L’Azienda Totale e Il Dominio flessibile sono due libri
che nascono da molte storie.
Storie di donne e di uomini che raccontano il lavoro, oggi, nelle aziende
della grande distribuzione milanese.
Raccogliere direttamente le narrazioni della normalità quotidiana fa parte
del nostro metodo di ricerca.
Le narrazioni brevi, infatti, mentre danno voce ai silenziati, risignificano
anche il loro silenzio. Che si mostra così per quello che effettivamente è:
una imposizione, una simulazione di quiete, una acquiescenza apparente.
Le narrazioni di esperienze che raccogliamo e discutiamo nel nostro cantiere
socianalitico dicono, sul nostro lavoro, anche un’altra cosa: le sue ascendenze
culturali, la tradizione di ricerca a cui ci colleghiamo.
L’inchiesta collettiva e qualitativa, poco interessata alle statistiche e
alle campionature ma molto attenta a ridurre le barriere tra chi indaga e
chi è indagato, ha annoverato o tutt’ora comprende tra i suoi cultori, anche
in Italia, ricercatori molto rigorosi quali Danilo Montaldi e Alessandro Dal
Lago.
In Europa questa pratica di analisi e d’intervento, di ricerca-azione, è stata
portata avanti in particolare dagli ispiratori dell’analisi Istituzionale
e della socianalisi istituzionale, e particolarmente da René Lourou e Georges
Lapassade.
Uno dei presupposti basilari della socianalisi narrativa è che ogni storia
rimanda a una realtà sociale più ampia che la trascende.
L’evento biografico, in altre parole, non si esaurisce nella semplice rievocazione
ma allude ed esprime, come già intuito da Walter Benjamin, una saggezza ulteriore,
una verità epica. E questo è anche il filo conduttore dei due libri in cui
le molte voci narranti oscillano dal silenzio ai dispositivi relazionali e
da questi ultimi ritornano alle storie e ai silenzi per acquisire nel gioco
dei rispecchiamenti reciproci, una maggior consapevolezza collettiva.
Non avrebbe molto senso riassumere qui quanto abbiamo già scritto nei due
libri. Più utile può essere, invece, offrire una traccia che indichi al lettore
almeno gli snodi essenziali del percorso.
Il primo dei quali è la trasformazione del mercato del lavoro che si va compiendo
nel passaggio alla modernità fluida, flessibile, post-fordista. Tutte le storie
ci raccontano come il mercato del lavoro vada a ritmo intenso fluidificandosi,
vale a dire come si viene ad instaurare:
Il dominio flessibile è appunto la sostanza di questa metamorfosi e si riferisce ad uno scambio ineguale tra la disponibilità del lavoratore ad accogliere in tempo reale le richieste variabili dell’azienda e una inclusione temporanea e comunque sempre incerta, nei suoi programmi produttivi.
Vladimiro ha 30 anni. Negli ultimi otto anni ha lavorato per 12 aziende
diverse.
Il suo primo giorno in una azienda della grande distribuzione si è sentito
dire dal suo capo: ‘Qui puoi aspirare a guadagnare più soldi, puoi passare
dalla divisa alla cravatta, un giorno neppure molto lontano potresti perfino
comandare.
Dipende da te, solo da te. Le cose che ci sono da fare le vedrai coi tuoi
occhi e se ci sarà da fermarsi oltre l’orario formale, o cambiare mansione,
o ancora rendersi disponibile a muoversi tra i negozi sarai tu a dover decidere
di farlo.
Perché sarai tu a dover dimostrare all’azienda di essere la persona giusta
per il posto che occupi. E ricordati sempre, prima di decidere, che il tuo
contratto è a tempo determinato e fuori dell’azienda c’è la fila per entrare
al tuo posto’.
Il dominio flessibile si regge su 4 pilastri.
Le lavoratrici e i lavoratori che subiscono questa flessibilità dispotica
accusano stati d’ansia permanente, una vasta gamma di paure (di perdere il
lavoro, di non trovarne un altro, della discriminazione anagrafica e perfino
di aiutare un collega in difficoltà) e una sofferenza informe dovuta allo
stress decisionale.
Spersonalizzazione, sensazione d’impotenza, presentimento di pericolo, stati
d’allarme permanente inducono inoltre a strategie di sopravvivenza tipiche
delle istituzioni totali. In particolare al ripiegamento su se stessi e all’indifferenza
morale per ciò che avviene intorno.
Ma, dopotutto, come hanno ben mostrato i campi di concentramento e le formazioni
dei prigionieri di guerra avviati alla pulizia etnica, gli umani si adattano
facilmente a tutto, anche all’ingiunzione di commettere crimini se questa
ingiunzione proviene da una autorità percepita come ‘legittima’, o dalla quale
comunque dipende la propria vita. Ci si adatta, in un primo tempo, nella forma
minima della acquiescenza nominale comportandosi in modo conforme alle richieste,
almeno pubblicamente. Ma, insistendo nella corsa e salendo in carriera, si
finisce col conformarsi al copione anche se nessuno vede. E per non infierire
troppo sulla propria autostima ci si accontenta allora di raccontare a sé
stessi, prima ancora che agli altri, confortanti storie autolegittimative
ed assolutorie. C’è sempre un buon ‘motivo personale’ per fare il boia o il
kapò. Figuriamoci se non se ne trova uno anche per sopravvivere ‘a qualsiasi
costo’ nel mondo del lavoro!
Quanto detto non significa che nell’azienda totale ogni resistenza dei lavoratori sia scomparsa. Né che la prevalenza delle strategie singolari – quelle strategie che Ulric Beck ha stigmatizzato come ‘ricerca di soluzioni singolari per contraddizioni sistemiche’ – escluda il riaffacciarsi di soluzioni collettive. Si vuol dire soltanto che le forme di lotta e di organizzazione che hanno attraversato e caratterizzato il capitalismo solido, almeno in questo contesto, appaiono sempre meno probabili. Forse però, come ci ha fatto intravedere la mobilitazione del Primo maggio (My day) esse tendono a dislocarsi su nuovi territori; forse battono soltanto il passo alla ricerca di soluzioni maggiormente creative. Ma per ragionare con cognizione di causa su questi territori occorrerà fare ancora molto, moltissimo lavoro. Invitare lavoratrici e lavoratori a narrare, raccontare, raccontarsi i propri vissuti di resistenza e di lotta. Occorrerà ascoltare senza la presunzione di sapere già tutto, tante e tante storie. In questa prospettiva anche il nostro cantiere si è già rimesso all’opera.
Renato Curcio,
L’Azienda Totale
Dogliani 2002, Sensibili alle foglie
Renato Curcio,
Il Dominio Flessibile
Dogliani 2003, Sensibili alle foglie
I due libri possono essere richiesti a sensibiliallefoglie@tiscalinet.it; www.sensibiliallefoglie.it