La crisi in provincia di Milano

«Siamo già oltre il declino, siamo nel dramma»

Milano è la città del terziario avanzato? No. E' la città della menzogna sul lavoro.

«Siamo già oltre il declino, siamo nel dramma». Un tavolo ingombro di cartelline con nomi d'aziende. Una quarantina di casi sotto stretta osservazione negli ultimi 15 giorni. Più le situazioni aperte da tempo, alcune da anni. E' il catalogo della crisi in Provincia di Milano. Con botti da centinaia di lavoratori a casa o in cassaintegrazione per Gabetti, Pirelli, Engineering, Eds, Hewlett Packard, Mivar, Telecom, Unilever, Rhodia, Nokia, Siemens. Solo per citare le grandi. Più decine di medie aziende. E un mare di piccole «di cui non riusciamo nemmeno a sapere dell'esistenza. Noi come il sindacato». Dentro le cartelline 2.500 posti di lavoro andati in fumo, 5mila uomini e donne in cassintegrazione tra straordinaria, rinnovata, richiesta. «E sono solo gli anticipi della recessione che sta arrivando d'Oltreoceano, non abbiamo ancora visto niente».

Bruno Casati è un comunista che ha dato negli ultimi due anni quasi 20 milioni di euro alle aziende della Provincia di Milano. Per non andarsene, per rilevare, per non licenziare. Il suo assessorato è praticamente unico in Italia: “contrasto crisi industriali e occupazionali”. Quando si è insediato nel 2004 la valanga era nel tessile. Ma in cinque anni è arrivato di tutto. 214 casi seguiti. Cinque salvataggi a risultato pieno e decine di toppe. Con altri 20 milioni di euro per “accompagnare” lavoratori in uscita da crisi, licenziamenti, cassaintegrazione. Un bacino di 25mila donne e uomini, più di 8mila “percorsi” avviati, 5.238 già portati a termine positivamente. Un altro lavoro. Tanto per dare un'idea della grandezza, lo “sportello Biagi” (così li chiamò il Governo Berlusconi III) finanziato con 7 milioni da Comune, ministero del Welfare e Regione ha trovato lavoro a 32 persone su 3200 casi ed ha chiuso. Mettendo un altro centinaio di co.co.pro a spasso. Morale: 3800 euro a lavoratore ricollocato per la Provincia contro i 125mila per il Comune. Ma adesso in Provincia c'è altro da fare.

Al pian terreno di Palazzo Isimbardi, sotto la scultura de l'uomo della luce , pericolosamente in bilico su una trave, comincia la quotidiana “via crucis del lavoro”. Ieri toccava a quelli della Marriott (2500 hotel in tutto il mondo) 38 cameriere ai piani, facchini, lavandaie. Tutti gente che la Marriott vuole esternalizzare. E basta. Hanno scioperato. Li hanno sospesi per ripicca. Il tribunale li ha reintegrati ma la Marriott li ha messi in ferie dall'estate ad ora. E adesso li caccerà. A ogni costo. Non c'è danno d'immagine, turismo di Natale o Expo 2015 che tenga. L'assessore esce con il suo comunicato. Duro. Attacca hotel, Federalberghi e Comune. E non è un bel segnale. Quando è così, vuol dire che c'è poco da fare. Altrimenti si lavora in silenzio. L'uomo delle crisi non aspetta le scadenze della mobilità o i tribunali. Per avere qualche chance deve intervenire prima del conto alla rovescia del tutti a casa. Altrimenti si può solo accompagnare all'uscita. Ma la maggioranza delle crisi è così. Le imprese non raccontano “i fatti loro”, il pubblico è sempre e solo una controparte. «E' un vero peccato, anche perché i soldi per uscire dalle crisi principalmente vanno alle aziende che si fanno responsabili socialmente del loro impatto, ma non c'è questa cultura, non si condivide, si arriva a chiedere quando ormai il patatrac è fatto». Alla faccia del modello concertativo che vale solo per guadagnare produttività.

Assolombarda è una fortezza. Anche per molti dei suoi iscritti che scelgono sempre di più Confapi. E alla fine gran parte del lavoro si fa con i sindacati. Per poi inseguire le imprese. Magari con un compratore trovato dall'assessore. E ancora picche. E' successo proprio in questi giorni con la Fast&Fluid che chiude a Cinisello Balsamo. Italiani i brevetti. Ma la holding americana ha accorpato varie aziende e fatto base in Olanda. Quindi chiude qua. Senza crisi. All'imprenditore iraniano trovato da Casati non vuole vendere. Si tiene qualche venditore e manutentore. L'impianto lo smantella. E dopo scioperi, tavoli, strade occupate i lavoratori sono stati chiamati uno ad uno dall'impresa: 20mila euro a cranio. Li hanno presi. Che dovevano fare? Occupare? Chi ci ha provato, i 50 della Innse presse in via Rubattino, hanno ancora una chance che il padrone venga “convinto” a vendere. Ma è una chance.

Due casi esemplari. Una multinazionale e un imprenditore italiano. Le multi se ne vanno così: una lettera di benservito e arrivederci. Spesso hanno preso incentivi pubblici per installarsi. E allora qualcosa si riesce a spuntare. Abb se ne è andata. Ibm è ancora qua. E poi ci sono dei nuovi arrivi. Come i russi della Severstal che dopo Lucchini e Piombino prendono la Redaelli Cavi di Cologno Monzese; o la indiana Gammon che si è appena comprata la storica Franco Tosi di Legnano, motori elettrici dal 1876. O ancora la Sharp che ha scelto l'Italia per produrre un nuovo sistema di apparecchi fotovoltaici con uno stabilimento da localizzare a Milano, Catania o Torino. E poi ci sono i “cacciatori d'affari” come quelli dell'americana Jabil che stanno aspettando di capire se conviene prendersi lo stabilimento della Siemens-Nokia a Cassina de' Pecchi (con un po' di lavoratori). In questo caso tutti dall'assessore. A vedere se c'è qualche aiutino pubblico. E poi ci sono storie infinite. Come la Hitman-Cerruti di Corsico, quelli che vestivano Richard Gere e mezza Hollywood negli anni '80, passati nel 2004 dalla prima crisi finanziaria della moda (il crack Fin.Part) al fallimento, cessioni, rilanci, ricadute. Nel frattempo le lavoratrici da 350 sono diventate 70. E ora sperano in un nuovo stabilimento in costruzione sulla vigevanese.

Eppure a Milano c'è lavoro. Lo dicono gli imprenditori, le istituzioni. C'è solo rigidità del mercato del lavoro. Scarsa mobilità e troppa burocrazia. Eppure cinque anni di lavoro di Casati dicono il contrario. E anche i numeri. Quelli de l'Osservatorio Mercato del Lavoro della Provincia. Lì per legge arrivano “le comunicazioni” di tutte le imprese: assunzioni, cambi e fine contratti. Flussi veri. Non stime. Così si scopre, ad esempio, che da gennaio a settembre 2008, gli “avviamenti” (cioè i nuovi contratti) in provincia sono stati 615mila ma 394mila gli “avviati”, cioè le teste, i lavoratori. Tra tutti gli avviamenti 124mila erano di durata inferiore ai due giorni (sostituzioni scolastiche o gente dello spettacolo con contratti moltiplicati in un anno). 491mila sono “non di brevissima durata”, il 34,2% a tempo indeterminato e di questi ancora un terzo in part time. Salgono gli avviamenti e salgono molto meno gli avviati. Aumentano i tirocini non pagati che si mangiano praticamente tutto il somministrato. E' la flessibilità. Poi, le sorprese. Perché, ad esempio nel 2007, più del 40% dei 181.777 avviamenti a tempo indeterminato full time è già cessato. In un anno 4 su 10 contratti di “buon lavoro” sono già persi. Per il 2008 il dato sembra confermato. Con l'aggravante del diluvio di mancati rinnovi dei contratti a termine.

Ma c'è un'altra tendenza, la più grave e bugiarda forse, che emerge dalle elaborazioni dell'Osservatorio e che riguarda proprio le lavoratrice del hotel Marriott. Tutto comincia nel 2007 quando il lavoro “standard” torna ad aumentare dopo anni di picchiata. Allora si parlò di ritorno al “buon lavoro”. A ben guardare, invece, non erano cresciute professionalità di alta gamma, ma le esternalizzazioni, con tanto part time e brevi durate (nonostante il tempo indeterminato). E' il boom delle cooperative di servizi. Facchini e impiegati d'ufficio, conduttori d'impianto, addetti alle pulizie e al magazzino, ausiliari della sanità fino alle scodellatrici delle mense di scuole e asili. Tutti assunti da cooperative, magari per due giorni alla settimana. Ma assunti. Tutti registrati come terziario. Ma sono altro. Dal metalmeccanico, al pubblico. Milano è la città del terziario avanzato? No. E' la città della menzogna sul lavoro. Così il Comune gongola perché registra solo 80mila disoccupati. Ma gli inoccupati sono quasi un milione (su 4 milioni di abitanti dell'area metropolitana). Dove sono finiti? Al mercato nero, nel sommerso. O a casa.

Claudio Jampaglia
Milano, 26 novembre 2008
da “Liberazione”