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Pensioni, gli inganni della controriforma

Con la nuova legge si andrà in pensione più vecchi e con assegni più leggeri. Ma la partita non è chiusa

La nuova legge sulle pensioni indebolisce il sistema pensionistico pubblico, il suo carattere universale e solidale che era già stato pesantemente picconato dalla legge Dini del '95. Per chi lavora e soprattutto per quanti troveranno in futuro una occupazione non ci sono certezze. Sicuramente andranno in pensione più vecchi e con una pensione più povera. Sono tre le leggi varate in appena 12 anni e definite "riforme" e tutte e tre hanno peggiorato il sistema pensionistico: sono stati stracciati diritti acquisiti e si è creata una profonda e diffusa sfiducia ed è cresciuta l'incertezza sul futuro. La legge non dà nessuna risposta al mondo del lavoro precario, purtroppo in espansione, che con le attuali normative maturerà con difficoltà il diritto alla pensione ed anche in questo caso potrà contare su un importo mensile modesto. Al peggioramento del sistema pensionistico pubblico la nuova legislazione risponde incentivando la previdenza integrativa. Si cerca di "costringere" i lavoratori e le lavoratrici ad iscriversi ai fondi pensione con grande gaudio dei mercati finanziari. E' stata varata una nuova legge senza atttendere nemmeno la verifica dei risultati della legge Dini fissata per il 2005. La legge Dini ha comportato in 8 anni una minore spesa di 60 milioni di euro, ma è ancora inapplicata in alcune sue parti come ad esempio per i lavori usuranti. Contemporaneamente l'evasione contributiva è passata da 25 a 35 milioni di euro ogni anno. Le ispezioni dell'Inps hanno rilevato irregolarità contributive nel 70% delle aziende visitate sia al nord sia al sud, sia aziende medie, piccole o grandi: lavoratori in nero, lavoratori a tempo pieno denunciati a tempo parziale; lavoro festivo, notturno, straordinario non denunciato; livelli di inquadramento irregolari. Le aziende non si preoccupano delle ispezioni in quanto ne rischiano una ogni 70-80 anni e possono contare su ripetuti condoni. Per la spesa sociale l'Italia continua a spendere 2 punti Pil in meno della spesa media europea. Per rendere operativa la nuova legge sono necessarie decine di decreti legislativi e ministeriali e attraverso i decreti le norme possono essere peggiorate. La legge non prevede nessun aumento dell'importo delle pensioni nemmeno di quelle minime ferme a 412.18 euro al mese. Le pensioni in questi anni sono state logorate dall'aumento del costo della vita, i sindacati dei pensionati ne valutano la perdita nel decennio di circa il 30%; non solo, i pensionati continuano ad essere penalizzati anche a livello fiscale. La nuova legge contiene numerose norme sui più vari aspetti del sistema pensionistico la cui attuazione è rinviata a deleghe legislative e ministeriali che possono diventare lo strumento per ulteriori peggioramenti del sistema stesso. L'opposizione di Rifondazione alle tre leggi sulle pensioni è stata ferma e decisa, ricordiamo che contro la legge Dini ci siamo battuti da soli. La legge Dini ha dato il primo colpo alle pensioni di anzianità, ha introdotto il cosiddetto sistema di calcolo contributivo che porterà al dimezzamneto degli importi della pensione e a privare della pensione stessa numerosi lavoratori e lavoratrici, ha avviato l'incentivazione della previdenza integrativa, ha abolito elementi importanti di solidarietà interna al sistema. Gli ulteriori peggioramenti apportati con l'ultima legge hanno provocato una straordinaria mobilitazione sindacale ed un comune impegno delle opposizioni in parlamento. La partita non è chiusa, ci sono i decreti attuativi da contrastare, vi è la previdenza integrativa che può essere sconfitta, vi sono norme che entreranno in vigore nel 2008 e prima di quella data si svolgeranno le elezioni politiche. Noi crediamo che la mobilitazione e la lotta debbano continuare Rifondazione comunista continuerà a battersi per un aumento generalizzato delle pensioni a cominciare da quelle minime e di tutti gli assegni sociali e per misure che garantiscono una pensione dignitosa ai lavoratori e alle lavoratrici precarie.

Per incoraggiare i lavoratori e le lavoratrici del settore privato a rinviare il pensionamento di anzianità viene offerto un incentivo. L'intera aliquota contributiva (32,7%) esentasse verrà corrisposta in aggiunta al salario contrattuale previa la rinuncia del pensionamento anticipato. Questa norma è valida fino al 31/12/2007. La norma lascia al solo lavoratore la scelta di continuare o interrompere il rapporto di lavoro. L'importo della pensione di anzianità verrà calcolato sulla base della contribuzione maturata alla data in cui si sceglie di continuare a lavorare ma la pensione verrà corrisposta solo quando cesserà il rapporto di lavoro. Di fatto viene congelata.

Il bonus che fa male

Il periodo di lavoro con il "bonus" non produce nessun miglioramento degli importi della futura pensione.

Con il Bonus si ha un immediato aumento del salario di circa un terzo, che ovviamente si restituisce nel tempo in quanto sarà minore l'importo della pensione.

Quello che si è percepito in più come bonus copre in 15 anni circa quanto si perderà di pensione. Se un lavoratore va in pensione a 61 anni e muore prima dei 76 ha avuto un vantaggio, se muore dopo i 76 ovviamente ci rimette.

Dopo il sei ottobre, quanti maturano il diritto alla pensione di anzianità, possono continuare a lavorare ed i contributi versati all'Inps concorreranno a determinare l'importo della futura pensione, non cambia nulla; possono chiedere di usufruire del bonus presentando domanda all'Inps (il Ministero ha predisposto un modulo tipo), che entro un mese è tenuto a certificare se sussiste il diritto alla pensione di anzianità, in questo caso l'azienda verserà in busta al lavoratore o alla lavoratrice l'importo della contribuzione pari al 32,7%.

Questo provvedimento contiene in sé molti elementi negativi. In primo luogo non vengono liberati posti di lavoro. Anche la contrattazione collettiva viene indebolita dal "bonus" in quanto ne estranea di fatto diversi lavoratori e lavoratrici. L'Inps subisce un danno per i mancati versamenti contributivi e poi si griderà al deficit e si procederà ad operare altri tagli.

L'affare delle integrative

E' uno dei capitoli più importanti della nuova legge sulle pensioni. Ovviamente la misura che fa più discutere è il trasferimento del TFR maturando ai fondi pensione. Entro sei mesi dalla pubblicazione dei decreti attuativi i lavoratori e le lavoratrici dovranno dichiarare se aderiranno o meno ai fondi altrimenti il loro TFR finirà obbligatoriamente a un fondo pensione. Il silenzio viene considerato assenso: ma in quale fondo e chi lo decide?

La nuova legge prevede l'equiparazione (diritti e doveri) tra i fondi chiusi (quelli gestiti da sindacati e datori di lavoro in conseguenza di accordi contrattuali) e i fondi aperti (gestiti da banche, compagnie di assicurazioni, società di gestione o di intermediazione mobiliare). L'equiparazione dei fondi è contrastata fortemente dai sindacati confederali che vorrebbero il monopolio della previdenza integrativa. Le confederazioni sindacali sono ferme sostenitrici della previdenza integrativa (la famosa seconda gamba) già incentivata dalla legge Dini dal 1995. Numerose sono le misure fiscali previste per incentivare ulteriormente la previdenza integrativa sia per quanto attiene i versamenti sia le future prestazioni.

Il TFR, che è salario, se confluisce nei fondi pensione sarà, se lo sarà, recuperato negli anni successivi la maturazione dell'età pensionabile in quanto diventerà rendita periodica e non è disponibile al momento della cessazione del rapporto di lavoro se non si sono compiuti 65 anni, inoltre sparisce la possibilità di ottenere anticipazioni come è possibile con il TFR.

Deve essere chiaro che il rendimento è legato ai mercati finanziari sia se il fondo è gestito dai sindacati sia da altri.

Nei paesi dove i fondi sono diffusi (America, Inghilterra, Germania, etc.) spesso si registrano fallimenti dei fondi con la perdita totale o parziale anche del capitale versato. C'è un fondo di lavoratori dell'Alaska che è entrato in crisi avendo investito nelle azioni della Parmalat.

Al momento attuale i fondi nati dai contratti di lavoro sono 43 di cui 7 in attesa di autorizzazione. L'adesione è modesta, meno del 14% degli interessati.

Ma modesto è stato anche il rendimento infatti negli ultimi 5 anni i fondi contrattuali si sono rivalutati del 5,25% mentre il TFR del 13,44%. La pensione integrativa è una "pensione individuale", è la gestione del risparmio personale e quindi non ha in sé elementi di solidarietà e garanzie proprie del sistema pubblico. Non solo, nel caso dei fondi chiusi (sindacali) si realizza oltre alla concertazione anche la cogestione di quote di salario tra organizzazioni padronali e sindacali.

A breve assisteremo ad una offensiva mediatica e capillare per convincere i lavoratori ad aderire ai fondi, da un lato banche, assicurazioni, gestori finanziari e dall'altro i sindacati. Insisteranno tutti, compresi i sindacati, sul fatto che in futuro la pensione non supererà il 35-40% dell'ultimo salario e quindi se non si vuole ricorrere alla pubblica assistenza o stare a carico dei figli è bene farsi il salvadanaio.

Sosterranno che i fondi offrono garanzie sufficienti, e che è forte la vigilanza del governo. Tutto sommato con il TFR versato ai fondi si avrà, quando si è vecchi, una pensione decente sommando quella pubblica e quella privata.

I sindacati sosterranno che è un modo per rafforzare l'unità della categoria, che la gestione sindacale ha costi inferiori rispetto a quella privata, che maggiori saranno le cautele nella gestione sui mercati finanziari di quanto viene versato dai lavoratori.

Ma lo strumento principale per "obbligare" ad aderire ai fondi è il rinnovo contrattuale. In quella sede i sindacati concorderanno con i padroni di devolvere quote consistenti degli aumenti salariali al fondo di previdenza della categoria e se non si aderisce quella quota del salario rimarrà nelle tasche dell'azienda.

Se la maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici rifiutasse di aderire ai fondi, la previdenza integrativa non decollerà e anche i sindacati dovranno riaffrontare il rilancio della previdenza pubblica.

In pensione sempre più vecchi

In pensione sempre più vecchi

Quaranta anni di contributi continuano a dare il diritto alla pensione indipendentemente dall'età. Invece dal 1 gennaio del 2008 non sarà più possibile pensionarsi con 35 anni di contributi e 57 di età. Di anni ne occorrreranno 60, poi 61, poi 62, come si evince chiaramente dalla tabella, a cui vanno aggiunti almeno 6 mesi e un giorno in conseguenza delle cosiddette "finestre" di uscita.

 

I lavoratori autonomi (coltivatori, commercianti, artigiani) se il diritto matura nel periodo 1 gennaio 30 giugno potranno pensionarsi dal 1 luglio dell'anno successivo, se il diritto matura nel periodo 1 luglio 31 dicembre potranno pensionarsi dal 1 gennaio del secondo anno.

E' dal 1992 che l'aumento dell'età per avere diritto alla pensione viene giustificato con la crescita della speranza di vita. Questi signori anche quando si dicono di sinistra, dimenticano che gran parte dei lavori sono poco gratificanti, sono faticosi, stressanti, alienanti: 35 o 40 anni di lavoro rimangono sempre 35 o 40, che relazione c'è se uno campa di più o di meno?

D'altra parte per quale motivo l'aumento di qualche anno della durata della vita deve trasformarsi in un numero maggiore di anni di lavoro? Come sempre si antepone all'uomo, ai suoi bisogni, ai suoi sogni il profitto, la spesa pubblica: gli anziani per "lor signori" sono un peso non una risorsa.

Storicamente il movimento operaio ha lottato per la diminuzione dell'orario di lavoro come questione centrale di dignità e civiltà. Con la flessibilità e la precarietà esasperata, con l'aumento dell'età per la pensione si sta aumentando di fatto il tempo consumato nel lavoro nel corso della vita: si regredisce.

Norme varie e troppe deleghe

La nuova legge contiene molte altre norme quali l'eliminazione del divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro; la revisione delle modalità di ricongiunzione dei contributi maturati in gestioni diverse; il completamento del processo di separazione tra previdenza e assistenza; l'istituzione del casellario centrale delle posizioni assicurative, la creazione di un testo unico delle disposizioni in materia previdenziale, misure di riordino degli Enti di previdenza pubblica.

Rispetto al bonus per chi resta al lavoro, all'innalzamento dell'età pensionabile, al trasferimento del TFR ai fondi pensione le norme di legge si citate possono sembrare di poco valore, in certi casi persino razionali come l'istituzione del casellario centrale e delle posizioni assicurative. Invece sono uno strumento per modificare (peggiorare) il sistema pensionistico come nel caso del testo unico "volto a modificare, correggere, ampliare o abrogare espressamente norme relative alla contribuzione, all'erogazione delle prestazioni, all'attività amministrativa e finanziaria degli Enti... ".

Per rendere operativa la legge in tutte le sue parti sono previsti numerosi decreti legislativi e ministeriali in alcuni casi entro una data definita: due mesi, sei mesi, 12 mesi, 18 mesi. Per altri decreti non è prevista nessuna data certa. Con lo strumento dei decreti governo e ministeri possono peggiorare una già pessima legge. Anche sui decreti andrà condotta una forte battaglia in Parlamento e nel paese.

Le "ricche" pensioni da fame

Scaglioni pensionistici

Sono 16.809.490 gli anziani che ricevono la pensione dai due maggiori enti previdenziali, 14.412.240 dell'Inps, 2.397.250, dell'Inpdap.

L'importo medio delle pensioni erogate dall'Inps è di euro 628,64 mensili; il 50,63% delle pesnioni è inferiore ai 500 euro mensili e 84,15% a mille euro. Le pensioni superiori ai 3mila euro sono 45.434. L'importo medio mensile scende al sud a 518,68 euro.

 

Le differenze per categorie

Categorie di pensioni

L'importo medio mensile delle pensioni erogate dall'Inpdap è di 1315,23 euro, enti locali 1.092,92 euro, i dipendenti dello Stato 1.407 euro mensili, i magistrati 5.492 euro ma sono solo 3.805.

Vi sono poi milioni di persone in carne ed ossa con invalidità fisiche e psichiche (portatori di handicap, ciechi, sordomuti, ecc) che ricevono assegni di 229 euro al mese e sono subordinati a modesti livelli di reddito: è questo un dato scandaloso che indica una totale insensibilità a chi è penalizzato senza nessuna responsabilità. Il peso sulle famiglie degli invalidi e dei disabili è particolarmente gravoso.

La nuova legge non prevede nessun aumento delle pensioni, nemmeno di quelle minime né un qualsiasi meccanismo di rivalutazione che impedisca l'erosione del potere di acquisto.

E' bene ricordare che la Legge Dini del '95 ha introdotto il sistema contributivo per calcolare l'importo per la pensione, ha cioè accresciuto la personalizzazione della pensione a scapito della solidarietà interna al sistema. I lavoratori e le lavoratrici che al 31/12/95 avevano maturato una contribuzione pari o superiore ai 18 anni potranno pensionarsi con il vecchio sistema, cioè con la media dei salari degli ultimi 10 anni; quelli che avevano maturato una contribuzione inferiore sempre al 31/12/95 si vedranno calcolare la pensione in parte col sistema retributivo ed in parte con quello contributivo; quanti hanno iniziato a lavorare dopo il 31/12/95 si vedranno calcolare la pensione col sistema contributivo: quello che dimezza la pensione. Tra l'altro viene abolito il minimo di pensione in quanto per accedere alla pensione il diritto scatta solo se i contributi versati producono un importo superiore ad una volta e venti dell'assegno sociale, che nel 2004 è pari a 440.20 Euro
La legge prevede fino al 2007 ed in via sperimentale un prelievo (contributo di solidarietà) sulle pensioni d'oro. Prelievo che già esisteva ma viene elevato al 4% e sulla sola quota eccedente i 13.398,75 euro al mese (25 X 535,95). Un "povero" pensionato che percepisce 20mila euro al mese dovrà versarne 264. Cioè meno di 9 euro al giorno sugli oltre 606 che percepisce. Una misura demagogica. La verità è che le pensioni d'oro non si possono toccare come le scandalose liquidazioni dei manager di stato e privati.

I bassi importi delle pensioni e degli assegni assistenziali e di invalidità (maggiormente colpito è il Mezzogiorno) costringono milioni di persone a vivere nell'indigenza. Cresce l'emarginazione degli anziani ed è questa una questione sociale di prima grandezza. Questo stato di cose pesa negativamente anche sull'economia.

L'aumento consistente dei minimi e più in generale delle pensioni, come chiede il nostro Partito, è ormai una emergenza.      

Sante Moretti
Roma, 10 ottobre 2004
da "Liberazione"