Unipol e Bnl

I Ds in quel pasticcio un po’ berlusconiano

Come è possibile che il principale partito della sinistra italiana sia coinvolto in una spregiudicata, e torbida, operazione finanziaria tale da far impallidire pescecani dell’alta finanza?

Dopo aver occupato le cronache estive, la “questione morale” del rapporto tra politica, politica di sinistra e finanza riemerge con l’indagine della magistratura milanese su Giovanni Consorte, presidente di Unipol, società di assicurazioni che ha lanciato l’Opa sulla Bnl e che è finito nel mirino della procura per la vicenda legata ad Antonveneta e alle manovre oscure di Giampiero Fiorani.

Le accuse contro Consorte, in realtà, erano nell’aria: i rapporti stretti con l’amministratore delegato della Popolare Lodi (poi diventata Banca popolare italiana) non potevano passare inosservati e finire nel dimenticatoio. Il problema però non è tanto l’inchiesta sulla Bpi quanto le sue ricadute sul caso Unipol-Bnl e quindi sulla pretesa dell’assicurazione legata ai Ds di impossessarsi di una delle principali banche italiane. Su questo versante non ci sono pendenze giudiziarie in corso, almeno per il momento. Ma quello che è evidente è che è in atto una larga manovra per attaccare l’operazione di Consorte e soci, mettere all’angolo le mire egemoniche dei Ds e ristabilire così un ordine gerarchico all’interno del capitalismo italiano. Una partita di ampio respiro e di grandi ricadute politiche che riguardano la coalizione di centrosinistra e in particolare il suo nocciolo duro, l’Ulivo di Romano Prodi, che cerca di tenersi al di fuori dalla bagarre.

Insomma, in gioco c’è il rapporto che questo schieramento vuole avere con il gotha del capitalismo italiano, quello di Pirelli, Banca Intesa, Fiat, Mediobanca, Generali, Capitalia, Ligresti (cioè i nemici più sinceri dell’operazione lanciata da Unipol e, guarda caso, gli azionisti di riferimento del principale giornale italiano, il Corriere della Sera, anch’esso fiero avversario di quell’operazione).

Vista la portata e le dimensioni dello scontro - grossolanamente: da una parte gli “europeisti” che puntano a preservarsi il futuro in chiave sovranazionale, dall’altra i “nazionalisti” che invece puntano a un sistema bancario italiano rafforzato e protetto - non è pensabile di schierarsi con una o con l’altra fazione.

Piuttosto sarebbe bene mettere a tema il nodo di un intervento pubblico anche nel sistema bancario come stratagemma per difendere davvero l’interesse collettivo. Ma a parte questo, qui la domanda fondamentale è: che ci fanno i Ds in questo intrico? Come è possibile, cioè, che il principale partito della sinistra italiana, quello che ha ancora il maggior intervento nel mondo del lavoro, che si candida a governare in nome dell’equità sociale e in difesa dei diritti dei lavoratori, sia coinvolto in una spregiudicata, e torbida, operazione finanziaria tale da far impallidire pescecani dell’alta finanza? Il paradosso è ormai tale che, nei retroscena giornalistici, si ipotizza, con qualche ragione, una convergenza oggettiva tra le mire diessine e i disegni berlusconiani. Il premier, infatti, da sempre non sopporta, ricambiato, il “salotto buono” della finanza nordica. I suoi alleati - Ligresti per tutta una fase e Doris di Mediolanum - hanno penato, e tuttora penano, per entrare a farvi parte e il progetto di difesa dell’italianità delle banche nazionali, sostenuto da Fazio in sostegno dei vari Fiorani o Consorte, è stato sempre visto di buon occhio da palazzo Chigi.

D'altro canto, tra i principali oppositori del progetto Unipol c’è la stessa Cgil. Insomma, un pasticcio di interessi e di “convergenze parallele” tali da creare più di un imbarazzo. E il gruppo dirigente dei Ds non può certo cavarsela, come fa D’Alema, con un’alzata di spalle o con una presa di distanza da Consorte a cui non può credere nessuno. Quindi, la domanda resta: cosa ci fanno i Ds in questo intrico? Forse, però, se connettiamo la domanda a due altri fatti recenti, la risposta allude a una questione ancora più generale.

I Ds, infatti, hanno presentato il loro programma di governo in anteprima agli imprenditori italiani con tanto di cena prelibata e tavola imbandita in cui si poteva vedere Romiti accanto a D’Alema o Fassino accanto a De Benedetti. Inoltre fa parte della Lega delle Cooperative (che ha ancora qualcosa a che fare con il maggior partito della sinistra) la Cmc, cioè la società che ha ottenuto in appalto i lavori per la Tav in Val di Susa e che sta scatenando la protesta della valle. Dunque, la domanda ulteriore è d’obbligo: cosa sono diventati i Ds o cosa pensano di essere diventati? E’ possibile che un partito della sinistra finisca per fare gli interessi dei grandi poteri forti prima che quelli della sua base di riferimento? E’ possibile che produca esperienze di governo di cui poi si debba pentire come è successo con D’Alema presidente del Consiglio, o come sta succedendo con Cofferati a Bologna? E che dire della veemenza con cui Chiamparino contrasta il movimento contro la Tav fino a spingersi a ricorrere alla Questura per vietare un corteo nelle vie di Torino? Sono segnali forti, con i quali occorre fare i conti e con i quali sono i Ds i primi a doversi cimentare.

Alla domanda non vogliamo rispondere noi, per rispetto di quel partito ma la domanda è posta. E ci sembra che pesi come un macigno.

Salvatore Cannavò
Roma, 14 dicembre 2005
da "Liberazione"