Mercoledì 24 novembre - Monza - Urban Center

Il lavoro, prima di tutto

Intervento di Matteo Gaddi

Matteo Gaddi

Accolgo, senza alcuna retorica, l'invito che il compagno che ha presentato l'assemblea mi ha rivolto. Ascoltare, soprattutto, quello che i lavoratori, le lavoratrici e le RSU hanno da raccontare.

E lo faccio perché sono abituato a farlo nell'ambito del lavoro che come dipartimento Nord di Rifondazione Comunista stiamo facendo.

Un grosso pezzo di lavoro d'inchiesta operaia.

Fare inchiesta, significa girare i territori, presidio per presidio, fabbrica per fabbrica, crisi per crisi. Fare inchiesta con lavoratori significa farli parlare, far ricostruire a loro le condizioni nelle quali si e manifestata la crisi, far manifestare a loro i bisogni più immediati che hanno e che noi come sinistra politica troppo spesso pretendiamo già di conoscere e rappresentare.

E nel fare questo, in Brianza, ho incrociato almeno 4/5 aziende (tra l'altro presenti anche questa sera cosa che mi fa molto piacere a dimostrazione, che quando si dà continuità ad un lavoro politico, questo ha un suo ritorno in termini di rapporto con i lavoratori e le lavoratrici).

4/5 aziende che per ragione di tempo citerò solo per titoli, ma delle quali cercherò tuttavia di sottolineare, per ciascuna di queste, gli elementi più caratterizzanti.

Non é vero che le crisi sono tutte uguali; così come non é vero che tutte le crisi dipendono strettamente e direttamente dalla grande crisi finanziaria internazionale: dentro la grande crisi finanziaria internazionale, i padroni ci marciano e stanno facendo delle operazioni pesantissime di massacro sociale. Operazioni di ristrutturazione e di riorganizzazione del lavoro che stanno facendo grazie a questo grande “paravento”.

Infatti, si sentono legittimati a fare operazioni che difficilmente avrebbero potuto giustificare sul piano sociale fino a qualche anno fa.

Ad esempio, cosa fa la Wagner-Colora, un'azienda tedesca che ha stabilimenti in Germania, Svizzera Italia che produce apparecchiature e macchine per la verniciatura industriale?

Nel 2009 comincia a sentire i primi colpi della crisi e, anche se nel dicembre 2008 con le feste natalizie avevano festeggiato gli straordinari risultati finanziari di bilancio, parte con una “cassina” ordinaria di 13 settimane (tanto per non sbagliare); la interrompono poiché il lavoro sembra riprendere, anzi i carichi di lavoro riprendono sensibilmente.

Abbiamo due procedure una di mobilità per 15 persone che poi va a buon fine per 13 “…prego accomodatevi…” e una cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione d'impresa.

Le due procedure di mobilità e cassa scadono nella primavera 2010 e lì, Wagner, cala l'asso: cioè il 20 luglio dà il via a una procedura di mobilità per 37 persone (19 a Gessate, 14 a Burago e 4 in provincia di Treviso).

Quando si arriva alla dichiarazione unilaterale di avvio della procedura di mobilità, è evidente che scatta il conto alla rovescia dei 75 giorni “…e tu conti –1 -2 -3” e si avvicina la data entro la quale tu arrivi con l'acqua alla gola. Cioè non hai altra possibilità.

I lavoratori ovviamente reagiscono, si organizzano, si organizzano anche in modo impensabile per quella azienda che non aveva particolari livelli di sindacalizzazione e conflittualità e riescono ad ottenere che si riaprano le trattative e la discussione tra RSU, Organizzazioni Sindacali e azienda.

La quale dice una cosa spudorata, “…io faccio anche un passo indietro….rispetto alla procedura di mobilità per 37 persone” …discutiamo anche di un accordo per la cassa in deroga (questo era il nodo) …esploriamo quali altri meccanismi puoi utilizzare, quali altri ammortizzatori sociali disponi per evitare i licenziamenti.

La Wagner si dice disponibile ad esplorare tutto questo, ma la Wagner, però, dice anche questo: dice che preventivamente, …” i lavoratori che io ritengo in qualche modo di voler collocare fuori dalla azienda devono firmarmi le cosiddette pre-adesioni”: cioè accordi con firma individuale in base ai quali non solo i lavoratori accettano il licenziamento, ma accettano anche di rinunciare alla impugnazione del licenziamento stesso.

Io questa prassi cerco di studiarla in modo migliore perché in questi giorni sono impegnato in provincia di Cremona, a Casalmaggiore, dove questa cosa sta “diventando di moda” .

Siamo tutti preoccupati dello statuto dei lavori di Sacconi, del collegato lavoro, delle proposte di modifica degli assetti contrattuali… Ma già oggi esistono degli strumenti devastanti che vengono usati dai padroni per fare a pezzi i diritti dei lavoratori.

Nella Provincia di Cremona, due acciaierie in crisi, vanno in concordato preventivo. Nell'ambito del concordato preventivo arrivano due squali che decidono di fare a pezzetti e bocconi le due aziende e di pigliarsi quello che interessa a loro. Cioè salvano 35 posti di lavoro su 170.

Per fare questo accordo impongono una condizione capestro. La vecchia società in crisi, quella che va in concordato preventivo, dovrebbe fare una cessione di ramo d'impresa alla quale si dovrebbe applicare il codice civile art. 2112 cioè la clausola sociale. Cioè, in base alla legge vigente, se cedi il ramo d'impresa, cedi anche i lavoratori che sono occupati in quel ramo d'impresa.

Il ricatto è questo: per salvare un pezzetto d'industria e 35 lavoratori le due aziende subentranti pretendono che i 170 lavoratori firmino individualmente un verbale di conciliazione con il quale, espressamente, rinunciano alla clausola prevista dal 2112 del codice civile e preventivamente rinunciano a impugnare l'atto di licenziamento.

Cioè si tratta di un ricatto come hanno fatto alla Wagner: “… volete che facciamo un accordo sulla cassa integrazione (diritto dei lavoratori) ?

Mi firmate le pre-adesioni di rinuncia preventiva di impugnazione del licenziamento.”

Qui c'è in gioco la dignità dei lavoratori, ci sono in gioco i diritti, compreso quel diritto alla trasparenza che ci hanno insegnato in maniera straordinaria gli operai della Yamaha che un anno fa sono saliti sul tetto addirittura non per difendere il posto di lavoro ma per ottenere e difendere un provvedimento di cassa integrazione.

Quando io al presidio di Lesmo chiesi loro: “ma perché fate una battaglia così pesante sotto la neve ed il ghiaccio?” Mi hanno detto: “perché quello era un obiettivo credibile”.

Cioè, a dicembre l'azienda ci ha convocato e ci ha detto. “signori il bilancio e in rosso la multinazionale ha chiuso un bilancio con una riduzione del 30% delle vendite a livello mondiale” e quindi la multinazionale ha deciso di chiudere 7 stabilimenti e di mettere fuori dalla porta 800 lavoratori: 600 in Giappone e 200 nel resto il resto nel resto del mondo.

Risultato: la mannaia in Italia è stata calata su Yamaha Italia, stabilimento di Lesmo.

L'azienda inizialmente aveva detto “licenziamento in tronco e non si discute di nient'altro”.

Se non ci fosse stata la battaglia, la salita sul tetto, senza la lotta dei lavoratori della Yamaha non ci sarebbe neppure stato nel gennaio 2010 l'accordo ministeriale che almeno ha concesso la cassa integrazione.

E qui sta la dignità dei lavoratori e il sapere operaio che ancora c'è.

Cioè operai metalmeccanici, che in catena montavano le moto Tenerè, si prendono la briga di andarsi a studiare il bilancio di una multinazionale per capire se, in base alle motivazioni che aveva dato l'azienda, il loro licenziamento era giustificato o meno.

E per capire questo occorre fare una comparazione.

Il bilancio 2008 di Yamaha Italia ha chiuso con un utile di quasi 8 milioni di euro (7.8 milioni di euro per la precisione) l'anno successivo, ci sarà pur stata la crisi, ci sarà stata la diminuzione del 30% di vendite di moto, ma il risultato è disastroso perché il bilancio chiude con un passivo di quasi 7 milioni di euro.

Difficile da giustificare, anche in base all'andamento dei mercati ed alla riduzione delle vendite.

E bisogna andare a studiare e approfondire voce per voce capitolo per capitolo per capire dove si trova l'inganno.

Il bilancio di Yamaha Italia ha chiuso con un disavanzo di 6.7 milioni di euro perché è stato condizionato da una posta straordinaria pesantissima cioè 9.6 milioni di euro per accantonamenti e oneri straordinari che hanno mandato in rosso il bilancio.

Senza questa posta straordinaria di quasi 10 milioni di euro anche sul 2009 il bilancio di Yamaha Italia avrebbe chiuso con un utile di quasi 3 milioni di euro.

E cosa c'era dentro? Tolti alcuni cespiti, c'erano 7 milioni di euro di accantonamenti prudenziali riferiti – non sto scherzando - al ripristino del sito industriale (sito industriale che la Yamaha ha dichiarato di dismettere).

E alla domanda: “Ma per ripristino, cosa è stato fatto” ?

“Si sono stai spostati degli scaffali !” gli è stato risposto.

Più gli oneri di gestione dell'accordo. Anche qui i conti sono stati fatti.

I casi sono due: o a Lesmo c'erano 1000 operai oppure ogni lavoratore ha ricevuto un incentivo all'esodo di 200.000 euro.

Ma così non era perché il calcolo che È stato fatto in base all'accordo del mistero del lavoro prevedeva una gestione economica complessiva dell'accordo di 735.000 euro: una cifra 10 volte inferiore alla posta straordinaria che ha buttato il bilancio in rosso e che ha giustificato l'azienda a chiamare i lavoratori e dire loro:”…da domani siete fuori”.

E quindi c'è un sapere unito alla dignità degli operai molto diffuso.

Penso anche al sapere degli operai della Marzorati di Brugherio. Con gli operai della Marzorati stiamo costruendo un progetto interessante.

La Marzorati non è una azienda in crisi, è una azienda con competenza ed esperienza, i lavoratori hanno professionalità da vendere e hanno mandato avanti da soli l'azienda, hanno un ricco portafogli ordini, ma hanno una proprietà che grazie alla dirigenza precedente ha progressivamente spolpato e tagliato a fette l'azienda, l'ha ridotta a soli 22 dipendenti pur avendo fruito di un trattamento con i guanti da parte della amministrazione comunale, vista l'operazione immobiliare che è stata fatta nel PIP (Piano degli insediamenti produttivi) oltretutto con la operazione di diritto di superficie per cui non hanno dovuto neppure sborsare i costi immobiliari e semplicemente hanno costruito l'immobile e si sono ritrovati proprietari in diritto di superficie del nuovo stabilimento costruito.

Se li non ci arriva il padrone ci arrivano gli operai.

Discutiamo di costituire una cooperativa, vediamo quali sono le modalità per evitare che sulla Marzorati si abbatta una chiusura assolutamente ingiustificata e devastante sul piano sociale come tutte le altre come la Tecnology and Group di Burago l'azienda che occupa circa 150 donne (a proposito del fatto che le aziende esprimono responsabilità sociale radicamento sul territorio attenzione ai bisogni sociali) donne a cavallo dei 40 anni, che sono 20 anni che lavorano lì e che se finiscono fuori dalla T&G dove vanno a lavorare con tutte le crisi di azienda che ci sono ed avendo maturato una esperienza ed una competenza riferita a quel settore?

Prima giustamente Giudici parlava d'innovazione della politica industriale. Ma come È possibile mantenere la produzione senza fare ricerca, sviluppo ed innovazione? Qui accorre affrontare il discorso della innovazione. Sia di processo sia di prodotto. Ma credo che si debba cominciare a ragionare su come contrastare la concorrenza sleale cioè con norme anti dumping che non facciano del protezionismo la propria bandiera ma che fanno della centralità dei diritti sociali l'asse portante.

Non possiamo più tollerare che nel mondo in nome della libertà dei commerci, del mercato del WTO ecc circolino merci prodotte da lavoratori relegati in condizioni di semi-schiavismo.

Ci sono gli standard stabiliti dalla organizzazione internazionale del lavoro che devono riscrivere le regole del commercio internazionale e della circolazione delle merci, altrimenti è una continua corsa al ribasso e una continua concorrenza giocata sul continuo ribasso delle condizioni dei lavoratori.

Ma la Cina non è solo là, lontano da noi, in Asia. La Cina la stanno portando anche qui, perché quando alla TG hanno cominciato a smontare le macchine (cosa che ha fatto incazzare le operaie) quelle macchine venivano portate all'esterno in qualche piccolo capannone, dove facevano lavorare le cooperative che strangolavano dal punto di vista contrattuale e salariale i lavoratori che facevano le stesse identiche lavorazioni della TG.

Per questo io mi arrabbio quando leggo sul “Sole24 ore” di ieri (ma potrei fare tanti altri esempi) che le varie confindustrie lombarde con la Regione Lombardia a Cernobbio hanno fatto il FOCUS sulla attrattività dei territori.

Secondo Confindustria dobbiamo rendere più attrattivi i nostri territori per gli investimenti cioè meno fiscalità, meno regole...

Ma già nella finanziaria di questa estate di Tremonti all'art. 41 Fiscalità di vantaggio per le imprese hanno previsto il diritto di opzione per le imprese.

Cioè, una azienda può dichiarare la sede giuridica all'estero e optare per il regime fiscale che preferisce cioè una azienda che è operante in Italia dichiara la sua sede fiscale in Irlanda e si vede applicata una tassazione delle imprese in base al sistema fiscale irlandese (12.50%).

C'è un problema di flessibilità del lavoro.

Non ho fatto in tempo ad analizzare tutti i dati del centro per l'impiego di Monza e Brianza ma ho visto quasi tutti i dati dei centri per l'impiego della Lombardia compreso quello di Lecco.

Ogni mese tra il 68 e il 72% degli avviamenti al lavoro avviene con contratti a tempo determinato cioè andando avanti cosi nel giro di 5-8-10 anni in mercato del lavoro sarà completamente destrutturato: quelli che oggi chiamano ancora contratti atipici (precari, tempi indeterminati, ...) saranno la prevalenza e saranno i contratti tipici: sarà atipico chi avrà un contratto a tempo indeterminato, visto che è solo il 30% dei nuovi avviamenti al lavoro, avviene in questo modo.

Che cosa è la attrattività degli investimenti, per cosa dobbiamo rendere ancora più attrattivo il nostro territorio visto che anche qui sulla questione della compressione dei diritti, degli sgravi fiscali, della flessibilità del lavoro ai padroni è stato dato tutto?

Io credo che noi come partito, entrando nel concreto, nei territori quando facciamo del lavoro politico sulle tematiche del lavoro dobbiamo cominciare a ragionare su come mettere assieme le vertenze e su come cercare di tenere assieme i lavoratori nei momenti più duri delle vertenze che non sono quando c'è la occupazione di una fabbrica o un presidio. I momenti più duri sono quando c'è la cassa integrazione, perché sono tutti atomizzati, sono tutti a casa loro, non si vedono più in fabbrica ogni mattina. Nei punti alti del conflitto c'è il presidio, per cui sono tutti presenti, sviluppano solidarietà etc. ma quando vanno in cassa sono tutti a casa loro a fare i conti perché non arrivano a fine mese.

È il senso di inutilità che prova il lavoratore quando si sveglia al mattino e dice “È tardi. Si è tardi per fare cosa? Dove devo andare? ” quello è il momento più brutto.

È li che dobbiamo cercare di tenerli assieme con forme di organizzazione con forme di mutualismo che consentano loro di reggere meglio le bastonate della crisi e la pochezza dell'ultimo stipendio da cassaintegrato percepito.

Dobbiamo essere in grado di tenerli assieme su progetti di carattere generale.

D'accordissimo su quello che diceva Giudici, sulla questione dei diritti, ma io penso che debba essere fatto uno sforzo ulteriore.

I lavoratori perdono il lavoro qui e ora. Possiamo proporre una battaglia che costruisca un accordo sindacale che non lasci nessuno a piedi con gli ammortizzatori sociali. Ma gli ammortizzatori sociali prima o poi finiscono.

Possiamo organizzare interventi di mutualismo che ti consentano di lenire le bastonate della crisi ma questo è valido sino a un certo punto.

Possiamo prospettare loro un grande disegno ed una grande obiettivo di diritti sociali per i quali battersi ma da domani devono pagare la retta del nido o il mutuo casa e se non hanno il lavoro sono in braghe di tela e quindi lo sforzo che dobbiamo fare è quello di studiare, adesso, momenti e strumenti concreti di politica industriale di intervento pubblico in economia che consentano di re industrializzare di intervenire nei capitali societari per orientarli in un serto senso per disegnare linee di sviluppo che creino lavoro duraturo e di qualità.

Credo che sempre più verremo misurati sulla concretezza dei nostri risultati e sulla reale utilità sociale che sapremo proporre a lavoratori altrimenti il rischio è che sinistra sindacale e la sinistra politica rischino di limitarsi a tanti bei ragionamenti e pensieri.

Ed è proprio nel momento in cui si misura la concretezza dei risultati che permane ancora una notevole distanza.

"Il testo è la trascrizione dell'intervento non revisionato dall'autore"
Matteo Gaddi (Responsabile dipartimento Nord - Lavoro PRC)
Monza, 24 novembre 2010