Ferruccio Danini estromesso dalla segreteria
nazionale dello Spi: «Discriminazione inaccettabile: Patta ha una
concezione proprietaria dell'area»

Che succede nella sinistra Cgil?

Che succede nella sinistra della Cgil? Mentre è in corso la battaglia sull'articolo 18, tra il possibile nuovo sciopero generale e il referendum per l'estensione dei diritti (al quale ha formalmente aderito), l'area «Lavoro e società, cambiare rotta» vive una fase difficile: e il confine tra divergenze di linea politica e conflitti "gestionali" appare di non facile discernimento. Il malessere, testimoniato da più d'un episodio "periferico", è venuto alla luce anche nel corso del direttivo nazionale del sindacato, il primo tenutosi dopo il congresso di Rimini: dove alcuni esponenti della sinistra (Danini, Rocchi, Casavecchia, Baldini) hanno espresso il loro dissenso sulla composizione della nuova segreteria nazionale e si sono differenziati nel voto. Esplicita la loro frattura con il coordinatore nazionale dell'area, Giampaolo Patta, ma evidente, altresì, la tendenza al moltiplicarsi delle contraddizioni, che si manifesta specialmente nelle scadenze interne (l'elezione dei gruppi dirigenti delle categorie o delle strutture locali è regolato, in Cgil, da un proprio ritmo specifico, autonomo dal congresso nazionale).

Si tratta, evidentemente, di questioni complesse, per tutti coloro che non vivono da dentro la vita del sindacato. Ma è giusto considerarle davvero faccende per "addetti ai lavori"? Ci sono situazioni che hanno giocoforza un interesse politico generale: è il caso di un episodio interno, recentissimo, che ci è parso di particolare gravità e di cui oggi di diamo conto. Ferruccio Danini, presidente uscente del Direttivo nazionale Cgil e da sette anni membro della segreteria nazionale dello Spi-Cgil, è stato estromesso dal vertice del sindacato pensionati: la "proposta", se così vogliamo dire, l'ha avanzata lo stesso Patta ai membri del Direttivo - una ventina - che fanno riferimento alla sinistra. Alla fine è passata la decisione dell'avvicendamento di Gian Carlo Saccoman. Per dirla brutalmente: Danini, uno dei tre fondatori e "garanti" di «lavoro e società», da pochi mesi (dalla fine di gennaio) rieletto nel vertice dello Spi, è stato fatto fuori. E non dalla "burocrazia" della maggioranza della Cgil, ma dalla propria area di riferimento. E' d'obbligo una domanda: qual è lo stato di salute della democrazia nella sinistra sindacale?

Per rispondere, diamo intanto la parola a Ferruccio Danini. Nei prossimi giorni, parleranno altri dirigenti sindacali.

Allora, puoi raccontare ai lettori di "Liberazione" come è andata la vicenda che ti riguarda?

Volentieri. Faccio parte della segreteria nazionale dello Spi dal 1995: un incarico nel quale sono stato riconfermato nel corso dell'ultimo congresso nazionale - che si è svolto anch'esso a Rimini qualche giorno prima di quello nazionale, alla fine di gennaio. In questi giorni, la Spi si è trovata di fronte a problemi di riassetto: il segretario di categoria, Minelli, è venuto a "scadenza", la candidata alla sua successione è Betty Leone. Su questo, non sono sorti problemi. La prassi vuole, però, che la segreteria nazionale - anche se in carica da pochi mesi - presenti le sue dimissioni: ciò che è puntualmente avvenuto. In casi come questi, è ovvia la riconferma del gruppo. Ma alla riunione di «Cambiare rotta», Giampaolo Patta, ha invece proposto la mia sostituzione.

Con quali motivazioni?

Con una motivazione essenziale: quella secondo cui io sarei «ingovernabile». Il riferimento è al Direttivo nazionale del sindacato dove, insieme ad altri tre compagni, ho sollevato la questione del pluralismo - necessario e disatteso - dell'area, e ho contestato la composizione della segreteria nazionale.

In particolare, qual è il problema?

In concreto, il problema è che la sinistra interna, negli organismi dirigenti della Cgil, è rappresentata solo da una parte dell'area, maggioritaria, certo, ma soprattuttto quella che risponde direttamente a Patta. Accade un po' dovunque, è accaduto anche in segreteria nazionale, nella quale sono entrati lo stesso Patta e Paola Agnello.

Si tratta, insomma, solo di una questione di "posti"?

Si tratta di una questione cruciale di democrazia e, oserei dire, di civiltà. Intanto, il trattamento che mi è stato riservato va considerato, credo, di particolare ferocia: Patta, il coordinatore dell'area, mi ha proposto, prima di tutte le riunioni, un osceno patto mercantile. Se mi dimettevo "spontaneamente" dal Direttivo nazionale e risolvevo così il problema, mi ha detto, lui mi avrebbe trovato una "sistemazione" in un ente - tipo Cnel o comitati di garanzia Inps. Mi è stato prospettato - si badi bene - di togliere il disturbo, di andarmene a casa: un licenziamento politico in piena regola. Una discriminazione inaccettabile, del resto, non esercitata soltanto contro di me...

Ci sono stati casi analoghi al tuo?

Ci sono stati, e tutti nei confronti di compagni e compagne di Rifondazione comunista. Penso a Rosa Rinaldi, già membro della segreteria nazionale della Funzione pubblica, poi neanche delegata al congresso nazionale. Penso ad Alessio Ammannati, estromesso dalla Camera del lavoro di Firenze. A Cataldo Ballestreri, a compagni come la Sanseverino, in Campania, e Sinopoli, in Calabria. Tutti fatti fuori con l'imput decisivo di Patta: il quale ha una concezione proprietaria dell'area e afferma, in teoria e in pratica, il principio maggioritario. Secondo il quale, chi ha la maggioranza relativa di una corrente, o di un'aggregazione, "prende tutto": esattamente come avviene nel voto dei collegi uninominali. Avrei da eccepire, del resto, anche su come (non) funziona il pluralismo nella maggioranza - per esempio, tutti i "dalemiani" sono stati fatti fuori... Al momento, però, è bene occuparci dell cose di casa nostra...

Emerge quindi il tema del pluralismo, e della sua pratica, all'interno di «Cambiare rotta» ...

Appunto. «Cambiare rotta» non è proprietà di Giampaolo Patta: è l'aggregazione di almeno tre aree diverse. C'era Alternativa sindacale, certo, ma c'era anche l'l'area dei comunisti. E c'erano - e ci sono - gli indipendenti, della Fiom e di Camere del lavoro come quella di Brescia. Il pluralismo, voglio dire, è insito nella sua natura, nella sua nascita e - lo dico con cognizione di causa - nel suo successo: il 20 per centi e più che abbiamo preso al Congresso non è la somma meccanica delle componenti originarie (che insieme facevano a stentol'11 per cento), è il risultato di una battaglia politica comune, e di un processo politico messo in moto da quello che io chiamo «lo spirito del Lirico». Anche da questo punto di vista, non si può gestire l'area con metodi che ricordano il vecchio o con me o contro di me. Che spesso corrispondono, del resto, a posizioni politiche moderate...

Per esempio?

In questi anni, quale battaglia ha davvero portato avanti la sinistra nel vertice massimo della Cgil? Manca una vera piattaforma su salari, orari, organizzazione del lavoro, capacità vertenziale. O bastano gli scioperi generali sull'articolo 18? Su questo sono io a chiedere conto a «Cambiare rotta».

Tu, appunto, che cosa farai? Un'altra area?

Continuerò la mia battaglia contro la maggioranza della Cgil, anche da solo, fuori da «Lavoro e società», che ha tradito la sua impostazione originaria di rappresentanza pluralista dell'insieme della sinistra sindacale. Lo sappiano Patta e tutti gli altri compagni: Danini a casa non ci va. A meno che la Cgil non mi licenzi....

Rina Gagliardi
Roma, 5 giugno 2002
da "Liberazione"