La riforma delle pensioni analizzata nei suoi dettagli

Le pensioni al tempo di Berlusconi

Più vecchi e più poveri

Le proposte del governo per le pensioni sono chiare e precise. Il "fumo" in cui sono rimaste avvolte per mesi si è dissipato. Il presidente del Consiglio si è rivolto in modo solenne dagli schermi televisivi agli italiani per rassicurarli. Ha poi annunciato che scriverà una lettera a tutti gli italiani: nemmeno di fronte ad eventi come la guerra vi è stato tanto impegno di Berlusconi.

E' la prova che il provvedimento avrà implicazioni profonde per tutti e tutte e che muterà radicalmente lo stato sociale, la più grande conquista del movimento operaio nel secolo scorso.

Il ministro Tremonti sostiene che "non c'è legge finanziaria senza riforma delle pensioni". La Confindustria dichiara che è un buon inizio ma non basta. Le autorità monetarie europee apprezzano, ma sottolineano che non è sufficiente. Cgil Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale.

In pensione più vecchi

Dal 2008 si andrà in pensione con 40 anni di contributi o con 60 di età le donne e 65 anni gli uomini.

La possibilità di pensionarsi a 57 anni con 35 anni di contributi viene cancellata.

L'operazione viene giustificata con due argomenti, l'aumento della speranza di vita e un "picco" di spesa nel 2030.

L'aumento della speranza di vita intanto non è uguale per tutti, ci sono intere categorie di lavoratori e lavoratrici che hanno una minore speranza di vita. Si penalizzano i lavoratori e le lavoratrici impegnati/e nei lavori meno gratificanti, meno qualificati, manuali che sono più facilmente (si fa per dire) accessibili in età giovane. Il prossimo intervento, statene certi, sarà l'elevamento dell'età per le donne a 65 anni e lo si farà nel nome della parità uomo-donna e in quanto le donne hanno una speranza di vita più lunga degli uomini.

La spesa pensionistica

Quando si parla di spesa pensionistica e di spesa sociale lo si fa con approssimazione, si mistificano e si strumentalizzano i dati.

L'Italia ha una spesa sociale inferiore a quella di quasi tutti gli altri paesi europei. Per quanto riguarda le pensioni è noto che esiste ancora una commistione tra previdenza e assistenza, e quote di assistenza vengono caricate sulla previdenza. L'importo delle pensioni sono calcolate al lordo, non vengono detratte le ritenute fiscali che si avvicinano al 20% e che rientrano nelle casse dello Stato mentre in Germania non vi è ritenuta fiscale sulla pensione, e in altri paesi è insignificante.

Non solo nella spesa pensionistica è conteggiato il Tfr. Realmente il "costo" delle pensioni non supera il 9% del Pil, altro che 13% e attraverso le ritenute fiscali concorre positivamente al bilancio dello Stato.

Per il governo, anche se gli istituti previdenziali fossero in attivo (e l'Inps lo è) egualmente ci sarebbe un picco, una "gobba", nel 2030, in quanto il rapporto viene fatto tra quanto viene erogato e il Pil e non si tiene conto dei contributi versati. Tant'è che per il governo nulla cambierebbe se si riuscisse, ma non lo si vuole, a recuperare una parte dell'evasione contributiva che viaggia nell'ordine di 30 miliardi di euro l'anno, cioè l'importo di due leggi finanziarie, né se i bilanci degli istituti sono in attivo. Ma si pensa veramente che nulla cambi da qui a 26 anni, che ci sarà un andamento economico senza scosse?

Va invece denunciato, ecco la fretta di colpire le pensioni, che tutta l'operazione che scatterebbe nel 2008 ha come scopo di ottenere l'avvallo, e da subito, a sforare dello 0,5% il tetto (Maastricht) del debito pubblico.

L'incentivo a rimanere al lavoro

Altra misura è la concessione di un incentivo se si rimane a lavorare, raggiunto il diritto alla pensione di anzianità. Per due anni viene concesso un bonus pari al 32% del salario. Quanto ricevuto in più di salario in due anni viene mangiato in 15/16 anni in quanto la pensione futura sarà di importo inferiore.

Su un salario annuo di 15.000 euro, il 32% di maggiorazione equivale a 4.800 euro. Per i due anni di ritardato pensionamento si perdono circa 600 euro di pensione ogni anno per i mancati versamenti dei contributi agli istituti previdenziali. Il conto è presto fatto. Raggiunti i requisiti pensionistici a decidere se si può o no rimanere in azienda è il padrone. Ma è noto che le aziende vogliono liberarsi dei lavoratori anziani. Chi decide di andare in pensione non vi rinuncia per l'incentivo: corona un sogno dopo una vita di lavoro, spesso ha già programmato la vecchiaia. Dato che questa misura fallirà, servirà solo ad aprire la porta a quel "disincentivo" per ora escluso.

Meno contributi per i nuovi assunti

La decontribuzione per i nuovi assunti è un regalo alle aziende, diventa profitto netto. Un 5% in meno di contributi previdenziali non è poca cosa: per un solo lavoratore che percepisca 15.000 Euro lordi l'anno l'azienda risparmia 780 euro.

Ma chi pagherà il prezzo più alto saranno i "nuovi assunti" che con il sistema contributivo matureranno una pensione più povera in quanto avranno un valore minore di contributi, stante il fatto che la vita lavorativa dei più sarà regolata da rapporti precari. Una minore contribuzione provocherà un buco nei conti dell'Inps e poi grideranno che il sistema fa acqua e pretenderanno di tagliare ancora.

Confisca del Tfr

Il passaggio obbligatorio del Tfr alla previdenza complementare è un sopruso, un atto di prepotenza. E' una misura di dubbia leggittimità. Soprattutto è un regalo ai mercati finanziari e ad avvantaggiarsene saranno quelli esteri, stante la debolezza dei nostri mercati.

I lavoratori italiani sono restii ad aderire volontariamente ai fondi pensione, anche a quelli previsti dai contratti di lavoro. Con questa misura si opera una forzatura e si scippa una quota di salario in quanto il Tfr è salario differito. L'obiettivo è che la gamba della previdenza complementare diventi la più robusta e nel tempo scompaia quella della previdenza pubblica. E' poi noto che i fondi pensione negli altri Paesi, dove sono attivi da anni, danno bassi e incerti rendimenti, e, se mal gestiti, falliscono precipitando sul lastrico migliaia di anziani.

I lavori usuranti

Il governo promette di riesaminare i lavori particolarmente usuranti. La tabella dei lavori che danno diritti a modesti benefici per chi vi è costretto è stata varata nel 1993. In 10 anni sono cambiati l'organizzazione del lavoro, i ritmi e gli orari, si usano nuove sostanze, la tecnologia ha fatto passi avanti (ad esempio l'informatica).

Tutto ciò incide su chi lavora a livello psico-fisico ma non si è contrattato nulla ignorando anche quanto previsto dalla legge Dini. E' questa una questione non più rinviabile: deve diventare un punto centrale delle piattaforme sindacali contrattuali, una nuova battaglia di civiltà. La tabella che pubblichiamo parla da sola ed è un linguaggio di morte.

Aumentare le pensioni

Mediamente le pensioni Inps (nel conto sono comprese quelle "d'oro") ammontano mensilmente a 606 euro. Poi vi sono gli invalidi civili, ad esempio gli assegni a ciechi e sordomuti, che sono di poco superiori a 200 euro mensili. Salari e pensioni sono ormai i più bassi d'Europa. I sindacati dei pensionati denunciano una perdita del 15-27 % del loro potere di acquisto nel decennio: chiedono un recupero anche se non ne precisano le modalità.

E' necessario rivendicare un aumento generalizzzzzato delle pensioni medio-basse, per recuperare almeno quanto hanno perso.

E' necessario garantire, senza limiti di età e reddito, il milione (oggi 512 euro) a suo tempo promesso da Berlusconi a quei milioni di anziani, non solo pensionati Inps, fruitori di ogni tipo di assegno di invalidità, che percepiscono di meno. L'aumento generalizzato di gran parte delle pensioni contribuirebbe anche alla ripresa economica: aumenterebbero i consumi.

Misure per i precari

Va poi affrontato il problema del futuro pensionistico di milioni di lavoratori e lavoratrici precari.

Per questi lavoratori e per queste lavoratrici e per quanti nella vita lavorativa ricevono bassi salari, il sistema contributivo introdotto con la legge Dini è micidiale. Non andranno in pensione o vi andranno con poche lire. Di per sè il sistema contributivo abbassa di un 20% la copertura pensionsitica futura, una gran parte del taglio sarà pagato dal precariato.

Occorre introdurre un meccanismo che permette una "carriera contributiva", cioè una continuità di contribuzione da quando si inizia a lavorare anche se si cambia frequentemente azienda, tipo di rapporto di lavoro, se si rimane disoccupati. Stabilire che per ogni anno di "contribuzione" vi sia un rendimento minimo. Ad esempio un quindicesimo del minimo garantirebbe per ogni anno di contribuzione 26,70 euro di pensione: dopo 35 anni 834 euro al mese.

Altre questioni

Vi sono molti altri problemi da affrontare quali l'aggancio delle pensioni ai salari, forme nuove di contribuzione, misure efficaci per combattere l'evasione contributiva, la divisione della previdenza e assistenza. E si potrebbe continuare. Ma se si vuole salvare il sistema pensionistico pubblico, universale, solidale, vanno sì respinte le proposte del governo ma contemporaneamente conquistato almeno un aumento delle pensioni, garanzie per il diritto a pensionarsi dei giovani e misure per mitigare il sistema del calcolo contributivo per il precariato.

Sante Moretti
Roma, 23 ottobre 2003
da "Liberazione"