Collegato lavoro:«Pronto il referendum, questa legge è incostituzionale»

Il governo sferra l'attacco mortale ai diritti dei lavoratori.

Come rispondere? Intervista a Piergiovanni Alleva (Giurista, docente di diritto del lavoro all'Università Politecnico delle Marche).

Questa volta non si tratta di un attacco frontale come fu nel 2002 il tentativo di abolire d'impatto l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Allora si trattò di un'offensiva ad alto valore ideologico, un tentativo di sfondamento che puntava a creare una testa di ponte per poi travolgere il resto dell'architrave giuridico rimasto a tutelare i diritti dei lavoratori.
Il disegno di legge 1167-B, ormai in dirittura d'arrivo nell'aula del Senato, rappresenta una vera e propria manovra d'aggiramento. «La via d'attacco - spiega il professor Piergiovanni Alleva - non è più rivolta al diritto sostanziale (cioè l'abolizione tout court della norma), ma interviene sul diritto processuale. I nuclei principali di questo provvedimento legislativo hanno tutti la medesima filosofia: fare in modo che il lavoratore non possa più arrivare in concreto a chiedere giustizia davanti al tribunale del lavoro».

Si riferisce alla possibilità prevista dalla nuova legge che le controversie fra il datore di lavoro e il suo dipendente potranno essere risolte non più solo davanda al giudice ma anche davanti ad una autorità arbitrale?

Questa invenzione non nasce oggi ma è figlia delle certificazioni previste nella legge Biagi.

Certificazioni?

La possibilità d'inserire nei contratti di lavoro, di qualsiasi tipo, cosiddetti “certificati”, ovvero validati davanti ha un'autorità (di vario tipo), una clausola arbitrale in deroga ai contratti collettivi. In questo modo si è costruito un modello contrattuale fondato su una base assolutamente ricattatoria. Quando una persona ha bisogno di lavorare firma grosso modo qualsiasi cosa, quindi firma anche un contratto “certificato” nel quale una qualunque commissione dice che effettivamente si tratta di un contratto a progetto, di un regolare contratto a termine, eccetera. Anche se poi la verità è un'altra.

E qual'è il nesso tra le certificazioni e l'arbitrato previsto dalla nuova legge?

La certificazione non ha avuto molta fortuna in questi sette anni perché, in realtà, non c'era nessuna sicurezza che reggesse davanti a un tribunale. L'articolo 24 della Costituzione vieta che ci siano atti negoziali privati, provvedimenti amministrativi, inoppugnabili, mentre l'articolo 111 impedisce la possibilità che vi siano contratti che sfuggano alla possibilità di un controllo giurisdizionale. Davanti al tribunale del lavoro si sarebbe potuto dimostrare, per esempio, che questi contratti “certificati” come contratti a progetto nascondevano in realtà forme di lavoro subordinate e così via.

Allora ecco la grande invenzione di questa legge. Siccome queste ”simulazioni blindate“ non reggono davanti al giudice, il governo ha pensato di eliminare anche il giudice mettendo al suo posto un cosiddetto arbitro. In questo modo queste simulazioni non potranno più essere smentite. Come se non bastasse la clausola arbitrale presente nel contratto certificato non riguarderà soltanto la natura dei contratti (tempo determinato, indeterminato eccetera), ma anche le modalità di licenziamento. In caso di controversia sulla fine del rapporto di lavoro ci si ritrova di nuovo davanti ad un arbitro, il quale può decidere non secondo le leggi e gli accordi stabiliti in sede di contrattazione collettiva ma secondo “equità”, cioè secondo una propria valutazione soggettiva. Oggi se il giudice constata la ragione del lavoratore deve reintegrarlo per legge sul posto di lavoro, l'arbitro invece potrà limitarsi ad una piccola somma di risarcimento.

Mi par di capire che questa legge rimette in discussione i cosiddetti diritti indisponibili del lavoratore, tutelato proprio in quanto parte debole nel rapporto contrattuale, introducendo una finzione giuridica, ovvero la parità astratta tra datore di lavoro e chi offre la propria forza lavoro.

Siamo di fronte ad una ipocrisia colossale, intanto perché le commissioni di certificazione avrebbero dovuto assistere il lavoratore, cosa che non è mai avvenuta; poi perché la clausola arbitrale posta all'avvio del rapporto contrattuale, cioè al momento dell'assunzione, comporta un problema di costituzionalità perché non si avrà mai una rinunzia alla giustizia ordinaria da parte del lavoratore (evidentemente più vantaggiosa) che sia effettivamente una rinunzia libera.

Come si può rispondere a questo smantellamento dei diritti cardinali dei lavoratori?

La strada migliore è attaccare la questione alla base. Poiché la clausola arbitrale si innesta su una particolare tipologia di contratti, cioè sul “contratto certificato”, bisogna abolire la certificazione. Quindi una delle vie da seguire è quella del referendum. Tra i quesiti referendari che Rifondazione vuole presentare ce n'è uno che mira proprio all'abrogazione della norma della vecchia legge Biagi che stipulava la possibilità della certificazione. Esiste poi una seconda via complementare alla prima: sollevare d'incostituzionalità la prima volta che una clausola arbitrale certificata verrà contestata da un lavoratore che chiederà di andare in giudizio.

Questa leqge fa altri danni?

Introduce uno scadenzario molto breve per le impugnazioni dei contratti a termine, a progetto, per i licenziamenti, i trasferimenti, la dissimulazione dei rapporti precari fasulli. 60 giorni per la citazione con raccomandata e 180 per il giudizio. Fino ad oggi c'erano 5 anni di tempo. Ora il lavoratore viene strangolato. Molti hanno paura a fare ricorso subito perché sperano in un rinnovo contrattuale. Non solo, ma se prima venivano rimborsate tutte le mensilità intercorse nel periodo del giudizio, oggi si andrà da un minimo di 2 e mezzo e un massimo di 12. Assistiamo a una forfettizzazione al ribasso del danno. Si tratta di norme perfide fatte da gente che conosce il mestiere. A fare queste cose sono i transfughi craxiani andati in Forza italia. Se c'è qualcuno che pensa ancora che non esiste più la distinzione tra destra e sinistra si legga questa legge.

Paolo Persichetti
Roma, 4 marzo 2010
da: “Liberazione