Roma, 6 dicembre 2003,

Due milioni, una marea di giovani.

Epifani: «Abbiamo il dovere di andare avanti»

Da cosa si capisce il successo di una manifestazione? Dalla lunghezza, dalla densità, dalla lentezza del corteo? O dalle parole e dagli sguardi della gente? Oggi a Roma c’è tutto questo. Una folla ocenanica è arrivata a piazza San Giovanni muovendo da tre distinti cortei. Ma in piazza molti di loro non sono arrivati mai: troppi. Un milione e mezzo, forse più.

Ci sono gli studenti e i pensionati, gli operai e i dirigenti. Le bandiere rosse della Cgil si uniscono a quelle biancoverdi della Cisl e a quelle azzurre della Uil. I sindacati sono uniti, si vede e si sente. Nessuno parla più di dissapori, distinguo, scelte sbagliate. I manifestanti sono uniti da un solo slogan: «Difendi il tuo futuro».

Alle 9 il corteo che parte da piazza della Repubblica è già immenso. Alcuni sono già andati, si sono divisi in affluenti colorati, hanno cambiato percorso. Poi si riuniscono nell’unico fiume di manifestanti che arriva a piazza San Giovanni. La testa del corteo, con i politici del centrosinistra e i leader sindacali è stata inghiottita dalla folla e si è ritrovata al centro.
A mezzogiorno, quando iniziano i comizi, la piazza è piena già da molte ore. Dal palco si vede il panorama delle grandi occasioni: uomini e bandiere ovunque. Tanto da chiedersi quanti ce ne siano ancora dietro gli angoli che interrompono la visuale. Perché tutti i viali che confluiscono a San Giovanni sono fitti di gente, e non se ne vede la fine.

Parlano i tre leader sindacali, Angeletti, Pezzotta, Epifani, nell’ordine, in un crescendo di partecipazione. Il segretario della Uil mette subito in chiaro due verità. Primo: «Che un paese non si governa contro i cittadini». Secondo: che «questa controriforma non la faremo passare». Nel giorno della ritrovata unità nella lotta i sindacati si sentono forti: «Noi staremo qui sempre insieme – conclude Angeletti – Viva l’unità dei lavoratori».

Poi parla Pezzotta. Il suo discorso viene ascoltato con partecipazione dai manifestanti. Gli occhi sono intenti e l'attenzione si percepisce anche al di là degli applausi che sottolineano i passaggi più importanti. Il leader della Cisl si sofferma sul problema dei contratti: «Non serve strumentalizzare quanto è avvenuto a Milano, dove gli autoferrotranvieri possono aver commesso degli errori, per ridurre il diritto di sciopero». Il problema è un altro: «Vogliamo ricordare che il contratto degli autoferrotranvieri è scaduto da oltre due anni? Vogliamo ricordare i milioni di lavoratori delle varie categorie nella stessa situazione, senza contratto da tempo? Vogliamo pensare a come si rinnoveranno i contratti?». Pezzotta è disponibile a cercare soluzioni, su questa e su altre questioni ma non ad offrire scorciatoie al governo. A partire dalle pensioni: «La nostra proposta arriverà, ne siano certi. Ma devono sapere che non siamo interessati a correggere la loro proposta che non stai in piedi. La nostra non sarà una proposta emendativa». Disponibili al confronto, dunque, conclude Pezzotta, ma se il governo non cambierà strada saremo pronti a continuare la lotta: «Con la spinta che viene oggi da questa grande manifestazione proseguiremo con tenacia e con rinnovate motivazioni ed energie».

Quando si avvicina al microfono Epifani, la piazza risponde con una lunga, calorosa ovazione. Il segretario della Cgil fa fatica ad iniziare a parlare. Se Pezzotta ed Angeletti avevano parlato alle intelligenze dei manifestanti, lui scalda anche i cuori, suscita emozioni. Il suo discorso rappresenta la sintesi dello spirito che anima questa manifestazione: un sindacalismo che non difende interessi corporativi o parziali ma guarda al futuro del paese e ai suoi problemi complessivi. Ci sono questioni che vanno oltre la rappresentanza sindacale, problemi che il sindacato non può ignorare. Come l’attacco del ministro Riforme agli immigrati: «Dietro Bingo Bongo, onorevole Bossi, ci sono persone come noi - ha scandito Epifani suscitando un fragoroso applauso - persone che hanno tanto da dare al nostro paese quanto ad esso chiedono. Innanzitutto rispetto». Il governo non può restare indifferente a queste parole: «Mi domando se un ministro può restare al suo posto dopo aver detto e usato quelle espressioni che non sono degne di un paese civile». Alla maggioranza Epifani vuole dare un consiglio, che purtroppo rimarrà senza seguito: «Berlusconi deve ascoltare. C'è oggi in questa piazza una maggioranza dei lavoratori, credo di tutto il paese, che ha chiesto di cambiare la politica economica del governo. Una politica che sembra dei piccoli passi ma che favorisce solo alcuni e svantaggia molti, soprattutto nel ceto medio e nei pensionati».

Il discorso del segretario della Cgil segue una scaletta precisa. Prima il lungo elenco degli errori del governo. Una serie lunghissima di «non va»: non va la controriforma delle pensioni, non va la distruzione della scuola pubblica, non va la svendita dei beni culturali, non vanno le leggi ad personam, non va la limitazione della libertà d’informazione... Poi un finale sommesso, con una promessa: il sindacato non si tirerà indietro, sarà unito, perché ha il «dovere di servire» tante persone che chiedono rappresentanza e si sentono «parte di un solo progetto».

Fra i manifestanti la condanna del governo è totale. Di Berlusconi non se ne può più, ripetono tutti, pensionati e lavoratori. Sotto il palco, giù nella piazza, c’è chi se la prende con il carovita, con la difficoltà ad arrivare a fine del mese, e chi è preoccupato per l’attacco alla democrazia, la legge Gasparri, la svendita della scuola pubblica. Soldi e cultura, lavoro e democrazia uniscono generazioni e classi sociali.

«La cosa peggiore che ha fatto questo governo è aver colpito la libertà di informazione», ci dice Arnaldo, un pensionato. Potrebbe essere il simbolo di questa manifestazione. Sul suo cappello della Cgil è attaccata una bandiera della pace. Anche lui ha visto peggiorare il suo tenore di vita in questi anni, ma non è questa la sua prima preoccupazione. «La finanziaria – spiega – ha spesso penalizzato le classi più deboli, ma la libertà d’informazione è il sale della democrazia». E' la legge Gasparri, per lui, la cosa peggiore fatta da questo governo. Arnaldo è un attivista convinto. Tutte le settimane va nelle piazza di Roma, parla con i cittadini, distribuisce volantini, raccoglie firme. «Una mattina sono andato nel mio municipio a raccogliere firme contro i ticket – racconta – la gente era arrabbiata firmavano tutti. E io chiedevo: ma chi l’ha votato Berlusconi? Tutti dicevano: io no».

Ezio Di Monte è uno scenografo, ha lavorato nell’ultimo film di Ettore Scola. «Certo – dice – il governo ha colpito anche il cinema. I finanziamenti sono fortemente rallentanti, i progetti non partono, il lavoro è più precario. E poi basta vedere quello che sta succedendo alla Biennale di Venezia, il disinteresse per i beni culturali: non c’è orizzonte dove poggiare la vista in modo sereno». Anche lui condivide il giudizio di tutti. Quello che colpisce è l’unità: «C’è chi ha la preoccupazione quotidiana di fare i conti con un paese che costa di più e ci sono, più avanti, anche i manager pubblici: non c’è settore che questo governo non abbia colpito con lo scarpone chiodato».

Fra i pensionati incontriamo un gruppo di San Giovanni Rotondo. La chiamano «città spirituale»: sono della Cgil. «Questo cavaliere è pieno di bugie e basta. Ha parlato alla gente con una maschera, una maschera infernale», dice Antonio Dragano, e spiega: «Gli stipendi si sono dimezzati, non riusciamo neanche ad arrivare al 15 del mese. Questo governo fa schifo. Se sta un giorno di più ci rovina».

Ci sono anche i giovani, tanti, tantissimi, sparsi nel corteo, dappertutto. In fondo c’è il camion dell’Unione degli Studenti. Fra loro anche Michele, un giovane immigrato che ha le idee chiare: «Noi manifestiamo perché nella finanziaria non si parla del futuro di nessuno, né dei giovani né degli altri. Con la riforma delle pensioni ci condannano alla precarietà. Noi chiediamo fondi per il diritto allo studio, per dare case agli studenti, per la ricerca e l’università».

Giovanni Visone
Roma, 6 dicembre 2003
da "L'Unità"