Sciopero dei metalmeccanici.

Un Paese nel Paese

Le tute blu ci sono ancora e gridano all'Italia: “Basta politichetta, ecco i problemi veri”

Sciopero dei metalmeccanici

Sciopero a Milano

Manifestazione a Milano. 29 Settembre 2005.

Photo by Corriere della Sera

Il grande successo dello sciopero e delle manifestazioni dei metalmeccanici ci ha fatto vedere un altro Paese. E' un paese forte, intelligente, che c'entra poco con la rappresentazione macabra e grottesca che il governo sta mettendo in scena. Una volta si diceva: paese reale e paese legale. Già, e mai sono stati così lontani.

I metalmeccanici rimettono al centro dell'agenda politica le questioni vere della crisi devastante che attraversiamo. Che crisi è? Ha tre facce: l'assenza di strategia e progettazione industriale, l'ingigantirsi della questione salariale, il tema di fondo della democrazia dei lavoratori.

E di fronte a questa crisi - così forte, così chiara - si presenta un governo allo sbando. Il governo Berlusconi è in preda a un processo di dissoluzione del suo blocco sociale e sta cercando con disperazione una via di fuga. Dove fugge? Cerca riparo in quell'empireo della politica che fa vita a se, separata dalle cose, dal paese, dalle classi e dai ceti sociali, dalla crisi reale. Si aggrappa alla riforma del sistema elettorale per cercare un compattamento che blindi i passaggi della controriforma costituzionale e della finanziaria, sui quali, senza quella carta disperata e azzardata, cadrebbe.

Noi non abbiamo voluto entrare nella discussione sul merito della legge elettorale, proprio perché abbiamo colto il carattere diversivo di quella proposta. Non c'era un'idea di democrazia, o un'idea di riforma, ma solo un espediente tattico, cioè la scelta di alzare un'enorme coltre che nasconda il fallimento di questa maggioranza e di questo governo, operi una illusione ottica che confonda i dati della sofferenza sociale per spostare il fuoco dell'attenzione verso l'ingegneria istituzionale. E' come se la politica entrasse in un gioco di specchi deformanti in cui smarrisce il suo rapporto con i soggetti reali, e così viene stravolta e deprivata di senso.

Ma anche nel merito, l'operazione che si vuole compiere sulla legge elettorale mostra la capacità mistificante e corruttiva di questo governo. Nella proposta della maggioranza non c'è la riproposizone del proporzionale contro la degenerazione del sistema maggioritario. Al contrario, il proporzionale viene strumentalizzato e piegato dentro la logica maggioritaria e bipolare.

La manovra sulla legge elettorale è quella che il popolo delle opposizioni ha capito: a pochi mesi dal voto, il tentativo di evitare o almeno ridurre la sconfitta attraverso il cambiamento delle regole del gioco.

Il governo Berlusconi è stato un tentativo ambizioso delle classi dirigenti di imporre una politica di sfrenato liberismo. Per realizzare questa politica, si è stabilita un'alleanza tra politica, affari, impresa. Questo tentativo è stato realizzato con questo sistema politico e con questa legge elettorale. Con la medesima legge, venga decretata la sua sconfitta.

Per poi fare cosa? Questa è la domanda. Dobbiamo aprire una nuova pagina, un nuovo corso. Dentro questo nuovo corso deve trovare una risposta la domanda di ampliamento degli strumenti di partecipazione democratica, tra le quali vi è anche il superamento vero della logica del maggioritario.

Non basta che l'Unione denunci la manovra del governo e chieda lo scioglimento delle Camere. L'Unione deve intervenire attivamente affinché, anche attraverso lo sviluppo del conflitto sociale, la sconfitta del governo delle destre abbia una sanzione popolare che il voto non potrà che confermare.

Per fare questo, l'Unione deve connettersi al Paese reale, cioè proprio a quel Paese nel Paese che ieri ha svuotato le fabbriche e riempito le piazze delle città italiane.

Nell'Italia democratica, la vertenza contrattuale dei metalmeccanici ha sempre avuto un significato politico generale, rappresentando un punto di svolta e un discrimine nelle politiche economiche e sociali. E' così anche adesso.

L'Unione, al cui interno poche sono state le prese di posizioni e troppi i silenzi, prenda ora una decisone importante: decida di schierarsi a sostegno del contratto dei metalmeccanici e assuma nel programma generale dell'Unione le principali istanze che da quello vengono: una politica di redistribuzione del reddito a favore del lavoro dipendente, una nuova idea dell'intervento pubblico e della programmazione, la lotta al lavoro precario a partire dall'abolizione della legge 30, l'estensione della democraziache va realizzata con una legge sulla rappresentanza sindacale che faccia dei lavoratori i protagonisti dell'approvazione o del rifiuto delle piattaforme e degli accordi.

Attendere che il governo cada come una pera dall'albero può rivelarsi un'illusione. Il fatto che la sua maggioranza è in una crisi irreversibile non lo rende meno pericoloso, anzi, come il blitz disperato sulla legge elettorale dimostra, può far divenire ancora più inquietante questo finale di legislatura.

Dobbiamo evitare di affondare nelle sabbie mobili della fuga politicista in cui vogliono far precipitare lo scontro politico riducendolo a questione di modelli elettorali.

L'Unione deve guadagnare la terraferma: la democrazia non si salva nel terreno separato della politica ma con una connessione con la questione sociale.

La lotta al fianco dei lavoratori metalmeccanici e delle altre categorie, il sostegno alle vertenze territoriali, la mobilitazione contro questa legge finanziaria sono un banco di prova. Una lotta che intrecci una battaglia parlamentare limpida, anche su una piattaforma limitata ma esemplificativa del nuovo corso che si vuole aprire, con una estensione del conflitto.

Ieri lo sciopero dei metalmeccanici, il 15 ottobre la manifestazione contro la Bolkenstain, le altre mobilitazioni che si annunciano, come quella nazionale per il diritto alla casa di fine ottobre, sono tappe fondamentali di un percorso che precipiti lo scontro.

Le elezioni anticipate non basta invocarle. L'Unione non stia a guardare: scenda in prima persona apertamente dentro il conflitto aperto contro questo governo.

Da qui può partire il nuovo corso che il Paese reale chiede.

Fausto Bertinotti
Roma, 30 settembre 2005
da "Liberazionr"