Il Primo maggio

Storia e lotte

Dalle lotte degli operai negli Stati Uniti alla fine dell'800 alla cancellazione della memoria durante i fascismi. E i conflitti di oggi, per i diritti dei migranti e dei precari nella società postindustriale

Primo Maggio, festa dei lavoratori. Tantissime immagini che raccontano di una storia lunga, attraverso cui donne e uomini, in quanto lavoratori, si affermano come soggetto storico. Sul filo della mia memoria il 1 Maggio si associa al ricordo delle prime manifestazioni a cui partecipavo. A Napoli, all'inizio degli anni Settanta, un enorme corteo sfilava per Corso Umberto; torna soprattutto l'immagine della banda musicale di Ponticelli: sul camion addobbato le donne ballavano e poi si suonava l'Internazionale, l'Inno dei lavoratori, Bandiera Rossa. Molti indossavano il vestito della domenica, ma con l'irrinunciabile particolare del garofano rosso. Insomma un rito festoso, che era espressione di un'identità collettiva faticosamente maturata.

«Era il secolo del lavoro» è stato detto a proposito del Novecento e per decenni la figura del lavoratore è stata, in primo luogo, l'operaio di fabbrica, con le diverse tipologie che si sono susseguite nella grande industria: operaio specializzato, operaio qualificato, operaio unskilled, operaio postfordista. Uomini e donne sono stati definiti in base al rapporto con il lavoro e ciò ha consentito di sentirsi parte dell'identità collettiva del movimento operaio.

Le lotte dei lavoratori hanno costituito il perno di un ricchissimo patrimonio culturale e politico, a partire dalla conquista delle otto ore lavorative. La Seconda Internazionale, il 20 luglio 1889, decise una grande manifestazione in cui «in tutti i paesi e in tutte le città i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa». Elementi forti del movimento operaio sono stati la lotta per la conquista di migliori condizioni di vita e, successivamente, la negoziazione per l'affermazione e lo sviluppo del welfare state. Ma, soprattutto, nel tempo si è consolidata e sedimentata una cultura della «solidarietà fra eguali», che è diventata il tratto saliente di una moralità di matrice laica. Lo scenario è poi profondamente mutato.

Alla fine del «secolo breve» il 1 Maggio ci restituisce un'immagine diversa, che ci riporta alla realtà della globalizzazione. La novità dei cortei è, ad esempio, nella presenza di lavoratori immigrati di varie nazionalità, che pongono con forza l'urgenza di superare condizioni di lavoro vessatorie e mortificanti, chiedendo un reale diritto di cittadinanza. Le loro radici culturali sono molteplici e sollecitano il confronto con mondi lontani e diversi, dove il lavoro rimanda a condizioni di supersfruttamento. La battaglia «per una vita degna» si pone pertanto con rinnovata urgenza e può essere immaginata soltanto all'interno di una cultura multietnica e antirazzista.

La lunga storia del 1 Maggio pone ancora altri problemi come, ad esempio, il rapporto tra movimento dei lavoratori, partiti e sistema politico. È fin troppo facile il richiamo al 1 Maggio, istituzionalizzato e ingessato, che si svolgeva in Urss, dove diventava rituale di stato, con sfilate e parate, che contribuivano a consolidare l'immagine, solo apparentemente coesa, del regime sovietico. Ma si può anche non festeggiare la giornata dei lavoratori.

Ad esempio negli Usa, per una diversa tradizione sindacale, il 1 Maggio non ha il valore simbolico che acquista in gran parte del mondo. Eppure, la data della festa dei lavoratori fu fissata proprio in ricordo del 1 Maggio 1886, quando si svolsero grandiose manifestazioni dei lavoratori americani per le otto ore lavorative, ferocemente represse. A Chicago vi furono manifestazioni e scontri che provocarono numerose vittime. Otto dirigenti sindacali anarchici furono condannati a morte, quattro furono impiccati in carcere l'11 novembre 1887.

Discorso ancora diverso se pensiamo alla repressione di ogni tentativo di celebrare questa ricorrenza durante nazismo e fascismo. In gioco era la valenza politica di tale giornata. La distruzione sistematica dell'associazionismo operaio fu perseguita con tenacia dai regimi autoritari. In Italia il regime fascista provò a sostituire la festa dei lavoratori con il 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma ma, malgrado tutto, non si spensero mai i tentativi di celebrarla. Scritte murali, striscioni improvvisati, volantini, comparivano ogni anno un po' dappertutto. Dunque, nei molti rivoli dell'antifascismo clandestino, non si disperse la memoria della festa dei lavoratori. E il 1 Maggio tornò ad essere celebrato dopo il crollo del fascismo. Nel Mezzogiorno liberato già nel 1944 e, poi, in tutt'Italia, dopo il 25 Aprile 1945. La costituzione della Cgil, con i «Patti di Roma» del giugno 1944, consentì per qualche anno manifestazioni unitarie. Antifascismo, democrazia, repubblica costituivano tre aspetti di un'unica strategia. Anche in Spagna, nella lunga stagione del franchismo, celebrare il 1 Maggio, fu una forma di lotta contro la dittatura, soprattutto dopo la costituzione delle Comissiones Obreras di Marcelino Camacho.

1 Maggio 1947, Portella delle Ginestre. Nella giovane repubblica italiana, durante la festa dei lavoratori, che in loco ha molti tratti di una pacifica festa paesana, si spara contro i lavoratori. A dirigere l'operazione è il bandito Salvatore Giuliano. L'eccidio segna il riaffermarsi di una mafia agguerrita, che si avvale di connivenze e complicità politiche e dà man forte ad un ceto agrario ostile ad ogni ipotesi di riforma. Si apre la lunga sequenza di intimidazioni e assassinii dei sindacalisti siciliani, dei quali Placido Rizzotto e Turiddu Carnevale diventano rapidamente i simboli.

Dunque la festa dei lavoratori ha più significati. «Il diritto ad una vita degna» é, forse, l'espressione che li sintetizza un po' tutti. Nell'Italia del ventunesimo secolo quest'obiettivo non investe più soltanto gli operai del triangolo industriale, i braccianti padani, i cafoni meridionali, ma coinvolge le nuove figure del mondo del lavoro, frammentato e disgregato dalla crisi del sistema-fabbrica e dagli effetti della globalizzazione. Ma, soprattutto, i diritti dei lavoratori possono realizzarsi soltanto a condizione che sia possibile una prospettiva di pace su scala mondiale. Perciò, ancor più in questi ultimi anni, il 1 Maggio ha espresso la decisa volontà di contrastare i forti venti di guerra e la connessa legittimazione di ogni forma di violenza sulle popolazioni civili. Teach peace è uno slogan del movimento pacifista e il 1 maggio è un'occasione straordinaria per insegnare ed imparare la cultura della pace.

Gloria Chianese
Roma, 30 aprile 2004
da "Il Manifesto"