Dossier sulla legge 30

Legge 30: la classe operaia va all’inferno

Una analisi della Legge 30 e dei cambiamenti (in peggio, c'è bisogno di dirlo?) impliciti in essa per la condizione dei lavoratori.

FOCO

Perché questo dossier

La legge 30 (e il suo decreto attuativo) sul lavoro rappresenta l’ultima perla, in ordine di tempo, di una serie di misure legislative che hanno via via legittimato legalmente l’erosione delle nostre condizioni di vita, di lavoro e di lotta. Come collettivo redazionale di Foco abbiamo deciso di realizzare questo dossier considerandolo un momento significativo del lavoro, pur limitato, di controinformazione politica e culturale che cerchiamo di portare avanti. In questo senso la presente introduzione rappresenta il tentativo di chiarire quale è stato il quadro generale di riferimento entro cui ci siamo mossi e quale è il significato che noi diamo alle leggi in generale, e a questa legge in particolare, in rapporto al conflitto sociale. Il tutto allo scopo di fornire uno strumento di conoscenza e denuncia utilizzabile -speriamo- nei luoghi piccoli e grandi della contesa che oppone, quotidianamente e nei fatti, le nostre vite, agli interessi di coloro che parlano di libertà e democrazia ma intendono dominio, sfruttamento e guerra.

Il dossier è qualcosa di elementare che rispecchia il grado di conoscenza che, collettivamente, ci siamo fatti della legge e del suo decreto attuativo.Un grado di conoscenza, però, sufficiente per capire come questa legge renda legale il trattamento del lavoro umano (e quindi dei tempi e dei modi della vita che da questo dipende) esclusivamente in forma di merce (oggetto inanimato); dando così totale libertà di espressione e piena legittimità formale (legale) al volto più autentico del sistema sociale figlio di quella che oggi viene chiamata economia di mercato e che ieri si chiamava capitalismo.

Lavoro intermittente

Storia del movimento operaio

Questo volto esisteva anche prima dunque (essendo connaturato al modello di relazioni sociali che la Repubblica aveva ereditato dal Fascismo); ciò che muta, almeno sul piano giuridico - formale, è, per così dire, il livello di correzione politica con cui si temperavano le regole dell’economia di mercato (fondate, in ultima istanza, sulla valorizzazione dei capitali) sulla base di esigenze diverse, come, ad esempio, i diritti del lavoratore o quelli di natura collettiva. O, per meglio dire, questa correzione politica, progressivamente erosa a partire dalla seconda metà degli anni ’80, viene meno del tutto; e questo significa, in soldoni, “deregolamentazione del mercato del lavoro” o “libertà di mercato”; ovvero, totale libertà di assumere e licenziare e di dettare le regole del lavoro (e quindi della vita) da parte di coloro che hanno la proprietà sui mezzi di riproduzione della società, che si traduce nella negazione della libertà reale di tutti gli altri. Cosicché la libertà e il diritto degli uni sono, immediatamente e necessariamente, la mancanza di libertà e di diritti degli altri.

Conflitto sociale

Questo antagonismo proprio ad ogni sistema sociale costruito sul mercato (o, per meglio dire, sulla valorizzazione dei capitali quale motore della società) genera un conflitto permanente che si esprime, di volta in volta, in determinati rapporti di forza generali tra le classi sociali; ovvero, semplificando, tra insiemi di individui che occupano un determinato ruolo nel modo di riproduzione di questo tipo di società (ad es. padroni dei mezzi della produzione e lavoratori); poiché la società, per esistere, ha bisogno di essere ricreata quotidianamente attraverso il nostro lavoro.

In effetti, il grado di correzione politica delle regole di mercato, di cui prima parlavamo, altro non è che il riflesso, sul piano politico - giurdico (regolamenti, leggi, costituzioni), di questi rapporti di forza. Tiriamo fuori alcuni esempi dalla nostra storia: la Repubblica, nascendo dal movimento popolare della Resistenza e quindi dal protagonismo politico e sociale delle masse, imponeva, almeno sul piano giuridico - formale, una costituzione che mettesse una serie di limiti al potere dei detentori dei mezzi di produzione e compratori di forza lavoro altrui (i quali, tra l’altro, erano stati in gran parte complici e mandanti del fascismo).

Poi la pratica reale degli anni ’50 sarà diversa e i padroni potranno rimangiarsi, sul campo, gran parte delle promesse e delle posizioni strappate dal movimento della Resistenza.

Questo perché leggi e costituzioni rispecchiano un certo rapporto di forza in forma cristallizzata (come una fotografia); mentre nel vivo del conflitto sociale i rapporti di forza reali possono essere già mutati radicalmente.

In questo senso la classe all’offensiva può trovare nel quadro di leggi affermato in precedenza un ulteriore ostacolo da abbattere per affermare la propria forza.

Statuto dei lavoratori

I grandi movimenti degli anni ’60 e ’70 ripongono i lavoratori e i settori sociali subalterni all’offensiva: fabbrica, scuola, territori metropolitani, sono scossi da questa forza tellurica che mette in discussione le fondamenta stesse del potere dei padroni del vapore. A partire dalle fabbriche del nord, non sono solo e tanto le grandi rivendicazioni economiche e materiali a pesare, ma la messa in discussione, politica e culturale, della legittimità del comando di un pugno di individui sulla vita di milioni di donne e uomini; è quindi lo stesso modello sociale figlio del mercato ad essere preso di mira. In questo caso, le leggi che recepiscono il quadro mutato dei rapporti di forza hanno un duplice significato. Se da un lato riflettono una parte delle conquiste strappate sul campo dai movimenti popolari (lavoro, scuola, sanità, aborto, manicomi ecc.), divenendo quel correttore politico delle regole di mercato di qui parlavamo al principio; dall’altro pongono un limite di salvaguardia del sistema che non può essere superato senza il superamento del sistema stesso.

Lavoro a ciclo continuo

Lo Stato, infatti, per quanto condizionabile dal conflitto, non è super partes ma salvaguardia, in ultima istanza, l’integrità del sistema fondato sul potere dei proprietari dei mezzi di produzione, poiché tale potere è anche ciò che lo fonda come Stato - è un arbitro che ci può far segnare qualche gol ma che non ci permette di vincere la partita. Un esempio chiaro per illustrare la duplicità delle leggi quando le classi lavoratrici sono all’offensiva è lo Statuto dei lavoratori del 1970, che, se da un lato riconosce tutta una serie di diritti importanti; dall’altro, di fatto, rende illegittimo tutto il resto che i lavoratori avevano conquistato sul campo; in primo luogo, come a Mirafiori o ad Arese, il controllo operaio sui tempi e i modi della produzione (e quindi della vita). Questa fase si chiude, come abbiamo visto, intorno alla metà degli anni ’80.

Legge 30: il padrone fa 31!

Detto questo, è chiaro che la Legge 30 fotografa un quadro dei rapporti di forza estremamente sfavorevole a noi lavoratori; essa da un lato recepisce ciò che già si è affermato nel campo e dall’altro punta a fornire ai padroni la cornice giuridica per portare a fondo l’attacco alla stessa capacità di organizzazione dei lavoratori.

I suoi tre perni fondamentali sono:

  1. Trasformare precariato e lavoro determinato in norma e il lavoro indeterminato (il lavoro fisso) in una condizione elitaria.
  2. Fare del rapporto di lavoro una questione privata tra singoli lavoratori e padroni, svuotando, così di significato i contratti collettivi.
    Infatti, ogni nuova tipologia di lavoro introdotta dalla legge 30 prevede la possibilità di accordi individuali tra padroni e lavoratori in deroga a eventuali contratti collettivi sviluppati nel settore (qualcosa di analogo, pur nella diversità di rapporto, è avvenuto con l’abolizione dell’equo canone sulla questione casa e le conseguenze le conoscono bene coloro che devono sborsare ¾ dello stipendio in affitti).
  3. Dare al ministero la possibilità di intervenire con decreti in mancanza di accordi fra le parti. Così da poter agire direttamente sul conflitto.

Collocamento e sua evoluzione
si ritorna all’antico: il caporalato si fa rampante

A distanza di quasi 50 anni dalla L. n.264/49, che aveva delineato un modello monopolistico del collocamento gestito dallo Stato mediante proprie strutture periferiche; oggi, con il DL.

n.469/97 (pacchetto Treu) e la legge 30 (società di somministrazione ecc.), il vecchio assetto legislativo è stato definitivamente demolito. Per tutta una fase, culminata, sul piano legislativo, con lo Statuto dei lavoratori del 1970, il collocamento si è articolato in un regime rigorosamente pubblico; gli uffici pubblici gestivano le liste di collocamento in cui dovevano iscriversi i lavoratori in cerca di occupazione, suddivisi in categorie e inseriti, sulla base della specifica situazione personale (titoli di studio, carichi familiari, anzianità di iscrizione ecc.), in graduatorie di avviamento.

Le imprese indirizzavano a tali uffici una formale richiesta di manodopera al fine di ottenere il nullaosta all’assunzione.

Con chi trattiamo?

Tale richiesta poteva essere esclcusivamente numerica: il compratore di manodopera doveva limitarsi ad indicare il numero di lavoratori di cui avesse bisogno per ogni qualifica; secondo un principio che, almeno sul piano formale, da una parte, impediva discriminazioni tra lavoratori davanti al diritto al lavoro; e dall’altra regolava le assunzioni, a monte, sulla base dei contratti collettivi nazionali di categoria.

Cosicché il compratore di manodopera non poteva stabilire condizioni di lavoro diverse per il neo assunto rispetto agli altri lavoratori con stessa mansione e categoria. Alla metà degli anni’80, crisi economica e mutati rapporti di forza tra le classi sociali mettono in discussione questo modello; ciò si traduce nell’introduzione di cose come i cosiddetti contratti di formazione lavoro, il part-time, i contratti determinati, fino alla legge n 223/91 che afferma la chiamata nominativa su quella numerica.

Ora, il DL. n. 469/97 (agenzie interinali) e la legge 30 sanciscono, sul piano giuridico, un nuovo modello ove è riconosciuta e legittimata la gestione privata del collocamento; una riedizione moderna del caporalato (tra l’altro la legge 30 abroga espressamente quella del ’60 che lo vietava) che frammenta i lavoratori, a monte, sia in rapporto alle condizioni di lavoro che alla controparte da cui formalmente dipendono; cioè diviene possibile, potenzialmente, per ognuno di noi, anche impiegato in uno stesso luogo, un diverso contratto, un diverso padrone.

Mercato del lavoro
una fiera di disparità e d’ingiustizie
come cambia (eccome) il rapporto di lavoro dipendente

 

Società di somministrazione e lavoro somministrato
ovvero come si diventa precari a vita

Prendono il posto delle già vecchie agenzie interinali, di cui ampliano e potenziano il ruolo.

Il lavoro somministrato, a differenza di quello interinale, potrà riguardare sia il lavoro a termine che quello a tempo indeterminato; ovverosia l’utilizzo di lavoratori in affitto, da parte delle imprese, non sarà più soltanto per esigenze temporanee e, in qualche modo, eccezionali, ma potrà essere la norma.

Ciò potrà voler dire la coesistenza permanente, in uno stesso contesto produttivo, di lavoratori posti in condizioni contrattuali diverse da diversi imprenditori.

Si svende la classe operaia

Non solo, potranno esistere imprese prive di propri dipendenti che utilizzeranno esclusivamente lavoratori somministrati; il che aggira la norma prevista dalla legge secondo cui i lavoratori somministrati dovrebbero poter godere delle stesse condizioni di quelli dipendenti dall’impresa.

Al lavoratore somministrato spetterà un’indennità per i periodi di non lavoro; la quota di tale indennità sarà stabilita o da fantomatici contratti nazionali, o, ben più facilmente, da appositi decreti ministeriali.

Queste indennità priveranno i lavoratori somministrati della possibilità di accedere alle indennità di mobilità in caso di licenziamento.

Il lavoratore somministrato non potrà essere assunto direttamente dall’impresa utilizzatrice neanche nel caso si tratti di una somministrazione a termine, il che ne farà un candidato al precariato a vita.Una condizione resa ancor più dura dal fatto che non esisterà alcun rapporto di lavoro formale tra il lavoratore somministrato e l’impresa utilizzatrice. L’unico rapporto esistente sarà tra impresa somministratrice e impresa utilizzatrice, un rapporto di natura puramente commerciale che potrà essere rotto in qualsiasi momento determinando un licenziamento di fatto non regolato minimamente dalla “giusta causa” (art. 18).

Le società di somministrazione dovranno avere un raggio d’azione comprendente almeno quattro regioni.

La legge prevede l’azione, sul piano territoriale e regionale, anche di altri soggetti tipo: università pubbliche e private; scuole secondarie di secondo grado, pubbliche e private; camere di commercio; comuni; associazioni nazionali riconosciute aventi come oggetto sociale l’assistenza delle attività imprenditoriali, del lavoro o della disabilità; cosiddetti Enti bilaterali (vedi dopo). Interessante osservare, in breve, come l’abilitazione di università e scuole secondarie rientri perfettamente nella logica(propria anche alla riforma Moratti) di trasformare definitivamente le finalità di queste: da luoghi di formazione culturale a strumenti delle imprese per gestire la forza lavoro (vedi anche apprendistato ).

Enti Bilaterali
da padroni a padrini

Gli Enti Bilaterali sono, in teoria, associazioni che dovrebbero nascere dalla collaborazione fra i sindacati dei padroni (in primo luogo confindustria) e quelli definiti rappresentativi dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) per gestire assieme tutti i lati del mercato del lavoro; ciò di per sé significa che:

  1. La pratica del clientelismo, per cui i sindacati trovano lavoro ai propri iscritti allo scopo di raccattare nuovi tesseramenti, viene rilanciata e legittimata.
  2. La pratica del clientelismo è anche uno strumento per mettere nell’angolo i sindacati di base che rifiutano di fare mercato di assunzioni con il padronato.

Ma nella realtà le cose potranno essere anche peggio; infatti, qualsiasi associazione padronale potrà creare Enti Bilaterali sotto il proprio assoluto controllo; gestendo in questo modo la forza lavoro in attesa di occupazione (spesso, come visto, momentanea).

E’ chiaro che, agli occhi di tali associazioni, sudditanza alle logiche aziendali, crumiraggio e disponibilità a farsi concorrenza tra lavoratori, saranno alcuni dei parametri principe con cui giudicare i meritevoli di lavoro.

Disabili
nuova merce di scambio

Disabili

Le aziende con più di 15 dipendenti potranno scaricare i “propri” disabili (cioè quelli che dovrebbero assumere per garantire integrazione sociale) cedendoli alle cooperative sociali in cambio di appalti di lavoro.

Come molti di noi sanno per esperienza personale, in genere, per cooperativa sociale, s’intende lavoro precario e sottopagato, svolto da lavoratori posti, per varie ragioni, ai margini del mercato del lavoro, da utilizzare per gestire una parte consistente degli ex servizi pubblici oggi privatizzati.

Cosicché i disabili diventano merce di scambio in una transazione commerciale e vanno ad ingrossare le già folte fila dei lavoratori marginali.

Sul Non Divieto di Discriminazione
ovvero le pari inopportunità

Incredibile a dirsi (o forse no), ma quelli che di primo acchito possono sembrare articoli contro le discriminazioni si ribaltano in una legittimazione delle stesse; si afferma, infatti, che le discriminazioni, in sede di assunzione, in conseguenza delle caratteristiche personali, razziali ecc. non sono lecite “a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa”. Una formulazione così vaga permette ad es. di non assumere una donna sostenendo che potrebbe causare un calo della produzione da parte dei colleghi maschi.

Cessioni di Rami d’Azienda
reparti speciali

Flessibile

Si tolgono gli ultimi vincoli al passaggio da un’azienda all’altra di interi reparti o rami del ciclo produttivo. Tali passaggi saranno regolati solo da accordi fra imprenditori. Chi cede non deve fornire, ai lavoratori ceduti, nessuna garanzia in ordine alla continuità nelle condizioni di lavoro né per quanto riguarda la salvaguardia del posto di lavoro stesso. Potrà diventare anche uno strumento di governo politico nelle mani dei padroni che potranno concentrare in un reparto i lavoratori indisciplinati e/o resistenti (non flessibili) alla logica del mercato, per poi liquidarli cedendo il tutto in blocco a terzi.

Di che contratto sei
come i nuovi rapporti di lavoro dividono i lavoratori

 

Lavoro intermittente

E’ un rapporto contrattuale caratterizzato dall’incertezza, per il lavoratore, sia del lavoro che del salario. Infatti, a determinare le chiamate al lavoro è l’impresa che compra la disponibilità del lavoratore a rispondere alle chiamate, per un tempo x, in cambio di un’indennità x. Se il lavoratore si ammala deve avvertire l’impresa e perde l’indennità per quel periodo (non esiste quindi malattia in qualche modo retribuita per il lavoratore intermittente).

Se il lavoratore non risponde alla chiamata perde sicuramente l’indennità per 15 giorni, ma l’impresa può anche recidere il contratto. Inoltre, se espressamente previsto dal contratto, il lavoratore può essere chiamato a risarcire l’impresa per la chiamata non risposta.

La legge sembra delegare alla contrattazione collettiva, nazionale e territoriale, i campi d’impiego del lavoro intermittente. In realtà, è previsto che in mancanza di accordi tra le parti e passati sei mesi dall’entrata in vigore della legge, sarà il ministro a regolare la materia per decreto; tale decreto stabilirà (in assenza di accordi) anche la quota delle indennità).

Il lavoro intermittente è comunque utilizzabile sin da subito per i lavoratori sopra i 45 anni espulsi dal ciclo produttivo o iscritti in mobilità e al collocamento e per i lavoratori disoccupati sotto i 25 anni di età.

Il lavoro intermittente non potrà invece essere utilizzato dai padroni per fare crumiraggio; in imprese con lavoratori di pari qualifica in Cig o contratto di solidarietà; in imprese che non abbiano rispettato la (blanda) legge sUgli infortuni. Accanto al lavoro intermittente ortodosso, per così dire, ne è previsto uno speciale attivabile per week-end, periodo natalizio e ferie estive.

Non prevede alcuna indennità di sorta e, in sostanza, si configura come una lista di attesa per il lavoro.

Lavoro ripartito

Lavoro ripartito

E’ caratterizzato dalla suddivisione tra due lavoratori di un unico rapporto di lavoro. Viene suddiviso anche il diritto a partecipare alle assemblee sindacali; cioè un diritto politico inerente alla persona viene dimezzato.

Per quanto riguarda la pensione le imprese verseranno contributi sulla base del lavoro svolto a prescindere dai minimi contributivi previsti per la generalità dei lavoratori. In caso del venir meno di uno dei due lavoratori il rapporto di lavoro si interrompe e chi resta può essere assunto ad esclusivo libero dell’impresa.

Lavoro a tempo parziale o Part-Time

La legge modifica norme già esistenti aggravandole a sfavore dei lavoratori; in particolare: gli accordi privati tra impresa e singolo lavoratore hanno prevalenza sui contratti collettivi, cosicché i lavoratori vengono isolati per minarne la forza rivendicativa; si liberalizza l’uso di contratti parttime a tempo determinato; per il part-time orizzontale si introduce l’obbligatorietà del lavoro supplementare a richiesta dell’azienda, il lavoratore che dovesse rifiutarsi potrebbe incorrere in provvedimenti disciplinari (pur non potendo essere licenziato); il monte ore di permessi sindacali viene ridotto in misura proporzionale alle ore di lavoro svolto.

Apprendistato

La legge diversifica in tre diverse categorie il rapporto di apprendistato; così definite:

  1. per il diritto/dovere all’istruzione, è previsto per chiunque abbia tra i 15 e i 18 anni; la durata dipende da più fattori, ciò fa sì che la durata sia individuale per ogni lavoratore. Uno dei fattori determinanti è quello dei crediti formativi posseduti.
  2. Professionalizzante; previsto per chi abbia tra i 18 e i 29 anni e dura tra i due e i sei anni.
  3. Per il conseguimento di diploma o altra qualifica; 17-29 anni; la durata dipenderà da disposizioni regionali.

L’impostazione di fondo, per tutte e tre le tipologie tende a legare direttamente l’apprendistato al percorso scolastico per rendere funzionale, in linea con la riforma Moratti, le scuole tecniche e professionali alle esigenze delle imprese (vedi, ad es. Il rapporto tra durata dell’apprendistato e il tipo di crediti formativi posseduti). La durata è dilatata potenzialmente fino a sei anni e per tutto questo periodo i lavoratori sono esclusi dalla copertura economica di malattia e infortunio. L’apprendista sarà inquadrato due livelli contrattuali più in basso di quello previsto per il lavoratore di pari qualifica.

Il rapporto tra apprendisti e qualificati non potrà essere superiore a 1a1 ma per effettuare tale conteggio non si terrà conto delle rispettive qualifiche (come già accadeva prima); cosicché si potrà avere ad es. Un’impresa con 20 impiegati e 20 operai apprendisti. Inoltre gli apprendisti non faranno numero in rapporto all’articolo 18.

Contratto di inserimento

Sostituisce il contratto di formazione lavoro ed è previsto per: giovani tra i 18 e i 29 anni; disoccupati di lunga durata tra i 29 e i 32 anni; lavoratori sopra i 50 espulsi dal ciclo produttivo; donne qualora la disoccupazione femminile superi certi tetti (i conteggi saranno a premuroso carico del ministero); disabili fisici e psichici. La durata del rapporto sarà tra i nove e i 18 mesi. L’inquadramento sarà di due livelli inferiore a lavoratori di pari qualifica; i lavoratori in inserimento non faranno numero per l’articolo 18.

Lavoro a progetto, occasionale e accessorio

Stiamo parlando di co.co.co e simili. Sul solco del pacchetto Treu del centrosinistra, la legge 30 continua nella truffa per cui lavoratori dipendenti sono camuffati da lavoratori autonomi (pony express, pronto pizza ecc. Ma anche collaboratori di associazioni e club del cosiddetto terzo settore). Per cui i lavoratori non hanno alcuna garanzia sociale(pensione, ferie, malattia ecc.). Una legge recente fa coprire parte di tali voci attingendo alle casse Inps; in questo modo si dà un ulteriore colpo a tali casse tirandoci fuori i soldi (i soldi dei lavoratori) che dovrebbero sborsare i compratori di mano d’opera.

Legge Biagi = Legge Truffa

“E’ importante porsi il problema di come incidere nel conflitto,
di come rompere i coglioni
ed infrangere così l’invisibile prigione che ci tiene”

Abbiamo dedicato il primo paragrafo del dossier al collocamento e alla sua evoluzione perché ci sembrava un punto di vista privilegiato per cogliere i mutamenti di sostanza che riguardano le nostre condizioni di vita, lavoro e lotta. Tra l’altro crediamo sia importante recuperare una memoria storica di ciò; perché sapere che le cose non sono sempre andate così è importante; anche in questo senso l’esempio del collocamento è significativo.

La Legge 30 fotografa dei rapporti di forza certamente a nostro sfavore; essa disegna un campo di azione pressoché illimitato per i padroni; mentre pone i lavoratori in una situazione per cui esercitare l’unità e la solidarietà di classe e sviluppare lotte comuni, anche in uno stesso posto di lavoro, diventa difficile. Eppure, a nostro avviso, questa constatazione non deve farci scivolare nell’accettazione rassegnata e supina del presente. Intanto, come abbiamo visto, una legge è soltanto una fotografia; la L. 30 è l’ultimo frutto di una fase che è già alle nostre spalle; i rapporti di forza reali sono già in movimento, e, pur in mezzo a molte difficoltà, s’intravedono cose incoraggianti.

Dalla lotta per l’estensione dell’art.18 a quella degli autoferrotranvieri; dal 1 maggio militante di Milano alla diffusione della lotta e dell’organizzazione di base nei call center e nelle cooperative sociali; si vede come la creatività combattiva dei lavoratori (che s’intreccia sul campo con il movimento contro la guerra) è in grado di infrangere le regole e i ricatti imposti dall’alto alle nostre vite. In questo contesto è certo necessario battersi perché la L.30 non trovi traduzione nei contratti (anche se Cisl, Uil e in parte Cgil stanno già gestendo la sua applicazione); ma questo è soltanto un aspetto della questione; ridursi a ciò sarebbe restare sulla difensiva. E’ importante invece, crediamo, trovare l’unità tra lavoratori (relativamente) garantiti (quelli assunti con le vecchie e vecchissime normative) e nuovi lavoratori, come è accaduto nella lotta degli autoferrotranvieri.

E’ importante conoscere e generalizzare esperienze come quella del 1 maggio a Milano, dove lavoratori, precari e disoccupati si sono uniti per impedire, con i picchetti, che altri lavoratori fossero obligati a lavorare; o come quella fiorentina del coordinamento in solidarietà con gli autoferrotranvieri, dove lavoratori di altre categorie hanno fatto muro per vincere la lotta. Se le nuove condizioni tendono a dividere i lavoratori in uno stesso posto di lavoro, in uno stesso comparto, in una stessa categoria; bisogna forse allora ricomporre l’unità fuori e contro, generalizzando ogni singolo conflitto come se fosse (e lo è) il conflitto di tutti. E’ importante cioè, porsi il problema di come incidere nel conflitto, di come rompere i coglioni ed infrangere così l’invisibile prigione che ci tiene; quel realismo che ci porta ad accettare l’esistente come cosa naturale, uccidendo ogni possibilità di cambiamento e condannandoci a sgomitare, sia individualmente che come realtà, per ritagliarci un posto nel mondo che c’è. E’ importante insomma recuperare l’orizzonte dell’utopia; non esercizio fantastico, ma capacità di vedere nelle stesse condizioni presenti la possibilità di mutare radicalmente le nostre realtà di vita; con la consapevolezza, dataci dalla nostra storia, che nessuna conquista sociale e civile può dirsi al sicuro finché le basi stesse dell’ordinamento politico ed economico non saranno profondamente mutate, ricostruite sull’interesse delle collettività e della vita del pianeta (non limitarsi a fare qualche gol ma vincere la partita).

Un processo che, se sarà, non si farà con i purismi e le disquisizioni ideologiche ma con il protagonismo, la creatività e l’autorganizzazione politica e sociale delle masse; cioè di ognuno di noi.

Questa società esiste grazie al nostro lavoro.
Un potere immenso è nelle nostre mani.

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Centro Popolare Autogestito Firenze Sud
Firenze, 1 ottobre 2004
da "FOCO. Foglio di Controinformazione popolare"