Guerra contro l'Iraq e le sue ragioni

Il vero obbiettivo è l'espansione Usa

Le porte non si sono ancora aperte alla guerra, ma ha già fatto la sua comparsa l'imprevisto. L'annuncio di martedì scorso, dato da Donald Rumsfeld, secondo cui le forze britanniche potrebbero non partecipare alla fase iniziale dell'intervento contro l'Iraq, lascia supporre che l'Inghilterra potrebbe restare esterna alla coalizione.

La ragione è che, questa settimana, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna quasi certamente non riusciranno ad ottenere una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizzi l'invasione dell'Iraq. E in questo caso, se Tony Blair va in guerra, potrebbe perdere la presidenza del governo inglese. Eventi inimmaginabili a Washington solo fino alla fine di febbraio.

Il Presidente George W. Bush si trova ora nel mezzo di un'enorme controversia, secondo lui legata alla politica nei confronti dell'Iraq. Ma tutti gli altri sanno che il dissidio ha a che fare con la stessa Amministrazione Bush e che si estende ben oltre, fino a toccare la collocazione futura degli Stati Uniti nell'assetto mondiale.

Washington si trova ora, incredula e controvoglia, a fare i conti con la possibilità che le Nazioni Unite non siano poi così insignificanti. Lunedì scorso, Kofi Annan ha affermato che gli Stati Uniti hanno veramente bisogno della legittimazione che il Consiglio di Sicurezza potrebbe fornire: senza di essa infatti, gli Usa potrebbero vedersi davvero costretti ad andare avanti da soli.

USA e ONU

I detrattori hanno tutte le ragioni per chiedere come mai le Nazioni Unite, questa organizzazione che riunisce governi solo in pochi casi democratici, e in molti casi deprecabili per quanto riguarda il rispetto delle libertà civili e dei diritti umani, debbano formulare un giudizio sugli Stati Uniti. La risposta è che le Nazioni Unite sono l'unica assemblea dove le nazioni del mondo intero possono formulare un giudizio collettivo sugli affari internazionali.

L'assetto mondiale si basa sul principio della sovranità assoluta degli Stati, che non ha nulla a che vedere con le qualità o la moralità dei Governi. Usando un metodo induttivo, questo sistema si è rivelato il meno peggio tra gli assetti diplomatici e legali a livello internazionale. E le Nazioni Unite, all'interno di questo sistema, rappresentano l'organizzazione deputata all'esercizio dell'autorità internazionale.

Gli Stati Uniti, nella crisi irachena, propongono di infrangere questo sistema: è questo il vero nodo della questione, nella crisi attuale. L'Amministrazione Bush afferma che, se il Consiglio di Sicurezza non le darà ciò che vuole, l'America ignorerà le Nazioni Unite e, d'ora in avanti, farà qualunque cosa le sembri giusto. In questa affermazione, viene implicitamente proposto un ordine internazionale differente, dove gli Stati Uniti rivendicano il diritto sovrano di intervenire, disarmare e realizzare "cambiamenti di regime" in altri paesi, senza alcuna limitazione esterna. Nella dichiarazione sulla strategia nazionale rilasciata lo scorso autunno, gli Usa hanno espresso l'intenzione di mantenere una schiacciante superiorità militare a livello globale e di intraprendere qualunque azione necessaria per prevenire la comparsa di una potenza rivale.

La logica soggiacente si presta a considerazioni negative o positive. Al momento, le interpretazioni ostili sono tutto intorno a noi: si dice che l'intervento in Iraq rappresenterà una misura per prendere il controllo dell'energia a livello globale, o il dominio egemonico sul mondo intero a livello economico e commerciale, oppure per garantire l'espansione di Israele. Si arriva perfino ad affermare che Bush sia convinto di star realizzando le profezie dell'Apocalisse biblica e del ritorno del Messia, secondo l'interpretazione di alcune marginali sette americane del fondamentalismo protestante a cui il Presidente presta ascolto.

USA nazione responsabile?

L'interpretazione positiva delle intenzioni statunitensi, peraltro condivisa dalla maggioranza degli americani, sostiene invece che gli Stati Uniti siano una nazione responsabile e con intenzioni benevole, e che, cooperando con i loro più fidati alleati democratici, essi userebbero la loro grande potenza per proteggere la democrazia e la pace.

L'Iraq rappresenta una crisi per gli Stati Uniti perché i membri dell'Onu vedono la prospettiva di un potere mondiale americano incontrastato davanti ad un banco di prova. Finora hanno visto gli Stati Uniti insistere sul fare come dicono loro senza prendere in considerazione altre alternative, ma li hanno visti incapaci di offrire una spiegazione logica sull'Iraq che fosse in grado di convincere la maggioranza delle democrazie, ossia i loro naturali sostenitori. Li hanno visti denunciare a spada tratta chiunque li criticasse, e minacciare rappresaglie gravi e devastanti nei confronti delle democrazie che avevano fatto opposizione attiva sulla questione irachena: Francia, Germania, Belgio e Turchia. In poche parole, hanno visto Washington chiedere sottomissione, e intraprendere misure per ottenerla con la forza. Tutto questo, agli occhi del resto del mondo, non è molto rassicurante, per usare un eufemismo.

USA e leadership mondiale

All'improvviso, l'idea che il mondo sia sottoposto ad un potere americano incontrastato ha perso fascino. Dalla seconda guerra mondiale fino al crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno detenuto la leadership a livello internazionale adottando politiche responsabili e mostrando sensibilità nei confronti delle richieste degli alleati. È per questo motivo che, fino ad ora, si sono levate relativamente poche preoccupazioni in merito al loro assurgere ad unica superpotenza mondiale. Gli Stati Uniti continuavano ad avere la fiducia della comunità internazionale, ma l'Amministrazione Bush è riuscita, con questa crisi irachena, a mettere a repentaglio, se non addirittura a distruggere, l'offerta americana di un'egemonia internazionale benevola e responsabile. Ha fatto apparire le Nazioni Unite più importanti che mai. Si potrebbe anche aggiungere che, così facendo, l'Amministrazione ha forse fatto un favore non solo al mondo intero, ma anche agli Stati Uniti. Io stesso non sono dell'opinione che i valori della repubblica americana sopravvivrebbero davanti al possesso di un potere assoluto.

William Pfaff (International Herald Tribune)
Sabrina Fusari (traduttrice)
USA, 15 marzo 2003
da "Liberazione"