Il silenzio sulla vertenza Fiom, espressione di un clima da regime

Metalmeccanici, un contratto anche per la democrazia

Due organizzazioni (FIM, UILM), che assieme rappresentano 250mila iscritti su più di 1 milione di lavoratori, decidono di sottoscrivere un contratto che deve valere per tutti ...

E' in atto un vero e proprio oscuramento della democrazia. Il vergognoso silenzio dei principali mass media sul referendum è ancora poco, in fondo, rispetto alla totale cancellazione della vertenza dei metalmeccanici.

Il 16 maggio ci sono state in Italia più di 50 manifestazioni: molti di coloro che hanno partecipato ad esse si interrogano se effettivamente quelle manifestazioni ci siano state, visto il buio delle principali televisioni. Siamo di fronte al tradizionale disinteresse del mondo dell'informazione per tutto ciò che sa di operaio? Questa volta c'è qualcosa di più, una certa aria di regime che, come per il referendum sull'articolo 18, nega l'esistenza stessa di una grande questione democratica.

Immaginiamo che scandalo, se a qualsiasi altra categoria, struttura organizzata, associazione, fosse capitato ciò che sta capitando ai metalmeccanici. Due organizzazioni, che assieme rappresentano 250mila iscritti su più di 1 milione di lavoratori, decidono di sottoscrivere un contratto che deve valere per tutti.

L'organizzazione di maggioranza, che da sola ha molti più iscritti di tutte le altre messe insieme, viene ignorata, né si accetta un referendum che coinvolga tutta la platea interessata al contratto.

In questo modo il sistema contrattuale cambia radicalmente. Sono le imprese a decidere il contratto e i sindacati ad aderire ad esso. Naturalmente aderiscono i sindacati che hanno specifici interessi a sottoscrivere le decisioni della controparte. Ma in ogni caso è chiaro quale diventa la fonte della legittimazione del contratto: l'impresa. In assenza di pratiche democratiche, il contratto vale per tutti perché sono le imprese a decidere di applicarlo. Quella che dovrebbe essere una pattuizione su base democratica diventa un'imposizione, con l'adesione di chi vuol farsi subalterno. Ci si rende conto che così si mettono in discussione contemporaneamente la democrazia sindacale e la democrazia in generale?

Qui c'è un nodo della crisi democratica italiana. Quando Berlusconi aggredisce la magistratura, quando la Rai licenzia e censura chi non consente con il coro generale, qualche voce di scandalo viene alzata. Quando invece i metalmeccanici subiscono una violazione senza precedenti dei loro diritti democratici, allora il silenzio è bipartisan.

E' paradossale. Dopo cinquant'anni di Costituzione Repubblicana, c'è ancora chi distingue tra le libertà che si hanno come cittadini e quelle che si dovrebbero avere come produttori. Tra i diritti che si esercitano nell'ambito della formazione della volontà politica generale, e quelli di cui si dovrebbe godere nella vita sociale. Torna così una vecchia distinzione contro la quale si batterono i lavoratori che nel ‘69-70 conquistarono lo Statuto dei lavoratori. Allora si diceva: la democrazia e la Costituzione non si possono arrestare sulla soglia dei luoghi di lavoro, è il mercato che deve adattarsi ai diritti fondamentali delle persone e non viceversa. Oggi il liberismo dominante aggredisce questo impianto politico e culturale unitario, e respinge di nuovo "i diritti" al di fuori della sfera economica.

Che poi Berlusconi, e il suo alleato fedele D'Amato, provvedano a chiarire in ogni momento che la loro è una posizione globale e coerente, e che essi sono contemporaneamente contro l'articolo 18, contro la lotta della Fiom, contro i giudici di Milano, contro la libertà di informazione; questa è la controprova che non esiste separazione tra le libertà del cittadino e quella del lavoratore. Purtroppo chi casca di nuovo nella concezione ottocentesca della libertà e della democrazia è la parte maggioritaria del centro-sinistra. Che non a caso, poi, così come cancella l'articolo 18 e i diritti dei metalmeccanici, si prepara ad arretrare di fronte all'attacco all'autonomia della magistratura.

Nelle libertà tutto si tiene. Invece c'è una vera e propria fuga da quel rigore democratico, che sarebbe il vero terreno sul quale sconfiggere l'autoritarismo liberista di Berlusconi. L'ex ministro del Lavoro Treu è giunto a dire che una vittoria del "Sì" al referendum sull'articolo 18 darebbe un'immagine estremista dell'Ulivo. Ribaltando così la stessa logica del rapporto tra rappresentanti e rappresentati. Se i cittadini dovessero votare per l'estensione dell'articolo 18, non sarebbe l'Ulivo a doversi chiedere se non sia stato troppo moderato rispetto ad essi. No, come nel socialismo reale, se il gruppo dirigente va da un lato e il popolo dall'altro è il popolo che sbaglia!

E' questa una concezione proprietaria della rappresentanza, quella che hanno anche la Cisl e la Uil. Non c'è mai un momento nel quale si possa partecipare e decidere davvero, nel quale una decisione possa essere revocata da un pronunciamento democratico diffuso. Per i metalmeccanici lo scandalo è senza precedenti. Ma il problema esiste anche per tante categorie che fanno contratti più unitari, da ultimi gli insegnanti. I Cobas hanno chiesto il referendum, così come la componente di Lavoro e società della Cgil scuola. Hanno ragione. Davvero vale la più ingenua delle domande: se i contratti sono così buoni, perché i lavoratori non possono neppure approvarli?

Così si scivola verso una oligarchia di apparati che alla fine hanno sempre ragione. La Fiom ha rotto totalmente con questa concezione e queste pratiche, e per questo oggi suscita tanto scandalo.

C'è una brutta aria di regime. E tante persone accumulano così rabbia e impotenza. Tra i metalmeccanici non c'è praticamente nessuno che dica che quello firmato da Fim e Uilm è un buon accordo. Non è questa la divisione nelle fabbriche. Ma una divisione c'è. E' quella tra chi pensa che di fronte a questo sopruso non si può fare niente, e quella di chi, invece, non si rassegna e vuol lottare. Poi ci si scandalizza quando in un'assemblea o in un comizio i lavoratori fischiano. E si costruisce un vergognoso accostamento tra il legittimo dissenso, di cui anche i fischi sono espressione (solo nelle dittature c'è l'obbligo di applaudire), e il terrorismo, che invece proprio del dissenso democratico è il principale nemico.

Ecco, l'oscuramento televisivo è semplicemente l'espressione mediatica del logoramento della nostra democrazia. Forse davvero un giorno i comizi di qualche sindacalista e di qualche presidente del Consiglio saranno accompagnati da quegli applausi artificiali e a comando che sottolineano le telenovelas o certi spettacoli televisivi.

La lotta per la democrazia e quella contro l'oscuramento del conflitto democratico sono la stessa cosa. Per questo bisogna accompagnare la campagna per il "Sì" all'articolo 18 e la vertenza contrattuale dei metalmeccanici con una mobilitazione sulla libertà di informazione che giunga fino alla disobbedienza civile. In fondo non si inventa niente, nel contratto del '69 i metalmeccanici decisero ad un certo punto di presidiare tutte le principali sedi della Rai tv. Oggi bisogna pensare forse a presidiare il duopolio Rainvest, ma la sostanza è la stessa: lotte per il lavoro e lotte per la libertà assieme avanzano o assieme arretrano.

Giorgio cremaschi
Roma, 24 maggio 2003
da "Liberazione"