Il salario e le pensioni non sono costi, bensì fonti di crescita e di sviluppo

Pensioni, redditi e il paradosso di Zenone

Lo sciopero generale del 24 è un appuntamento di grande rilevanza dal quale può partire una controffensiva.

La catastrofe dei salari e quella delle pensioni irrompono oggi nei mass media, ma erano annunciate da tempo. Come una valanga che abbia a lungo e progressivamente accumulato il suo potenziale devastante, il disastro di tutti i redditi da lavoro parte da lontano. Dall'inizio degli anni 90, quando furono cancellati la scala mobile e un intero sistema contrattuale che, nel decennio precedente, nonostante gli attacchi del governo Craxi e del padronato, avevano difeso i salari dall'inflazione.
Con la distruzione di quel sistema, sostituito da quello definito con il famoso accordo del luglio '93, si è costruito un meccanismo che non poteva che portare alla situazione attuale. Allora si realizzava per la prima volta nella distribuzione del reddito il paradosso di Zenone. Secondo l'antico filosofo greco la lepre della favola non avrebbe mai potuto raggiungere la tartaruga, perché questa, anche se di poco, si spostava sempre oltre l'obiettivo della corsa del veloce mammifero. Con l'inflazione programmata i salari sono diventati come la lepre.

Il nuovo sistema stabiliva che i salari contrattuali dovessero essere definiti sulla base di una inflazione che era sempre programmata al di sotto di quella reale. Tanto è vero che a garanzia dei lavoratori veniva stabilito che ogni due anni si sarebbe potuto rivendicare il recupero di quanto perduto.

Da quando è stato varato quel sistema, solo per brevi stagioni i salari hanno tenuto il passo con l'inflazione. Perché ciò avvenisse infatti occorrevano tre condizioni ottimali. Un tasso d'inflazione programmata estremamente realistico, una disponibilità delle aziende alla contrattazione salariale sia a livello nazionale che a livello di impresa, una politica dei prezzi di tipo deflazionistico. Queste condizioni ottimali si sono realizzate solo per brevi periodi anche durante lo stesso governo del centro-sinistra. E infatti il bilancio salariale complessivo di quel periodo è negativo. Quando poi gli industriali hanno deciso di colpire la contrattazione nazionale, a partire dagli accordi separati dei metalmeccanici, e di sterilizzare nei fatti la contrattazione aziendale. Quando il governo ha scelto di farsi bello con tassi d'inflazione programmata privi di qualsiasi contatto con la realtà. Quando infine la liberalizzazione dei servizi, la rinuncia all'intervento pubblico sui prezzi, i privilegi concessi all'evasione fiscale, hanno dato il via libera ai rincari, il salario è rimasto al palo.

In questi giorni uno studio dell'associazione artigiani di Mestre ci mostra la drammatica riduzione per i giovani delle pensioni, a causa del calcolo con il sistema contributivo. Un sistema che non ha inventato Tremonti, ma la riforma Dini.

Anche l'attacco attuale alle pensioni parte da lontano. Dal trionfo, anch'esso degli anni 90, della tesi liberista secondo la quale la spesa pensionistica del nostro paese sarebbe troppo alta. Tesi falsa, che ignora volutamente una spesa sociale inferiore, nel complesso, alla media europea e che per le pensioni, al netto delle tasse e del Tfr, rientra nelle medie continentali. Tesi profondamente ingiusta, che ha fatto passare per privilegiate le pensioni di anzianità nell'industria, invece indispensabili viste le attuali condizioni di lavoro. Tesi persino antieconomica alla luce della recessione attuale. Perché il salario e le pensioni non sono costi, bensì fonti di crescita e di sviluppo.

Per tutte queste ragioni non si può tornare indietro, a quella concertazione la cui crisi ha prodotto l'attuale svolta a destra. Bisogna invece puntare alla redistribuzione del reddito, all'aumento dei salari e delle pensioni, alle tasse sulla ricchezza, alla lotta alla speculazione e alla evasione fiscale.

Lo sciopero generale del 24 è un appuntamento di grande rilevanza dal quale può partire una controffensiva. Questo è in ogni caso il messaggio che viene dalla scadenza che subito dopo già si annuncia: la grande manifestazione dei metalmeccanici a Roma il 7 novembre.

Siamo sempre lì, il rifiuto senza se e senza ma del liberismo, così come della guerra, ci pone in conflitto non solo con la Confindustria e con l'attuale governo, ma anche con chi, nel centro-sinistra pensa di governare mettendosi in concorrenza con la destra.

Giorgio Cremaschi
Roma, 21 ottobre 2003
da "Liberazione"