Che disastro, la vita è più lunga!

Pensioni, la partita dell’età è truccata

Tutte le volte che sentiamo parlare di pensioni sull’onda dell’ideologia liberista, entriamo in un mondo rovesciato, ove il bene diventa male e viceversa.

Come è possibile che nell’Italia di oggi, con le sue drammatiche ingiustizie sociali, con una ripresa industriale che per i soliti esperti pare venire dal nulla, con un sistema fiscale vergognoso ai danni dei lavoratori e dei pensionati, con sprechi di denaro pubblico che vengono da lontano e vanno lontano, come è possibile che ancora una volta sul banco degli accusati stiano le pensioni?

Che sconforto. Anche un ottimo giornalista come Gian Antonio Stella, abituato a non fermarsi alla facciata dei problemi e ad andare a cercare le loro radici nel concreto della vita, sulle pensioni si fa travolgere dalle banalità liberiste. Lunedì, sul Corriere della Sera, Stella usa una pagina per spiegare che con l’aumento della vita media degli italiani, bisogna allungare l’età pensionabile. Ma guarda un po’, una lenta conquista umana che diventa improvvisamente una disgrazia economica.

Tempo fa è capitato di sentire l’annunciatore di un telegiornale dire che bisognava rivedere le pensioni, perché “purtroppo” si è allungata la vita. Purtroppo che? Per fortuna, invece e si potrebbe fare meglio perché, se non ci fossero l’inquinamento, gli infortuni sul lavoro, la sanità di classe, la vita media in Italia sarebbe oggi ancora più lunga. E allora bisognerebbe tagliare ancora di più le pensioni?

Viene in mente la vicenda dell’amianto. I lavoratori che sono stati sottoposti per anni agli effetti di quel terribile veleno, possono andare in pensione prima. Naturalmente c’è qualcuno che, per sua fortuna, non ha subito danni da quell’agente cancerogeno. Ma tanti altri invece sono lì ad aspettare. Eppure ci sono stati commentatori che hanno sollevato lo scandalo per l’eccesso di spese sull’amianto.

Tutte le volte che sentiamo parlare di pensioni sull’onda dell’ideologia liberista, entriamo in un mondo rovesciato, ove il bene diventa male e viceversa. Si pensava che questo modo di pensare fosse tramontato con i fallimenti del governo Berlusconi. E invece scopriamo che esso è duro e resistente, convinto fino al midollo della propria ideologia. Certo non è casuale che dietro al nuovo attacco delle pensioni ci siano i suggerimenti di quella “buon costume” internazionale dell’economia che, dal Fondo monetario internazionale alla Bce, dalle agenzie di rating agli esperti di Borsa, odia tutto ciò che è pubblico, a partire dalle pensioni e ama tutto ciò che è privato, a partire dai fondi. E’ normale che tutti costoro chiedano l’ennesimo taglio alle pensioni, incuranti di tutto se non della possibilità che finalmente anche in Italia succeda come negli Usa, ove tutta la spesa sociale è in mano alla speculazione privata.

Ma la partita dell’età è truccata in partenza. La compatibilità della spesa pensionistica non è determinata dall’età delle persone, ma dal suo costo rispetto al sistema complessivo. E la verità è che i conti contraddicono la necessità dei tagli. La spesa sociale italiana, come si sa, è di due punti inferiore alla media europea. Anche quella pensionistica prevede una dinamica per il futuro più bassa di tanti altri paesi del continente. Milioni di migranti versano regolari contributi ai quali in molti casi non corrisponderà alcun trattamento pensionistico. Essi ci finanziano, dunque, bisognerebbe ricordarlo ai tanti difensori della sicurezza della stirpe italica.

Insomma, per pagare nuove misure di solidarietà non c’è bisogno di andare a tagliare quello che già si spende. Bisogna semplicemente aumentare la spesa sociale rispetto al prodotto lordo, fino alla media europea. L’evasione fiscale in Italia è di 100 miliardi annui, quella contributiva di alcune di decine di miliardi, il costo annuale degli infortuni sul lavoro è di 30 miliardi all’anno. Se il governo vuole davvero una manovra di 27-30 miliardi perché non trova i soldi in queste voci negative del bilancio del Paese? Perché non si comincia con l’abolire la seconda parte della contro riforma fiscale di Berlusconi, che regala 6 miliardi di euro ai contribuenti più ricchi? Non si capisce, magari è per aiutarci a non capire che si parla dell’allungamento della vita.

Proprio sul Corriere della Sera, nel supplemento economico, Massimo Muchetti ci racconta che in tutti i paesi ricchi il peso dei salari nella distribuzione della ricchezza è in caduta esponenziale, mentre quello dei profitti va nella direzione opposta. Lo stesso avviene in Italia. La ricerca dell’Ires mostra una grande maggioranza di salari di fame e un mondo del lavoro che rischia di essere travolto dalla precarietà. Due pensionati su tre vivono con meno di 600 euro al mese, quasi tutti gli altri, tranne poche decine di migliaia, vivono con 1000 euro al mese. Che vuol dire disincentivare l’andata in pensione con queste paghe? Significa semplicemente che un operaio della Fiat potrà decidere di continuare a lavorare alla catena di montaggio, oppure di andare in pensione con 650 euro al mese invece che con 800. Dove è la libertà in questa scelta? E come dimenticare poi che nella gran parte dei posti di lavoro oggi a 45 anni entri nella categoria dei possibili esuberi, e che dopo i 50 anni un uomo e soprattutto una donna non trovano più un lavoro dignitoso? Coloro che vogliono dare meno ai padri e più ai figli, lo sanno che così ci saranno sempre di più padri e madri, troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione, che contenderanno ai figli il lavoro precario? L’allarme sulle pensioni è un vero e proprio depistaggio sociale.

Il lavoro faticoso degli operai e di tanti altri che vengono spremuti come limoni nella produzione capitalistica e fanno oggi grande fatica ad arrivare ai 35 anni integri; il lavoro precario che, con il modello Atesia, ai 35 anni di contributi non ci arriverà mai; il lavoro delle donne, che, come sempre, viene trattato peggio due volte perché sintesi di lavoro faticoso e precario. Qui bisogna superare le ingiustizie accumulatesi con le varie riforme delle pensioni, ce ne sono state ben 3 in meno di 15 anni.

Invece per Massimo D’Alema è uno scandalo che si pensi ancora di andare in pensione a 57 anni. Ma di chi parla? Giustamente Alfonso Gianni propone di partire dalle condizioni concrete di chi lavora. Se poi si vuole davvero colpire qualche privilegio, si dica quale. Non ho mai incontrato persone con lavori gratificanti che fossero ansiose di andare in pensione; mentre in ogni assemblea che si fa in questi giorni c’è la rabbia di lavoratori sfruttati che si sentono, con l’allungamento dell’età pensionabile, minacciati del furto di una parte della propria vita.

E’ inutile stupirsi tutte le volte. Le pensioni in Italia sono il crocevia dello stato sociale, ed è per questo che gli annunci del governo sull’età pensionabile hanno provocato tanta avversione, prima di tutto in chi il centrosinistra lo ha votato. Perché ancora una volta la politica parte dai grandi discorsi e poi, per incapacità e rassegnazione, finisce per chiedere i soldi ai soliti noti. Si dice che sui lavori usuranti siamo tutti d’accordo. Bene, si cominci da lì. Si cominci a mandare in pensione prima un lavoratore siderurgico, un conducente di autobus delle grandi città, lavoratrici e lavoratori affaticati da 35 anni di duro lavoro e poi si veda cosa c’è da razionalizzare. Finora si è sempre fatto il contrario. Si è promessa giustizia e si è allungato il tempo di lavoro a chi oggi già lavora troppo.

La decisione di togliere la materia pensioni dalla finanziaria sarebbe già un atto di saggezza. Ma non può essere una finzione. Si deve fare così perché le pensioni non devono più servire per fare cassa nel bilancio pubblico. Esse sono uno strumento di giustizia e solidarietà e pertanto vanno affrontate come tali, al di fuori dei giochi di equilibrio della finanziaria. Questa è una sfida anche per il sindacato, che deve finalmente presentare una propria piattaforma per superare, a partire dallo “scalone” di Berlusconi, le ingiustizie attuali del sistema pensionistico, senza tagli e con il consenso delle lavoratrici e dei lavoratori.

Nel frattempo la finanziaria la paghino i ricchi, questa sì che sarebbe una innovazione.

Giorgio Cremaschi
Roma, 6 settembre 2006
da "Liberazione"