Il governo Berlusconi vara la controriforma del sistema pensionistico

Una proposta antioperaia che si può battere

Dal 2008 per le pensioni di anzianità ci vorranno 60 anni e 35 di contributi. Dal 2010 40 anni di contributi.

Ieri la vicenda delle pensioni è giunta ad un nuovo passaggio. Non sarà certo l'ultimo. In primo luogo è bene osservare come il governo, visto lo scarso consenso delle proprie proposte, abbia significativamente modificato la propria posizione. Non trovando consenso sociale e non essendoci alcun partito del centrodestra disponibile a passare agli occhi dell'opinione pubblica come il tagliatore delle pensioni, il governo ha deciso di muoversi nella direzione proposta dalla Margherita. La proposta iniziale del governo prevedeva una pesante messa in discussione della previdenza pubblica (attraverso la decontribuzione) e un netto allungamento dell'età di lavoro per andare in pensione. La proposta attuale ha abbandonato le velleità di aggressione strutturale all'istituto della previdenza pubblica si concentra invece sull'obiettivo di fare cassa e di allungare l'età pensionabile. Da una operazione neoliberista di matrice reaganiana siamo passati ad una manovra alla Tremonti che fa quadrare i conti pubblici sulle spalle dei lavoratori e - tra questi - in particolare degli operai. Il mantenimento dei 35 anni di contributi, abbinata alla richiesta dei 60 anni di età, è infatti una presa in giro. Questo semplicemente perché la stragrande maggioranza degli operai che avrebbe potuto andare in pensione nei prossimi anni, ha cominciato a lavorare prima dei 25 anni di età e molto spesso prima dei 20 anni.

Questi lavoratori - ripeto in particolare operai - nati negli '50 e già pesantemente penalizzati dalla controriforma Dini, saranno cioè costretti a lavorare ben oltre i 35 anni e molti di loro (quelli e quelle che hanno cominciato a lavorare prima dei 20 anni), raggiungeranno 40 anni di contributi prima di arrivare a sessant'anni di età. La proposta del governo è quindi particolarmente odiosa perché è congeniata in modo da colpire di più coloro che sono andati a lavorare prima e che in genere non sono seduti dietro ad una scrivania ma sono operai di linea, operaie tessili, chimici, ecc. La proposta del governo, abbandonati gli obiettivi di privatizzazione, rimane quindi una pesantissima stangata di classe. Si tratta adesso di far rimangiare al governo anche questa proposta, nella consapevolezza che il governo di per sé non ha la forza di varare alcun peggioramento delle pensioni. Questa forza gli può venire unicamente dal sostegno di una parte dell'opposizione o del sindacato.

Mentre scrivo mi pare che sul piano politico tutta l'opposizione abbia commentato negativamente la proposta del governo, così pure la Cgil. Se anche Cisl e Uil terranno un giudizio critico è evidente che nei prossimi giorni, partirà una trattativa tavoli paralleli, sia sul piano politico che sindacale. Il punto fondamentale è allora che nelle prossime settimane la parola deve passare al paese. La campagna di controinformazione sulla questione delle pensioni deve crescere ed è necessario far partire le lotte. Questo nella consapevolezza che - a quattro mesi dalle elezioni - le forze politiche di destra, così come i centristi della Margherita, hanno difficoltà a fare operazione antipopolari di questa portata. Ci troviamo quindi di fronte a una proposta antioperaia che però si può fermare, a partire dall'iniziativa sociale.

Paolo Ferrero
Roma, 20 febbraio 2004
da "Liberazione"