratori, ma che esistono solo i “collaboratori”, di conseguenza , quindi, si opera al fine di eliminare il lavoro come momento di emancipazione, socializzazione e dignità delle persone.
  2. Rilanciare il ruolo delle strutture pubbliche e sostenere l’importanza del pubblico in tutti i settori dall’economia alla sanità, dalla scuola all’informazione, in una fase storico e politica in cui imperversa l’ideologia della privatizzazione, significa, ovviamente, avere una idea della politica diversa rispetto al Governo di centro destra ( ma per certi aspetti anche da alcune scelte dei precedenti Governi), che sponsorizzato da Confindustria, spinge sempre di più verso privatizzazioni selvagge e massima deregolamentazione, azzerando tutti i vincoli che a loro dire, limiterebbero la crescita delle imprese.

Le cose da fare

Il sindacato

La priorità sarebbe il riposizionare l’azione sindacale su un terreno più negoziale, superando le comode sponde concertative.

Ora, può sembrare fuori luogo, ma riteniamo che il punto di svolta, anche in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro, sia il superamento degli accordi che in quest’ultimo decennio hanno regolato le relazioni sindacali, ovvero: l’accordo del luglio del 1993 e il Patto di Natale del 1998.

C’è un filo sottile che lega il modello di relazioni sindacali improntato sull’azzeramento preventivo del conflitto sociale e i limiti dell’intervento sindacale nelle aziende, in tema di prevenzione e tutela della salute.

E’ del tutto ovvio che non vi può essere nessuna responsabilità in capo alle OO.SS, e ai delegati aziendali, rispetto alla drammatica situazione data dall’elevato numero di incidenti sul lavoro; ma aver delimitato gli spazi e gli ambiti della contrattazione aziendale, in particolare, avendo assunto nella contrattazione il concetti di compatibilità e competitività dell’impresa, ha di fatto limitato il dispiegarsi di un potenziale contrattuale insito nel dna dei delegati e delle delegate di fabbrica.

Basta leggere anche senza particolari approfondimenti gli accordi che vengono sottoscritti sia a livello nazionale che aziendale, per costatare che in materia di ambiente e sicurezza, quelli innovativi sono veramente pochi; in generale non se ne parla, oppure ci si richiama ad un generico rispetto delle norme legislative.

Mentre sul terreno delle flessibilità, sia in termini di rapporto di lavoro, che in termini di regimi di orario e condizioni di lavoro, si abbonda; inoltre, l’introduzione, spesso, di doppi regimi, non solo salariali, tra vecchi dipendenti e nuovi assunti, determinano condizioni in cui le situazioni di rischio, oggettivamente aumentano.

Quindi servirebbe uscire dalla gabbia concertativa e ritornare a contrattare, partendo dalla elaborazione di piattaforme, semplici, credibili e condivise dalle lavoratrice e dai lavoratori, rimettendo in campo, se necessario i vecchi rapporti di forza.

Ma per fare questo sarebbe necessario che le OO.SS, la CGIL in particolare, cominciassero a rileggere,con occhi oggettivi, l’attività negoziale (che per noi è la ragione fondante per un sindacato), dall’accordo del 23 luglio del 1993 a tutt’oggi, per capire:

Poche semplici e banali considerazioni, alle quali è maledettamente difficile dare delle risposte, perché ovviamente, le risposte possono determinare la conferma di scelte strategiche oppure la messa in discussione e l’elaborazione di nuove politiche sindacali.

Ovviamente non è dato a sapere se passare da un modello “concertativo e partecipativo” ad un modello, diciamo, più conflittuale, significa la soluzione immediata di tutti i problemi che oggi investono il sindacato. Inoltre, per quanto ci riguarda non abbiamo soluzioni preconfezionate da proporre, sappiamo bene che è più difficile oggi, rispetto ad alcuni anni fa, svolgere attività negoziale; e non sempre i modesti risultati sono dati dall’applicazione delle regole generali, spesso dipendono dai rapporti di forza e dal contesto sociale e politico in cui si esercita la contrattazione.

Ma, forse, dopo anni di “pace sociale” e dopo un 2002 al cui centro si posto la questione dei diritti, è giunto il momento di intraprendere un'altra strada, anche per quanto attiene alle Relazioni Sindacali, rilanciando cioè, il naturale ruolo contrattuale della CGIL; una strada che ci pare più vicina alla ragione d’essere di un sindacato.

La politica

Sul versante politico si può affermare che il modello partecipativo introdotto con la “626”, improntato all’assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti che in azienda e fuori operano nel campo della prevenzione e tutela della salute, ha di fatto determinato una deresponsabilizzazione generale; in particolare è fallita la teorizzazione delle norme premiali e la depenalizzazione dei reati commessi, come elementi incentivanti per nuovi investimenti, al fine di migliorare e rendere sicuri gli ambienti di lavoro.

E’ sempre più necessario, invece, inasprire le sanzioni per chi non applica le norme legislative (e se una fabbrica a fronte delle previste sanzioni rischia anche la chiusura, non ci può essere mediazione: prima la tutela della salute..), siano esse penali che monetarie.

Ovviamente una seria politica di inasprimento delle sanzioni abbisogna anche di una politica di rilancio della sanità pubblica, in particolare degli organismi preposti alla vigilanza. I dipartimenti prevenzione delle Aziende Sanitarie Locali devono essere posti nelle condizioni ottimali per operare con competenza e con personale e mezzi adeguati.

Tutto ciò oggi non avviene anche grazie alle politiche “federaliste”, che mal interpretate, hanno demandato notevoli poteri in materia sanitaria ai governi regionali. In Lombardia stiamo assistendo allo sfascio del servizio sanitario pubblico.

In conclusione

Se si vuole veramente intervenire per migliorare gli ambienti di lavoro e aggredire di conseguenza la drammaticità dei dati sugli infortuni da lavoro, condizione ineluttabile è il rilancio della contrattazione nelle fabbriche, oltre i vincoli delle compatibilità e delle competività, attraverso un rinnovato protagonismo delle delegate e dei delegati e di tutti i lavoratori.

Infine, bisogna rifiutare e opporsi alla ideologia dominante della privatizzazione di ciò che oggi è pubblico; questo è un percorso che investe, in primo luogo la politica, ma anche il sindacato, in quanto ogni apertura sul fronte della sanità integrativa (purtroppo sono molti gli accordi in tal senso) rischia di indebolire, sul terreno della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, una battaglia più generale.

Fausto Ortelli CGIL Brianza
Luigi Morganti Sportello “626” CGIL Brianza
Monza, 3 febbraio 2003