Per comprendere la natura economica della “guerra preventiva” in Afghanistan e in Iraq e la presunta frattura tra l’Europa continentale, fondata sull’asse franco-tedesco, e i paesi anglo-sassoni, l’asse Usa-Gran Bretagna, è necessario ricordare alcuni fatti politico-economici che negli ultimi anni hanno favorito il sorgere di interessi divergenti e conflittuali tra le due aree.
L’oggetto del contendere non è solo il controllo diretto delle risorse petrolifere
situate nel Mar Caspio tramite l’ottenimento delle concessioni di sfruttamento
e estrazione dai giacimenti, ma soprattutto il controllo delle rotte petrolifere
sia verso occidente (Europa) che, in una prospettiva futura ancor più strategica,
verso oriente (Mar Arabico, India e Cina).
Ma c’è di più. Il conflitto nascente tra Stati Uniti e Gran Bretagna, da un
lato, ed Europa e Russia dall’altro, ha a che fare anche con le diverse strategie
e interessi divergenti nei complessi militari, industriali e finanziari.
La concorrenza dell’euro con il dollaro è cresciuta da quando l’economia
americana è entrata in fase recessiva e il forte passivo commerciale statunitense
richiede la svalutazione della valuta americana a vantaggio di quella europea.
La prima conseguenza è stata l’aumento dell’euro a scapito del dollaro come
moneta pregiata da tenere nelle riserve valutarie dei paesi del Sud-Est asiatico,
Cina in testa.
La “guerra preventiva” in Iraq è in primo luogo una “guerra preventiva” contro
l’Europa e la Cina.
La competizione tra le grandi multinazionali del petrolio inizia nei primi
anni 90, all’indomani della dissoluzione sovietica.
I fatti principali e gli attori in gioco sono i seguenti.
Sulla base di questi eventi, alla fine degli anni Novanta il controllo delle rotte petrolifere è saldamente in mano al consorzio Bp-Amoco, ovvero all’asse anglo-americano, che può godere tra i propri fiduciari anche la famiglia Bush e l’appoggio dei repubblicani.
Ma tale predominio è comunque messo in discussione da altri consorzi petroliferi,
con sede in Usa, in particolare dal gruppo Chevron-Texaco, che gode invece
i favori dell’amministrazione democratica, tramite la figura di Al Gore, all’epoca
vicepresidente di Clinton e futuro candidato (perdente) alla Casa Bianca.
Nel 1997, infatti, con un’iniziativa separata e con l’appoggio di Al Gore,
si pervenne ad un accordo tra la Socar e la Chevron e concorrente dell’Amoco.
Chevron era già presente nella regione settentrionale del Kazakistan, grazie
alla joint venture Tengizchevroil.
La competizione elettorale tra Bush junior e Gore nel 2000 può anche essere
letta come l’esito della competizione tra i due principali gruppi petroliferi
concorrenti.
Tale competizione si ricompone dopo la vittoria di Bush, in vista degli enormi interessi che derivano dal possibile controllo delle rotte petrolifere verso Oriente.
Se l’Amoco-Bp, con gli alleati che di volta in volta si sono aggiunti (importante è il ruolo della compagnia petrolifera turca Tpao), è in grado di controllare la rotta degli oleodotti che dal Mar Caspio si dirige in Europa e in Occidente, la partita per il controllo delle rotte verso oriente è ancora del tutto aperta.
La contesa ha inizio nel 1995 con la decisione della Ulocal non ancora appartenente
al consorzio anglo-americano Amoco-Bp, ma a quel tempo concorrente, di progettare
un nuovo oleodotto che, attraverso l’Afghanistan, trasportasse il greggio
ad un terminale (da costruire) situato sul Mar Arabico (Oceano Indiano) per
essere poi smistato via nave verso l’India e la Cina.
Il progetto era appoggiato dall’allora Amministrazione Clinton.
Occorre ricordare che Ulocal fa anche parte, insieme alla British Petroleum
(Bp), del progetto dell’oleodotto Baku-Ceyan, che dall’Azerbaijan dovrebbe
trasportare petrolio attraverso la Georgia e la Turchia, verso Occidente.
Il progetto dell’Ulocal per l’oleodotto trans-afgano era di creare un consorzio
(denominato CentGas), con la partecipazione, molto limitata, del gigante russo
del petrolio Gazprom, al fine di utilizzare anche le riserve del Kazakistan
(controllate dai russi). A tal fine, la storia è oramai nota, iniziarono i
contatti tra l’Amministrazione Clinton e i Talebani dell’Afghanistan.
Nel 1996, l’esercito Talebano fu ufficialmente riconosciuto dagli Usa e
iniziarono i flussi di aiuti per sconfiggere l’Alleanza del Nord, che era
sostenuta da Mosca con grandi forniture militari e mettere fine alla guerra
civile afgana che durava da anni. E’ in questa fase che, tramite il ruolo
del Pakistan e dei suoi servizi segreti Isi, si rafforzano i legami tra Usa,
Al Qaeda e gli stessi Talebani. L’alleanza con il nuovo governo di Kabul era
diventata strategica per il controllo della via orientale del petrolio e una
stabilizzazione dell’area era fortemente sostenuta dagli stessi dirigenti
dell’Ulocal e rientra nella strategia della Via della Seta (Srs) messa a punto
nel 1999. Le nuove prospettive di sviluppo di oleodotti verso l’oriente, ovvero
verso l’enorme mercato cinese, spinse altri gruppi petroliferi a cercare di
entrare nel Consorzio CentGas. La stessa Amoco, dopo la fusione con la Bp,
cominciò negoziati diretti con i Talebani.
La fusione tra Amoco e Bp significò una saldatura tra Usa e Gran Bretagna
che andava al di là del solo settore petrolifero.
Tra i due paesi si svilupparono intensi legami politici ed economici con interessi
diversi.
Ad esempio, sul piano delle forniture militari, ai grandi produttori di armi
per la difesa Usa (Lockheed, Raytheon, Northrop, Boeing, General Dynamics)
si aggiunse nel 1999 (dopo la guerra in Yugoslavia) la British Aereospace
System (Baes), principale produttore di armi britannico.
Con la convergenza degli interessi dei due paesi nei settori petrolifero,
bancario e militare-industriale, il governo del New Labour di Tony Blair è
diventato un alleato incondizionato degli Stati Uniti.
Tra il 1998 e l’elezione di Bush J., la competizione tra il gruppo Amoco-Bp
e la Ulocal divampò sia a livello giuridico che economico, con il ritiro dell’Ulocal
dal consorzio CentGas.
Il motivo del contendere ebbe come protagonista una terza compagnia petrolifera
allora emergente, la Bridas Energy Corporation of Argentina. Questa compagnia,
legata al presidente argentino Menem, nel febbraio 1996 firmò un accordo preliminare
con il governo provvisorio dei Talebani per la costruzione di un oleodotto
trans-afghano.
Era evidente la strategia del governo Talebano: mettere l’una contro l’altra
le compagnie petrolifere interessate alla costruzione dell’oleodotto per ottenere
il massimo aiuto militare.
In effetti, l’amministrazione Clinton fornì un sostegno militare che fu cruciale
per la conquista di Kabul e anche per il periodo successivo. La Bridas per
ritorsione citò in giudizio la Ulocal per 15 miliardi di dollari di danni,
accusandola di subdole interferenze e intromissioni.
La saga continuò sino al 1997 quando, a seguito delle incombenti difficoltà finanziarie, la Bridas dovette vendere il 60% delle proprie quote all’Amoco. Ciò permise al consorzio Amoco-Bp di entrare a pieno titolo nel business dell’oleodotto trans-afgano.
Di fronte al più grande gruppo petrolifero, la Ulocal, che era comunque
partner della Bp nel progetto dell’oleodotto Baku-Ceyan, che dall’Azerbaijan
arriva in Turchia, decise di ritirarsi dalle trattative con i Talebani per
l’oleodotto e pose fine all’esperienza del consorzio CentGas.
La competizione tra Amoco-Bp e la Ulocal cessò del tutto sia in seguito al
fatto che si pervenne ad un accordo per il ritiro della causa intentata dalla
Bridas (ora Amoco) contro la Ulocal, sia come effetto dell’elezione di Bush
e, dopo l’11 settembre, della decisione di attaccare l’Afghanistan e eliminare
il governo Talebano sostituendolo con uno “amico”.
E’ in questa fase che si riforma il consorzio CentGas, nel qual parteciparono
sia Amoco che Ulocal.
E già a partire dall’ottobre 2001 sono cominciate le trattative, per il momento
ancora in modo indiretto, per la ripresa del progetto dell’oleodotto, che
vedrà l’inizio lavori nella primavera prossima.
Con l’intervento anglo-americano in Afghanistan, le compagnie petrolifere
americane sono oggi in grado di controllare il processo
di costruzione delle rotte petrolifere verso Oriente. Si tratta di un obiettivo
strategico per il controllo delle filiere di subfornitura che
dal comando tecnologico e finanziario delle multinazionali Usa si dipana verso
la Cina e il Sud-est asiatico.
Se il controllo degli oleodotti verso Occidente al di fuori del territorio
russo stabilisce l’attuale gerarchia imperiale tra gli Usa e la Russia di
Putin, il controllo degli oleodotti verso Oriente rappresenta un formidabile
strumento di condizionamento delle possibilità di crescita geoeconomica
e geopolitica della Cina.
In questo scenario, quale spazio e quale ruolo può svolgere l’Europa di Maastricht?
Ed è proprio sul rapporto Usa-Europa che si gioca il nuovo evento bellico
in Iraq.
L’Europa è presente nel mercato petrolifero con il consorzio franco-belga
Total-Fina-Elf e l’olandese Shell.
Se quest’ultima è più impegnata nell’estrazione di petrolio dal Mare del Nord
che nel Medio Oriente, il gruppo Total Fina-Elf, a cui è associata l’italiana
Eni, ha un contratto per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di Kashagan,
a Nord- Est del Mar Caspio.
Si tratta di una posta in gioco assai rilevanti non solo perché si ritiene
che le riserve di Kashagan siano più grandi di quelle del mare del Nord (oggi
in fase di esaurimento) ma anche perché sono i più vicini ai giacimenti ancora
tutti da quantificare del Kazachistan.
Inoltre, il consorzio Europeo non ha quote significative né influenza sulle
principali rotte che dal bacino del Mar Caspio arrivano in Europa, che, invece,
sono in mano, come abbiamo visto, ai concorrenti anglo-americani.
Tuttavia, il gruppo Total-Fina-Elf, sempre insieme all’Eni, detiene concessioni
estrattive notevoli in Iran.
In particolare, la Total, insieme alla russa Gazprom e alla malese Petronas,
ha costituito una joint-venture con la National Iranian Oil Company (Nioc),
sia per lo sfruttamento dei giacimenti iraniani che per il controllo degli
oleodotti che portano a Bassora, i cui terminali, per metà in territorio iracheno
(Al Quetta) e per metà in quello iraniano, rappresentano la via più veloce
per il trasporto del petrolio verso l’India e la Cina.
La costituzione di questa joint-venture è stata fortemente osteggiata dal
governo americano, con la motivazione che l’iniziativa francese contravveniva
apertamente alle sanzioni contro Iran e Libia.
Il rischio per il consorzio angloamericano è che, grazie all’Iran, il consorzio europeo, alleato a quello russo, sia in grado in un prossimo futuro di aprire una nuova via del petrolio che dal Mar Caspio arrivi direttamente al Mar Arabico senza passare per l’Afghanistan.
In un’ottica del genere, il controllo del territorio iracheno diventa strategico
e non è sicuramente un caso che le divergenze tra l’asse anglo-americano e
l’asse franco-tedesco si siano sviluppate oggi e non durante la guerra in
Afghanistan.
Divergenze che poco hanno a che fare con gli ideali di pace ma piuttosto con
il perseguimento di interessi multinazionali, che poco hanno a che vedere
con la logica degli interessi nazionali.
Appare invece del tutto curiosa la posizione del governo italiano.
Berlusconi è l’unico leader di un paese con interessi in campo petrolifero
che si colloca politicamente nello schieramento che avversa gli interessi
della propria multinazionale.
Un ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che Berlusconi utilizza
il mandato politico ricevuto per occuparsi esclusivamente dei propri personali
interessi economici.
Nato dalla fusione tra l’American Oil Company e la British Petroleum, controlla
anche la Tpao turca e, recentemente dopo un durissimo scontro giudiziario,
il gigante californiano Ulocal.
Ha ingenti interessi nel Mar Caspio e nell’Asia caucasica e controlla le rotte
del petrolio che da quell’area si dirigono in Europa.
Patto di mutua assistenza tra Nato e Georgia, Ucraina, Uzbekistan, Azerbajan
e Moldavia.
In realtà è uno strumento di controllo occidentale sulla politica petrolifera
di quelle repubbliche in chiave antirussa.
Altro colosso statunitense alternativo all’Amoco-Bp e spalleggiata dai democratici
di Al Gore.
Dopo la vittoria di Bush ha “ricucito” con gli storici concorrenti.
Gruppo francese con forti interessi nel Mar Caspio ma fuori dal controllo
delle principali rotte asiatiche.
La Total alleata anche dell’italiana Eni), insieme alla russa Gazprom ha costruito
una joint-venture con la National Iranian Oil Company.
Gli Stati Uniti temono che questa alleanza russoeuropea- iraniana possa aggirare
la rotta caucasica e aprire una nuova via.