Sciopero generale del 24 ottobre 2003

Miracolo a Milano «Basta Berlusconi»

200.000 persone. Oltre ogni previsione l'adesione alla manifestazione milanese. Oltre ai «soliti» lavoratori dell'industria, la piazza si riempie soprattutto grazie a quelli dei servizi e ai «precari». Governo addio. Dalla capitale meneghina quasi un avviso di sfratto al cavaliere. La controriforma delle pensioni unifica il malcontento e cancella, per il momento, le divisioni sindacali.

Sorprendente Milano. Cgil, Cisl e Uil non ci puntavano particolarmente, i big sindacali comiziavano in altre città. E, invece, la manifestazione più grossa contro la «riforma» delle pensioni e la finanziaria è stata quella di Milano, patria di Berlusconi. 200 mila, spara dal palco in piazza Duomo il segretario della Cgil Giorgio Roilo. Facciamo la metà? Centomila «reali» sono comunque una cifra da grandi occasioni, tenuto conto che nel resto della Lombardia di manifestazioni ce n'erano altre tredici. Il perché del successo è presto detto: gli operai, sempre meno a Milano e nell'hinterland, ieri non erano soli sul classico percorso dai bastioni di Porta Venezia al Duomo. Erano una parte, e non la più consistente, di un corteo davvero «generale», come lo sciopero. Impiegati, tecnici, dipendenti pubblici, lavoratori della sanità e del commercio, insegnanti, studenti, centri sociali, chain workers. Tutto lo spettro dei lavori era ben rappresentato in un corteo rinforzato dai pensionati (tanti e vispi come al solito), dai partiti dell'opposizione (visibili più del solito), dalle associazioni grandi e piccole, dai sindacati di base. E poi c'era il «bruco precario», che si sa da dove viene ma non si dove finirà, 25 metri di stoffa verde con sotto ragazzi e ragazze delle case occupate. «Il bruco cadrà nella vostra minestra a tempo indeterminato».

Moltissime le donne. E anche questo si spiega. L'emendamento alla delega previdenziale che, a partire dal 2008, cancella di fatto le pensioni di anzianità le colpisce in pieno, manda a pallino il progetto a lungo accarezzato di «ritirarsi» prima d'aver compiuto 60 anni. Le impiegate comunali sfilano con la «paletta» dei vigili per «fermare» Berlusconi. «Non solo per oggi, ma una volta per tutte», precisa la signora Luisa. Lei «i patti con il Comune di Milano» li ha rispettati. Ha rinunciato allo stipendio più alto che prendeva in un'azienda privata pur d'andare in pensione un po' prima, «con 33 anni di contributi, intendiamoci, mica con le pensioni baby«. Ora il governo le dice che «non si può». Il centro sinistra con la riforma Dini non aveva avuto la mano leggera, «ma questi esagerano». Tina, impiegata al comune di Corsico, è nella stessa situazione: «40 anni di contributi per andare in pensione per le donne è una cosa terribile. Non si tiene conto del doppio lavoro, in casa e fuori». Masticano amaro anche le insegnanti: «Faccio fatica a tenere a bada la classe già ora che di anni ne ho cinquanta, figuriamoci a sessanta».

Berlusconi scriverà una lettera agli italiani per spiegare quanto sia buona e giusta la sua riforma delle pensioni. I lavoratori dell'Inps gli rispondono in anticipo con uno striscione. «Caro Silvio, sulle pensioni puoi mentire a tutti... ma non a noi». Gli edili, via striscione, scrivono a Maroni e a Berlusconi: vi aspettiamo, magari in un giorno di pioggia, in cantiere così potrete vedere «quanto male stiamo e quanto la pelle noi rischiamo». Ida, pensionata di Cernusco sul Naviglio, spedisce Berlusconi e soci nelle fiamme dell'ottavo cerchio dantesco, «quello dei malfattori». Fa la spesa all'hard discount, il golfino lo compra solo nei saldi. Ai tanti come Ida la segretaria della Cisl Maria Grazia Fabrizio dedica un passaggio, in milanese, del suo comizio: «Si rende conto il governo che per 70 mila anziani a Milano il problema l'è minga il salmone del Baltico, l'è la micheta e il bicièr del lat?». Il segretario nazionale della Uil Adriano Musi chiude il suo comizio - non un fischio, ma neppure un applauso - con un roboante «l'unità di oggi sarà l'unità di domani». Quanti in piazza sono disposti a mettere la mano sul fuoco su cosa faranno domani Angeletti e, soprattutto, Pezzotta? «Siamo uomini di mondo e Pezzotta lo conosciamo», ironizza un delegato Cgil dell'Eni, «la ritrovata unità mi sembra un po' posticcia». «Se il governo gli promette qualcosa, Pezzotta ci molla un'altra volta», dice una tuta blu Fiom della Breda Energia che tiene a precisare: «io comunque sciopero anche il 7 novembre». E i cislini si fidano del loro segretario? Un delegato dell'Hotel Gallia non si sbilancia: «Siamo tre grandi organizzazioni sindacali, dobbiamo avere rispetto reciproco. Questo sciopero e questa manifestazione dimostrano che insieme abbiamo una grande forza, non disperdiamola». Le pensioni sono una cosa troppo grossa per qualunque sindacato, assicura un delegato Cisl della Fernet Branca, «Pezzotta non può mollare». E se molla, commenta in tutta libertà uno del Sicet inquilini, «è proprio un pirla». Per onestà corre l'obbligo di dire che qualcuno, più del voltafaccia di Pezzotta, teme le coltellate alla schiena del centrosinistra. Come Ornella, impiegata in una casa editrice: «Lottiamo, ma è come stare su una gamba sola».

Manuela Cartosio
Milano, 25 ottobre 2003
da "Il Manifesto"