Piattaforma per il rinnovo del CCNL commercio

I punti negativi e le proposte della sinistra sindacale

Perché nelle politiche generali della CGIL vi è una linea sostanzialmente condivisa da tutti,
poi nella pratica quotidiana c’è una sorta d’anarchia?

La bozza di piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro del settore commercio, proposta dalle segreterie unitarie Filcams-CGIL, Fisascat-CISL, Ulitucs-UIL, circola oramai da alcuni giorni.

Anzi, probabilmente, in alcuni luoghi di lavoro è già stata sottoposta alla discussione tra le lavoratrici e i lavoratori.

Seppur con un qualche ritardo, riteniamo opportuno analizzare, in modo schematico e per punti, gli aspetti, a nostro giudizio, particolarmente negativi, dentro una visione più generale ed avanzare delle proposte alternative.

Democrazia

Ci pare doveroso iniziare il ragionamento dal percorso previsto di consultazione e approvazione, prima della bozza di piattaforma, in seguito, dell’eventuale ipotesi d’accordo.

Ciò in quanto ancora oggi non è dato per certo (in generale) che tutte le lavoratrici e i lavoratori possono esprimersi con voto vincolante, in merito ad accordi sindacali, nazionali o di secondo livello, che modificano le loro condizioni, salariali e normative; infine, sempre meno vengono coinvolti, all’atto dell’elaborazione delle tematiche rivendicative.

Quindi, il tema della democrazia, come tema prioritario per ricostruire un rapporto di fiducia e un rinnovato protagonismo delle persone che vogliamo rappresentare.

E’ banale ricordare che la Fiom-CGIL, proprio su questo punto, quasi “pregiudizialmente” ha rotto il fronte unitario con Fim e Uilm.

Sgomberiamo il campo, però, da possibili equivoci: l’eventuale ipotesi d’accordo “sarà poi sottoposta alla consultazione e al voto dei lavoratori”; queste le ultime parole scritte nel regolante previsto per la gestione di tutto l’iter del rinnovo contrattuale.

Ciò significa referendum vincolante? Pur con dei margini d’ambiguità, si può sostenere che l’accordo sarà sottoposto a referendum (speriamo di non essere smentiti).

Ma il punto è un altro: essendo quella presentata una bozza di piattaforma, è prevista la possibilità di emendarla, a partire dai luoghi di lavoro.

In sintesi. Ogni emendamento che a livello di singola regione ottiene il 10% dei consensi nei luoghi di lavoro (il meccanismo prevede l’approvazione dell’emendamento in un’assemblea, più la somma dei voti complessivi, anche di quelli presi senza essere approvato), passa automaticamente alla valutazione dell’assemblea nazionale.

Vi è, in questo percorso, indubbiamente un aspetto positivo, in altre parole, non è previsto il filtro degli emendamenti a livello comprensoriale prima e regionale poi. Quindi esiste la concreta possibilità che un emendamento approvato nei luoghi di lavoro, approdi alla discussione nazionale.

Detto questo, vi è un punto che oggettivamente rischia di azzerare questo percorso democratico  e, sul quale, il nostro giudizio, per almeno due ragioni, non può che essere molto negativo:

Non si capisce, infine, come sia possibile che dirigenti della CGIL possano accettare quest’impostazione sindacale, dopo che per tutto l’anno 2002, hanno giustamente condotto una seria  e convincente battaglia in difesa dei diritti e della democrazia.

Ora, al punto in cui siamo, vi è una sola possibilità per ridare credibilità al percorso  ”democratico” previsto: l’assemblea nazionale deve essere composta, a maggioranza qualificata,  da delegate e delegati dei luoghi di lavoro. Solo cosi, l’esercizio della democrazia recupererà, in parte, il suo significato vero.

Mercato del lavoro

In questo settore, ove prolificano forme atipiche di rapporti di lavoro, converrebbe, forse, porsi l’obiettivo di governare tale fenomeno, introducendo contrattualmente, regole in controtendenza rispetto alle massicce dosi di precariato e flessibilità, definite dagli ultimi interventi legislativi, in particolare:

Classificazione personale

In questi ultimi anni sono oggettivamente emersi nuovi lavori e nuove professionalità, non solo legate all’espandersi della new economy, ma in generale anche nei settori     commerciali tradizionali.

Si tratta quindi di istituire una commissione nazionale che, nell’ambito di una tornata contrattuale e composta prevalentemente da lavoratori e lavoratrici di produzione, ridefinisca una nuova classificazione, dove sia possibile inquadrare le nuove professioni e quelle storicamente di difficile definizione.

Salario

L’ipotesi presentata non scioglie un nodo che è figlio del rinnovo del biennio precedente.

Anzi, l’impressione è che si voglia volutamente tacere che nel rinnovo del 2 luglio 2001, per poter chiudere, si è sottoscritto che l’ultima parte degli aumenti concordati, ricadesse nella previsione di questo rinnovo.

Tecnicamente ciò può significare che gli aumenti previsti, non siano di 100 Euro al 4° livello, ma di 100 Euro, meno la quota anticipata in busta paga dal 1 gennaio 2003, pari a 14,46 Euro.

Non essendoci chiarezza su questo punto, è possibile pensare che l’aumento richiesto sia di circa 86 Euro, “Al fine garantire l’effettiva copertura del potere d’acquisto dei lavoratori…..”

Anche in questo caso, comunque (aldilà  delle precisazioni di cui sopra, aumento di 100 piuttosto che 84 Euro) serve ricordare che la CGIL, in un direttivo nazionale sulle politiche contrattuali, si poneva l’obiettivo, per i rinnovi contrattuali a venire, “dell’aumento del potere d’acquisto dei salari”.

Per questa semplice ragione, la richiesta appare del tutto insufficiente; inoltre non sembra in grado di rispondere ai reali bisogni delle lavoratrici e dei lavoratori.

Si tratta, allora, di fare richieste salariali che tengono conto delle piattaforme già avanzate alle controparti, come i metalmeccanici( 136 euro d’aumento), o dei risultati acquisiti da altri  accordi, come i ministeriali ( 109 euro d’aumento).

Previdenza integrativa

La previdenza integrativa è oramai una presenza consolidata in quasi tutti i contratti nazionali di lavoro.

A nostro giudizio, questa è una strada pericolosa che porterà, primo o poi, alla messa in discussione del sistema previdenziale pubblico (in Parlamento è in discussione un’altra controriforma delle pensioni che aiuterà questo percorso).

Inoltre, soprattutto nell’ultimo anno i fondi integrativi, anche quelli contrattuali, sembra abbiano evidenziato perdite di redditività.

Ora, non essendo oggettivamente possibile rimettere in discussioni decisioni assunte in precedenti tornate contrattuali, è in ogni caso nostra opinione, che bisogna frenare l’espandersi di queste forme previdenziali, anche a fronte di alcune considerazioni  a carattere sindacale:

Insomma, fare un onesto bilancio delle scelte del passato, senza ovviamente rinnegare nulla, forse servirebbe per riaffermare un normale modo di fare sindacato.

Sanità integrativa

E’ un altro dei temi ad alto rischio, non solo sindacale, ma d’impostazione politica generale. Questa questione non  deve assolutamente divenire materia negoziale; troppo importante per la tutela dell’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e pensionati, degli studenti, dei senza lavoro, dei soggetti più deboli: insomma, è un diritto universale, che non può ridursi a mera materia contrattuale.

Nel caso specifico della piattaforma del settore, si scontano, sempre  a nostro parere, errori del passato. In particolare l’introduzione del QUAS, (sanità integrativa per i Quadri).

L’introduzione del QUAS è un non senso sindacale.

La CGIL da sempre ha come bussola del suo agire sindacale l’unificazione del mondo del lavoro, almeno per quanto concerne alcuni diritti fondamentali.

La salute delle lavoratrici e dei lavoratori, è uno di questi diritti e, la possibilità di prevenire malattie e infortuni, oppure di curarsi in maniera adeguata, deve essere prerogativa di tutti.

Prevedere in un contratto nazionale un fondo solo per alcuni (tra l’altro le figure più forti sul piano della contrattazione individuale) è un errore sindacale.

Ora, non è introducendo per tutti la sanità integrativa che si supera quell’errore.

Anche in questo caso, coerenti con una battaglia più generale, che si sviluppa in modo particolare in alcune regioni (a causa del federalismo, le regioni si muovono autonomamente in materia di sanità), è indispensabile non aprire spazi dentro i quali passerebbero tranquillamente politiche di superamento della sanità pubblica; inoltre, non saremmo capiti dalla nostra gente: mentre la portiamo in piazza contro, per esempio, i ticket di Formigoni, contemporaneamente, la portiamo in piazza per sostenere che questi ticket, magari, siano messi a carico della sanità integrativa contrattuale.

Proprio difficile da spiegare.

Si tratta allora di evitare, in campo previdenziale e sanitario, di creare nuove frammentazioni che porterebbero ad una “ giungla” di trattamenti dalle prospettive incerte.

Enti bilaterali

In un settore molto condizionato dalla politica della bilateralità, si propone di intensificarne l’attività, con particolare riferimento a funzioni improprie come la gestione d’ammortizzatori sociali (a proposito come si lega quest’impostazione con la proposta complessiva della CGIL di riordino degli stessi?), ovviamente finanziati dalle imprese (ci mancherebbe!).

Ancora: sportelli degli “enti” per servizi ai lavoratori in merito alla previdenza e sanità integrativa.

Banche dati gestite dagli “enti” in merito alle professionalità  e ai mutamenti intervenuti nei profili professionali.

Di nuovo richiamiamo la coerenza d’organizzazione.

Una delle ragioni (non l’unica ovviamente) per  le quali la CGIL non ha sottoscritto il Patto per l’Italia, era che attraverso la bilateralità veniva meno l’azione contrattuale, che è la missione vera dell’organizzazione, e si consumava una mutazione del ruolo del sindacato.

In conclusione ci poniamo una domanda: perché nelle politiche generali vi è una linea sostanzialmente condivisa da tutti, poi nella pratica quotidiana c’è una sorta d’anarchia?

A questo punto per noi la risposta è fare semplicemente sindacato.

Fausto Ortelli (CGIL - Brianza)
Monza, 8 marzo 2003