La CGIL e la difficile fase sindacale

Articolo 18 e non solo

Stiamo vivendo una delle fasi storiche forse più difficile e impegnativo per il movimento sindacale e per la CGIL in particolare.

La decisione di CISL e UIL di accettare l’ipotesi di confronto e il percorso conseguente prospettato dal governo di centrodestra, richiede una profonda presa di coscienza nostra, rispetto alla posta in gioco.

E’ per noi determinante, oggi, parlare alla ragione e al cuore delle persone che vogliamo rappresentare.

Soprattutto al cuore, in virtù di una situazione che ha visto in questi ultimi mesi molti giovani, anche con contratti atipici, avvicinarsi a noi, partecipare in modo consapevole, alle nostre manifestazioni e agli scioperi: dalle lotte dei metalmeccanici, per rivendicare un contratto giusto e il diritto di decidere; alla grande manifestazione della CGIL del 23 marzo, fino allo sciopero generale del 16 aprile, in difesa dei diritti e delle tutele nel lavoro.

Dobbiamo quindi far emergere, con orgoglio,un forte senso di appartenenza alla CGIL, e, saper mettere in campo, con fermezza e pacatezza, le nostre ragioni, che a me sembrano di assoluto buon senso, e che ci hanno permesso, con la coerenza dimostrata, di acquisire fiducia, consenso e attenzione nei luoghi di lavoro.

Per fare questo bisogna essere consapevoli che non siamo nella fase precedente, cioè nella situazione di due mesi fa (quando anche allora CISL e UIL decisero di avviare un confronto, escludendo la CGIL), ma, all’orizzonte si profila un possibile accordo- spero vivamente di sbagliare l’analisi- che indubbiamente prevedrà una modifica, magari marginale dell’art. 18, dentro una logica sostanziale di scambio al ribasso.

Le ragioni che mi portano a sostenere questa tesi sono, non solo riscontrabili nell’assoluta finzione di uno stralcio che non esiste (spostare le questioni afferenti all’art. 18 e all’arbitrato dalla legge delega in discussione ad un disegno di legge, che avvierà l’iter parlamentare dopo la fine del confronto, fissata per il 31 luglio prossimo) ma attengono a motivazioni di merito desunte sia dal testo del verbale di accordo sottoscritto da CISL e UIL, sia da alcune dichiarazioni di importanti dirigenti sindacali.

Ovviamente, tralascio valutazioni rispetto a questioni pur importanti come, la riforma fiscale; la riforma del sistema previdenziale;e ancora, alcuni articoli della delega sul mercato del lavoro, già approvati, che a mio parere mettono pesantemente in discussione alcuni diritti acquisiti, attraverso processi di deregolamentazione, come il superamento del concetto di “autonomia funzionale” nel caso di cessione di ramo d’azienda.

Prima riflessione

Ora, a nessuno sfugge, nemmeno a noi, che una trattativa seria deve essere avviata, in particolare per quanto concerne gli ammortizzatori sociali; qui la prima riflessione.

Due mesi fa, all’epoca dei primi problemi interni alle OO.SS, il confronto avveniva solo tra le parti sociali, con il Governo incomprensibilmente defilato.

A me è sembrata del tutto evidente l’insensatezza di tale negoziato, dove due soggetti si cimentavano alla ricerca di possibili soluzioni, in tema di ammortizzatori sociali, senza la presenza del soggetto che doveva sostenerle finanziariamente.

Oggi, di contro, il negoziato parte con la presenza di tutti gli attori; nessuno dei quali nega la possibilità di giungere ad un accordo, anche senza la CGIL.

Seconda riflessione

Alcuni importanti dirigenti sindacali si sono affrettati a chiarire che, comunque i diritti acquisiti non verranno messi in discussione, e quindi interpreto: l’art. 18 potrà essere modificato per i nuovi assunti. Di più, si propone, per quanto riguarda il ricorso al giudice in caso di licenziamento, il modello tedesco.

Tale modello prevede che il giudice non solo decide in merito alla legittimità o meno del licenziamento, ma decide pure se, a fronte di un licenziamento illegittimo, ci deve essere il reintegro o, in alternativa, l’indennizzo monetario ( tesi sostenuta tra l’altro dal maggior quotidiano italiano e da un “fine” giuslavorista quale è il professor Ichino).

A me pare del tutto evidente, che questa ipotesi contraddice la dichiarazione “ i diritti acquisiti non si toccano”, in quanto non saranno più le lavoratrici e i lavoratori depositari dell’opzione, reintegro/indennizzo (anche per questo continuo a sostenere che serve molta attenzione, in merito all’istituto dell’arbitrato)

Quindi, da un lato il venir meno di un diritto fondamentale nel lavoro, l’art. 18 ( e ripeto, spero di sbagliare), dall’altro la messa in discussione del welfare state, attraverso il discutibile intervento sul fisco, evidenzia la pericolosità dell’operazione messa in atto, che ipotizza un modello di sindacato e un modello di società, non condivisibili.

Sostanzialmente si vorrebbe un modello sindacale, dove accanto all’operazione di messa in discussione e ridimensionamento del ruolo e della natura del contratto nazionale, e quindi del ruolo negoziale del sindacato a tutti i livelli, e, di conseguenza, della sua rappresentatività attraverso l’attività negoziale, maturi nei tempi, più o meno brevi, un sindacato dove la partecipazione diventa un fine e la gestione diretta dei servizi( mercato del lavoro, percorsi di formazione, ammortizzatori sociali), tramite la bilateralità, lo strumento. Un sindacato, insomma, sempre più istituzionalizzato - emblematica, in tal senso, l’ipotesi di affidare alla bilateralità possibili interventi di tipo ispettivo, sul versante della lotta al lavoro sommerso-.

Preoccupa, però, anche il modello di società che ci si propone.

Alcuni esempi, sia sul versante, diciamo economico, che su quello sociale.

L’attacco ai diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori, è determinato dal fatto che la classe imprenditoriale del nostro Paese, anziché competere, in un mondo sempre più globale, sul versante dell’innovazione tecnologica e di prodotto, cerca la via più breve, cioè la competizione diminuendo diritti e costo del lavoro.

Ovviamente, questa strada non porta da nessuna parte; lo dimostra chiaramente la vicenda della “Fiat Stilo”; modello che, nella mente dei dirigenti della casa torinese doveva rilanciare il marchio Fiat.

Per poter produrre “Stilo” a costi competitivi, tra Fiat e le organizzazioni Fim Cisl e Uilm Uil (la Fiom Cgil non ha firmato), è stato sottoscritto un accordo dove sono state modificate in peggio, le condizioni di lavoro e i regimi di orario dei dipendenti dello stabilimento di Cassino, senza per questo ottenere risultati apprezzabili sul mercato.

In Europa le altre case automobilistiche si comportano in modo diverso. In Germania, alla Volkswagen, dove il costo del lavoro è più alto che da noi, e nel settore meccanico si lavorano 35 ore alla settimana, tra OO.SS e Direzione Aziendale si sono sottoscritti accordi, sia di gestione concordata delle fasi di crisi, sia di rilancio dell’azienda, nei periodi di crescita economica, senza per questo peggiorare le condizioni dei dipendenti e intaccare diritti fondamentali.

Infine; l’Italia produttiva il 16 aprile scorso si è fermata. Nelle grandi aziende l’adesioni agli scioperi indetti da CGIL CISL UIL è stato massiccia.

Solo in una significativa realtà industriale, lo sciopero non è riuscito. All’Ilva di Taranto i giovani assunti con contratti atipici, si sono presentati ai cancelli, davanti al presidio dei delegati, accompagnati dai genitori, chiedendo esplicitamente di non essere fermati, in quanto ciò avrebbe significato per loro, la non riconferma al lavoro.

Quale futuro stiamo costruendo per le giovani generazioni, se al primo confronto con il mondo del lavoro sono sottoposti a questo tipo di ricatto?

La dignità viene tranquillamente calpestata; la sottomissione diventa la regola nei rapporti tra datore di lavoro e prestatore d’opera.

In questa situazione, per migliaia e migliaia di giovani, viene meno anche la speranza di un futuro dove il lavoro, nella sua accezione migliore di “valore sociale”, anziché essere vissuto come elemento di socializzazione, di progresso, di inserimento nella società, viene concepito come strumento di emarginazione, di sofferenza, di solitudine.

Per questo dobbiamo sostenere le nostre ragioni , in ogni luogo di lavoro, in tutte le occasioni di confronto e di dibattito, con la serenità che ci contraddistingue, con il sorriso sulle labbra, ma con la fermezza delle nostre argomentazioni, e, con la piena consapevolezza che la partita non sarà né semplice né breve; verranno utilizzati contro di noi tutti gli strumenti possibili: dai mezzi d’informazione, all’insulto gratuito, fino alle “moderne” pressioni e intimidazioni, nei confronti dei nostri delegati nei luoghi di lavoro.

Queste le ragioni per sostenere e aderire, in tanti, allo sciopero di 4 ore del 20 giugno, indetto dalla CGIL.

Fausto Ortelli
Monza, 12 giugno 2002