Le accuse sono esplicite e dirette: i “finanzieri” lodigiani si sono
arricchiti creando una banca nella banca con la quale truffavano la
clientela per creare fondi neri da impiegare nelle loro ardite
speculazioni finanziarie con sogni da grande finanza seppelliti dalle
indagini della magistratura. C’è qualcosa che ricorda Tangentopoli in
questa vicenda e non solo perché gli arresti dell’altra sera si
annunciano come la prima tappa di un’inchiesta che può fare vittime
eccellenti (oltre al ministro Calderoli, che compare nell’ordinanza del
Gip Forleo, nei corridoi di Montecitorio già circola il nome di
plenipotenziari dalemiani, ma sono voci che non ottengono conferme). In
realtà a ritornare è un’analogia: così come allora, sulla base di una
corruzione accertata e conclamata, il sistema italiano si liberò di una
“classe” politica vetusta e inadatta alle necessarie modernizzazioni
imposte dall’unificazione europea, oggi dal capitalismo italiano viene
espunto un settore di “outsiders” che ha cercato di mettere le mani
sulla cassaforte utilizzando metodi criminali e che è stato sempre mal
sopportato dal cosiddetto salotto buono.
Le colpe di Fiorani e soci sono indiscutibili - per lo meno lo sono se
l’indagine porterà a una condanna - ma quello che è altrettanto
indiscutibile è che nei suoi confronti e in quelli di altri personaggi
come Ricucci o come lo stesso Consorte, è stato sferrato un attacco di
inaudita violenza fino alla conseguenza dell’arresto.
Servirà
questa iniziativa a eliminare la mela marcia dal cesto del capitalismo
italiano, a rimuovere il bubbone e a far filare tutto liscio? Questo è
senz’altro l’auspicio di Luca Cordero di Montezemolo, il presidente di
Confindustria, che ieri ricordava, commentando il caso, quanto ormai
siano poco etici i rapporti tra politica e affari, alludendo alla
necessità di una bonifica generale. In realtà le parole di Montezemolo
possono essere lette come l’ammissione che è il sistema complessivo a
soffrire di una carenza strutturale di etica. E del resto come non
stupirsi della rapida ascesa compiuta da Fiorani e dalla sua Popolare -
si guardi solo all’immenso edificio realizzato da Renzo Piano che
campeggia nel centro di Lodi? Come non meravigliarsi del ruolo occulto
giocato dal governatore Fazio che rappresenta forse l’apice di questa
vicenda?
Probabilmente anche per Fazio è suonata la campana
dell’ultimo giro, troppe sono le sue manchevolezze e i favori
dispensati agli amici. Ma, nel caso il Governatore fosse costretto ad
andarsene - e sarebbe davvero troppo tardi - la situazione sarebbe
risolta e il sistema ripulito? Ci permettiamo di dubitarne così come ci
permettiamo di sostenere che a mancare di etica non è solo il rapporto
tra una certa politica e un certo mondo degli affari ma che a finire
sul banco degli imputati nel caso Fiorani è l’intero sistema
capitalistico italiano. A cominciare dal sistema bancario.
Non
sarebbe oggi necessaria una commissione di inchiesta a tutto campo che
verificasse quale grado di malversazione venga compiuto in un sistema
in cui i costi per la clientela salgono a livelli sconsiderati facendo
lievitare i profitti (le prime sei banche italiane hanno realizzato nel
2004 oltre sei miliardi di euro di utili) ma in cui salgono anche le
sofferenze delle banche stesse così come i crediti incagliati? Anni fa
il sistema bancario fu privatizzato grazie alla legge Amato con la tesi
che il sistema pubblico produceva inefficienza e corruzione. Qual è
oggi il bilancio di quella privatizzazione? E’ sufficiente guardare ai
casi Cirio, Parmalat e oggi Antonveneta per rispondere alla domanda.
Ma il problema è più ampio. E’ evidente come ormai il sistema bancario
sia decisivo nello sviluppo del capitalismo italiano e nella sua
possibilità di rimanere agganciato ai processi di globalizzazione.
L’infezione allo sportello si estende a tutto il sistema e lo rende
sempre più esposto. Basti pensare che una delle imprese italiane più
importanti, la Telecom posseduta oggi dal gruppo Pirelli, naviga su
oltre 44 miliardi di euro di debiti, pari al 67% del capitale e che
un’altra azienda di spicco del sistema italiano, Benetton, soffre un
debito del 71% sul proprio capitale.
Sono segnali di una
fragilità eccessiva che riguardano anche altre aziende a cominciare
dalla Fiat. E quale livello di etica è rintracciabile in una vicenda
come quella di Olivetti, massacrata da Carlo De Benedetti con la
chiusura degli stabilimenti e la perdita di occupazione ma con la
contestuale valorizzazione di Omnitel che oggi ha finito per
beneficiare gli inglesi di Vodafone?
In realtà il sistema
italiano si regge ancora su imprese che o sono pubbliche o sono state
privatizzate recentemente - spesso dal centrosinistra - e che, grazie a
una condizione di monopolio o quasi, rendono utili sicuri. I due terzi
dei profitti delle prime venti società italiane provengono da petrolio
e gas (Eni), energia elettrica (Enel), ristorazione stradale
(Autogrill), telefonia, televisione, etc. Una condizione che, invece di
far riflettere sull’opportunità e l’utilità di potenziare e rilanciare
l’intervento pubblico - anche, non smettiamo di ripeterlo, in ambito
bancario - spinge per un’ulteriore liberalizzazione e privatizzazione
del sistema economico. Senza curarsi del fatto che questa linea è stata
massicciamente applicata negli ultimi venti anni con i risultati che
vediamo: aziende deboli, indebitate, incagliate in un sistema
complessivamente malato che grazie alla torsione operata sul lavoro
dipendente hanno conseguito profitti elevati.
I dati sono
espliciti: nel 1994 l’utile complessivo delle prime venti aziende (a
valori attuali) era di 5,5 miliardi di euro su 214 di fatturato. Oggi
il fatturato è salito lievemente (273 miliardi di euro) mentre l’utile
complessivo è aumentato di tre volte e mezzo arrivando a 18 miliardi.
Come è stato possibile? Semplice: nello stesso arco di tempo la quota
di valore aggiunto assegnato alle retribuzioni è sceso dal 46 al 29%
mentre quello incamerato dagli azionisti ha seguito il cammino inverso,
dal 29% è passato al 46% del totale. Una gigantesca redistribuzione di
reddito con uno spiccato segno di classe che ci dice dell’immoralità
intrinseca del capitalismo. Roba che nemmeno Fiorani può eguagliare.