Como, ditta condannata dopo 5 anni
Cadde da un tetto, rimborso miliardario a edile in coma

Ci sono voluti cinque lunghi anni, ma alla fine la famiglia del muratore Mario Stanca, dal luglio 96 in coma per un grave incidente sul lavoro, ha avuto giustizia. Un giudice di Como ha riconosciuto le responsabilità nell'accaduto da parte della ditta di cui l'uomo era all'epoca dipendente e ha di conseguenza disposto il risarcimento di 900 milioni per danno biologico e 400 milioni per danni morali. Totale: un miliardo e trecento milioni.

Tanti soldi, anche se per la signora Maria, moglie dell'operaio, e per suo figlio non sarà facile incassarli: la "Lo Monaco" è un'impresa a carattere familiare e il suo stato economico è tale che non riuscirà verosimilmente ad onorare il debito, se non in minima parte. Basti pensare che solo il mese scorso - e a seguito di un ordinanza del giudice - la ditta si è decisa a pagare i 150 milioni di lire più interessi ricevuti da anni dall'assicurazione e mai "girati" alla moglie di Stanca.

Al di là dell'aspetto economico, la sentenza in ogni caso assume un significato importante sul piano simbolico. Non restituisce Mario all'affetto dei suoi cari (solo un miracolo potrebbe consentire all'uomo, in coma neurovegetativo, di risvegliarsi) ma potrebbe contribuire a evitare che tragedie del genere si ripetano, inducendo le imprese a investire sulla sicurezza e al rispetto delle norme in vigore. La vicenda è infatti esemplare: assunto da poche settimane, nel luglio del '96 Stanca viene mandato sul tetto di un ex ristorante diroccato da ristrutturare. E' completamente privo delle cinture regolamentari: cade, sbatte la testa e finisce in coma. Fa riflettere che cose del genere possano continuare ad cadere quando tutti gli addetti ai lavori sanno che la causa più frequente di infortuni nei cantieri edili è la caduta dall'alto.

Dice Vladimiro Pina, segretario della Fillea Cgil di Como: "Non si può che esprimere vivo compiacimento per l'esito di questa sentenza, sia nei confronti dei familiari ma soprattutto perché finalmente il giudice ha punito in modo esemplare un'impresa edile per il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza". Esito non scontato, dal momento che azioni legali di questa natura non sempre trovano un percorso "lineare": "E' già capitato in un altro caso, per il quale abbiamo dato assistenza - racconta Pina - che il pretore abbia archiviato la causa a seguito di un patteggiamento fra le parti (azienda e familiari del lavoratore)".

Le ragioni degli incidenti sono note. Il sindacalista denuncia la grave situazione nei cantieri della zona dove "non meno del 50% dei lavoratori edili non è in regola oppure vive situazioni di forte precarietà, di orari di lavoro più lunghi ma non dichiarati". Cantieri di questa natura, sottolinea Pina, "sono inevitabilmente meno sicuri per chi ci lavora, perché gestiti da imprese che tendono a risparmiare sulla sicurezza". A questo si somma la difficoltà di eseguire i controlli necessari: "In questa zona - riferisce ancora il sindacalista - i cantieri sono prevalentemente di tipo privato, di piccola dimensione, polverizzati sull'intero territorio. Di frequente il lavoro viene dato in subappalto a imprese artigiane o individuali. Asl e ispettorato del lavoro si limitano a visitare i cantieri di maggiore importanza, tralasciando gli altri". La strada da seguire per il segretario della Fillea è comunque quella di una larga e diffusa prevenzione. Per questa ragione il sindacato ha da tempo richiesto alla prefettura di Como "che venga avviato celermente un coordinamento tra i diversi enti".

Roberto Farneti
da "Liberazione"
Como, 29 maggio 2001