Alla conclusione del Congresso della CGIL

Bene lo sciopero, ma la Cgil è ancora ferma al 23 luglio

A congresso concluso si può trarre un primo giudizio sulle scelte fatte dalla Cgil e dal suo gruppo dirigente.

La decisione di proclamare lo sciopero generale da sola, nel caso Cisl e Uil mantengano le attuali posizioni, per continuare la mobilitazione contro le decisioni del governo, è rilevante. Può essere, nei fatti, la rimessa in discussione dell'impianto rivendicativo e del ruolo che hanno assunto in questi anni Cgil, Cisl, Uil. E può esserlo, al di là delle intenzioni di chi lo proclama, perché può costruire un nuovo senso comune tra i lavoratori e nel paese riproponendo il valore del lavoro nella società. Lo sciopero generale, quindi, come un inizio di una nuova ricollocazione sociale e della rifondazione del sindacato generale.

La rottura dei rapporti unitari con Cisl e Uil, che questa scelta comporta, impone l'avvio di una riflessione profonda sul sindacato, sul suo ruolo nella società, sulle condizioni di lavoro e di non lavoro di milioni di donne e uomini.

Proprio per far vivere nel paese la mobilitazione, in coincidenza con la discussione parlamentare sulle deleghe che il governo ha chiesto, è necessario, già dalle prossime ore, dichiarare lo sciopero in quei settori in cui il diritto di sciopero è così limitato da richiedere tempi lunghissimi di proclamazione per poter essere effettuato.

Per questo, per quanto ci compete, lavoreremo perché ci sia una grande adesione allo sciopero e perché le ragioni di questa lotta si incontrino con le ragioni e la mobilitazione del movimento antiglobalizzazione e investano la politica caricandola degli obiettivi che il movimento si pone, arrivando sino all'ostruzionismo parlamentare per impedire l'attacco ai diritti universali del lavoro.

Questa nostra disponibilità a cogliere i passi in avanti non ci impedisce, però, di vedere le ombre fitte che oscurano il congresso e i suoi contenuti.

Un bilancio sociale pesantissimo

Il bilancio sociale di questi anni è pesantissimo; il sindacalismo confederale ha spesso chiuso gli occhi sulle ineguaglianze, sulle ingiustizie, sull'insicurezza sociale determinata dalla flessibilità e precarietà del ciclo economico.

Il salario dei lavoratori italiani è inferiore del 20% alla media europea e il suo orario di lavoro contrattuale più lungo di paesi come la Francia e la Germania. I disoccupati italiani, al 60% giovani e in grande maggioranza donne, sono i soli a non avere nessuna tutela né economica, né formativa. I tassi di occupazione italiana sono tra i più bassi in Europa; fatto 100 il salario di un operaio italiano, quello di una donna, a pari professionalità e scolarità, è 78. Cioè la differenza di genere nel lavoro è pesantissima tale da creare, negli stessi luoghi di lavoro, gabbie salariali.

In queste ore la lotta dei lavoratori delle aziende di pulizia dei treni rilancia drammaticamente l'esigenza di clausole sociali, di rispetto dei diritti nel sistema degli appalti e di una lotta contro le privatizzazioni che avvengono nel nome del mercato capitalista e delle sue disuguaglianze. Per esempio, entro la fine di quest'anno, larga parte degli acquedotti italiani avvierà la privatizzazione e non è, quello dell'acqua, uno dei temi posti a Porto Alegre?

Le sinistre politiche e sociali debbono costruire una loro piattaforma che affronti i nodi del rapporto Nord-Sud, del modello di sviluppo, della riduzione dell'orario di lavoro, della gigantesca questione salariale.

Come cambiare linea rivendicativa?

Di tutto questo, di come si cambia radicalmente l'impianto rivendicativo, non c'è traccia nel congresso della Cgil. Le compagne e i compagni della sinistra sindacale hanno scelto di non presentare un proprio documento e concludere unitariamente il congresso; forse non vi erano le condizioni per agire diversamente, ma certo quel congresso chiude anche una fase della sinistra sindacale in Cgil e del suo percorso, dal documento dei 39 ad oggi. Ora si tratta di ridefinire gli spazi di una battaglia politica, di avere un'autonoma proposta nei contenuti della contrattazione, di perseguire un insediamento nei luoghi di lavoro. Il bilancio fallimentare delle politiche sindacali avrebbe consentito una diversa conclusione, ma certo, impone una profonda revisione; c'è bisogno di una ricollocazione, di nuove regole, ma soprattutto bisogna avviare la ricostruzione della democrazia nei luoghi di lavoro, nel rapporto tra organizzazioni sindacali e lavoratori e definire la possibilità di un'autonoma iniziativa della sinistra sindacale che rompa anche le gerarchie di organizzazione.

Certo il giudizio positivo dato unitariamente sulla conclusione dell'intesa sul pubblico impiego e sulla revoca dello sciopero del 15 febbraio è un'ipoteca pesante su questo percorso, perché riafferma il modello contrattuale definito dal 23 luglio e l'ideologia della concertazione. Non recupera quanto eroso dall'inflazione al potere d'acquisto, perché larga parte degli aumenti retributivi è legato ad obiettivi produttivi; è per alcuni settori statali comprensivo della contrattazione di secondo livello; sul piano dei conti c'è un errore vistoso avendo misurato la media retributiva al di sotto di quella reale; sul piano delle privatizzazioni si accetta la definizione di servizi minimi e la gestione morbida degli esuberi eventuali.

La Cisl ha esposto la sua linea rivendicativa: minore peso ai Ccnl, contrattazione territoriale in linea con una nuova articolazione dello stato, un patto neo-corporativo e neo-familistico per gestire l'arretramento dello stato sociale.

Su questi temi il congresso di Rimini è muto; fa un passo avanti sul piano della soggettività, ma sul piano sociale, su una diversa linea rivendicativa, è ancorato al 23 luglio. Si potrebbe dire che il congresso della più grande organizzazione italiana inizia oggi, che la decisione dello sciopero generale può rompere equilibri consolidati. Il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, la loro lotta può imporre la messa all'ordine del giorno di una nuova confederalità che inizi il difficile lavoro di ricomposizione tra lavoro e non lavoro. E' necessaria una nuova linea perché bisogna dare continuità allo sciopero generale e costruire le condizioni perché dalla resistenza nasca il progetto che, oggi, è ancora assente; è una necessità per i lavoratori e per conquistare un risultato positivo. Il 15 febbraio c'è uno sciopero generale del sindacalismo di base; è un punto rilevante per il movimento e per la sinistra sindacale ovunque collocata, se rompe gli spiriti d'organizzazione e avvia un percorso di definizione di elementi comuni d'iniziativa, a cominciare dal referendum per l'estensione dell'art. 18 per i lavoratori delle imprese al di sotto di 15 dipendenti, per una legge sulla rappresentanza che riproponga il criterio "tutti elettori, tutti eleggibili" nei luoghi di lavoro.

Stefano Zuccherini
Responsabile Lavoro del Prc
Roma, 13 febbraio 2002
da "Liberazione"