Il Primo maggio precario tra Milano e Barcellona

Una rivolta contro la precarietà senza confini

Il corteo partirà da Porta Ticinese alle ore 15

MayDay MayDay, ovvero la parade contro la precarietà di Milano, organizzata per la prima volta nel 2001 e diventata l'anno scorso la più partecipata mobilitazione del 1° Maggio. Un appuntamento che rompe con la ritualità, riscoprendo il senso originario, di giornata di lotta, del primo maggio. E non vi è dubbio che oggi la precarietà del lavoro, del reddito e della vita non è soltanto condizione sociale sempre più tipica, ma altresì paradigma del modello di società che il liberismo ci consegna.

L'emergenza e la diffusione della precarietà nel mondo del lavoro era accompagnata dall'illusione che si trattasse di un fenomeno limitato alla "new economy" e ad alcune fasce d'età. La realtà si è poi incaricata di raccontare un'altra storia, la stessa che in questi giorni la rivolta civile degli operai di Melfi sta mettendo a nudo. La precarietà non conosce confini, pervade ogni settore dell'economia e ogni fase della vita, dilaga in maniera generalizzata.

Le condizioni di lavoro nella grande distribuzione, nei call-center o nei fast-food sono i simboli della precarietà, ma essa si sta diffondendo rapidamente anche nell'industria, dove l'utilizzo del lavoro interinale è spesso - e non a caso - contestuale alla cassaintegrazione per gli operai "fissi". Nel pubblico impiego, considerato ancora da molti la patria dei "garantiti", il lavoro precario è in rapida espansione, non soltanto a causa delle esternalizzazioni, ma anche grazie al "blocco delle assunzioni", reiterato da ogni Finanziaria, il quale tuttavia blocca soltanto le assunzioni a tempo indeterminato e non quelle precarie. Così, al Comune di Milano su 18mila dipendenti ben 3mila sono ormai precari.

E qui entra in scena una seconda illusione, qualche volta interessata, cioè che la precarietà sia un prodotto naturale dello sviluppo economico moderno. Invece, i rapporti di lavoro precari solitamente non trovano le loro ragioni in esigenze tecnico-organizzative della produzione, bensì nella semplice volontà di sostituire lavoratori dotati di tutele e diritti con altri che ne sono privati e pertanto ricattabili. Non a caso ogni testo sacro liberista, radicale o "temperato" che sia, invoca "riforme" del mercato del lavoro e "flessibilizzazione" della manodopera. Non è questione di esigenze produttive, è questione di egemonia liberista.

A quanti tre anni fa promossero la prima MayDayParade va il merito di un'intuizione, quella di costruire un evento e uno spazio pubblico plurale contro la precarizzazione. Forse oggi si prospetta la possibilità di osare di più, di far derivare dalla MayDay percorsi comuni di lotta contro la precarietà. Infatti, l'edizione 2004 non vede soltanto una crescita numerica, bensì un allargamento sia geografico che politico della partecipazione. Non si tratta dunque di far precipitare discussioni e dibattiti, ma di sperimentare nella pratica convergenze e lotte.

Due ci paiono essere i poli attorno cui costruire la mobilitazione: la lotta contro la precarizzazione e la continuità del reddito. Il primo polo indica anzitutto la necessità di contrasto e di boicottaggio dell'applicazione della legge 30, detta legge Biagi, che lungi dal sancire semplicemente l'esistente, rompe tutti gli argini e riduce il lavoro a merce pura, sempre "a disposizione". Senza dimenticare quella autentica bomba ad orologeria depositata in Parlamento, la 848bis, contenente la sospensione dell'articolo 18 e la manomissione degli ammortizzatori sociali. Il secondo polo è rappresentato dalla battaglia per il reddito o salario sociale, al fine di sottrarre il lavoratore disoccupato ed intermittente al ricatto del lavoro qualsiasi e a qualsiasi condizione.

Due poli che richiedono una mobilitazione generale, sul posto di lavoro, sul territorio e nelle istituzioni, e che non possono essere separati. Non avrebbe senso la battaglia per forme di reddito sociale disgiunte dal contrasto attivo della precarizzazione, poiché rischierebbero la fine dell'assegno di povertà.

E ovviamente, come ogni iniziativa di movimento, la MayDay non può non farsi carico della necessità di lotta contro la guerra. Ovvero, sarà anche un primo maggio contro la guerra, per il ritiro immediato delle truppe d'occupazione dall'Iraq.

Luciano Muhlbauer
Milano, 30 aprile 2004
da "Liberazione"