L'altra Italia

Yamaha, i samurai di Arcore

A un chilometro dalla villa del premier 66 operai licenziati presidiano la fabbrica per affermare il diritto a un futuro dignitoso

Photo by L'Unitàinfo

Il rumore, gli insulti della politica, le polemiche sulla celebrazione dell'Unità d'Italia, anche l'”epica” di San Remo coprono tutto. Si misura l'audience, l'effetto marketing del «bunga bunga» e ci si scandalizza per una frase di Gramsci in prima serata.

Ma se si ha il coraggio di spegnere la tv, se appena si volta lo sguardo dall'altra parte, verso la città, le periferie, le scuole, le fabbriche, le strade, il condominio si trova ancora un' Italia diversa, silenziosa e leale, ovviamente trascurata e dimenticata.

A meno di un chilometro dall'ingresso di Villa San Martino, la residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore, un gruppo di lavoratori licenziati dalla Yamaha alla fine del 2009 ha organizzato dal 10 dicembre scorso un presidio, con bandiere, striscioni, bancali, un camper prestato dalla protezione civile della Provincia di Monza e Brianza dove passare la notte.

Li avevamo conosciuti quando la Yamaha, dopo una vittoria mondiale di Valentino Rossi, li buttò fuori, annunciando la chiusura della produzione dopo un trentennio di successi e di profitti. La multinazionale giapponese delle moto non voleva nemmeno concedere la cassa integrazione ai 66 operai licenziati, così quattro di loro, forse lo ricorderete, salirono sul tetto della fabbrica, con le tende, sotto la neve, per chiedere almeno l'aiuto degli ammortizzatori sociali. Tornarono a casa per Natale. Ora sono di nuovo in via Tinelli, a Gerno di Lesmo, vicino l'ingresso dell'azienda dove sono rimasti al lavoro un centinaio di impiegati.

Due settimane fa, un sabato, anche l'Audi blindata di Silvio Berlusconi con la sua scorta ha rallentato davanti al presidio. Ma il premier non è sceso dall'auto. Gli operai sono un po' arrabbiati, molto delusi. Ma nessuno ha mai fatto gesti inconsulti. Invece qualche ignoto mascalzone aveva distrutto il presidio, lasciato incustodito. Allora gli operai hanno deciso di ricostruirlo e di non mollare più.

Il presidio si ingrandisce giorno dopo giorno, è diventato un altare della resistenza operaia, riconoscibile in lontananza. «Stiamo qui, facciamo i turni, ci diamo il cambio, passa la gente a salutarci e non vogliamo rinunciare alla lotta» dice Angelo Caprotti, delegato Rsu, licenziato insieme alla moglie perché le disgrazie non vengono mai da sole.

I lavoratori si sono accorti che la chiusura della produzione italiana è stata una fregatura. L'azienda è sempre andata bene, anche se i manager piangevano miseria. I lavoratori hanno fatto esaminare il bilancio,hanno scoperto che avanzavano almeno 9 milioni di euro inviati alla casa madre in Giappone e altri 7 milioni sono stati accantonati a favore dei dipendenti. Una cifra in origine forse destinata ad aiutare i lavoratori lasciati a casa, ma che l'azienda ora si rifiuta di riconoscere perché gli «esuberi» hanno ottenuto la cassa integrazione straordinaria.

Mai lavoratori della Yamaha sono tosti, sono dei brianzoli tenaci e onesti. Sono andati in delegazione dal console giapponese, hanno scritto anche ai vertici del gruppo perché vogliono che quella posta di bilancio non sia cancellata.

Hanno scoperto che la produzione delle loro moto è stata trasferita in Spagna, vicino a Barcellona, e anche lì adesso la Yamaha vuole chiudere.

Hanno scoperto pure che in una piccola impresa di Arcore, un “terzista” di Yamaha, vengono montate e modificate moto Yamaha fabbricate in Giappone.

Per non arrabbiarsi uno deve essere quasi un santo. I lavoratori licenziati dalla Yamaha resistono, pazienti e coerenti.

Ieri ci hanno detto di aver realizzato, grazie a un amico, un filmato sul presidio e la loro lotta. Il video è su Youtube, s'intitola: «Gli ultimi samurai». È una storia esemplare di quest'Italia ingiusta.

Sulla strada tra la villa di Arcore e quella di Macherio, in pieno territorio berlusconiano, si raccoglie la testimonianza di Jorge Rubio, peruviano, precario nel 2001, ripreso dalla Yamaha nel 2004 con contratto a tempo indeterminato, infine licenziato. Nel filmato compare la bella faccia di un padre di famiglia, è il papà di Davide, un giovane portatore di handicap, dipendente della casa giapponese e buttato fuori pure lui perché il profitto e le stock options non si fermano davanti a niente. Il papà racconta: «Ho lavorato 35 anni alla Magneti Marelli e quando è stata chiusa la fabbrica abbiamo cercato un accordo per sistemare tutti. Invece qui hanno buttato gli operai per strada, anche mio figlio che non ci vede da un occhio. Ma che colpa abbiamo?».

Gli operai Yamaha in presidio presto avranno unsito internet tutto per loro, per ora sono ospiti su «www.brianzapopolare.it».

Diamogli una mano.

Rinaldo Gianola
Lesmo - Gerno (MB), 19 febbraio 2011
da “L'Unità