Rachel Corrie, 23 anni e pacifista americana, uccisa a Gaza dai bulldozer israeliani.
Davide Cesare, 26 anni e comunista, assassinato a Milano dai fascisti

Rachel e Davide prime vittime della guerra

Il valore della vita umana va in caduta libera, ogni volta che si approssima un conflitto delle dimensioni di quello che sta per esplodere

Rachel Corrie e Davide Cesare non si conoscevano. Erano molto diversi l'una dall'altro: lei era una pacifista americana, nata e cresciuta nell'hinterland di Washington, lui era un giovane attivo nei centri sociali della grande periferia di Milano. Ma tra di loro certamente correva un profondo filo sotterraneo, una comune scelta di valori e forse anche di orizzonte: Davide e Rachele erano due figli del nostro tempo che non sopportavano «lo stato delle cose presenti», la galoppante regressione del mondo e della civiltà occidentale alla quale appartenevano. Della loro esistenza avevano perciò fatto lo specchio coerente delle loro idee: per costruire qualcosa di radicalmente differente, per tentar di fermare la guerra e l'orrore che ad essa si accompagna, per testimoniare che ci può essere una vita attiva degna di essere vissuta fino in fondo.

Ora Rachele e Davide sono morti, giustiziati l'uno a poche ore di distanza dall'altra. L'una nella striscia di Gaza, schiacciata da un bulldozer dell'esercito di Ariel Sharon, in preda ad una furia omicida e distruttiva che non risparmia più nulla e nessuno - le case palestinesi, i bimbi palestinesi, i giovani palestinesi, e tutti coloro che, come Rachele, opponevano a questa barbarie soltanto il loro corpo inerme e innocente. L'altro, Davide, è stato la vittima sacrificale, in una qualunque nottata lombarda, di un rigurgito antico - e sempre nuovo, e mai del tutto sconfitto - di violenza fascista: un assassinio freddo, spietato, consapevole, quasi un'esecuzione politica. Accomunati da uno stesso destino di morte immatura - in luoghi tanto diversi, per mani tanto diverse ma oggi tanto ferocemente convergenti - Rachele e Davide sono stati rapidamente seppelliti sotto una coltre di silenzio - e di bugie mediatiche. Per lei pochi, e distratti, titoli di prima pagina - con la versione dell'incidente subito accreditata, come per sbrigare subito la pratica e voltare pagina. Immaginate quale sarebbe stata l'evidenza mediatica per un marine nordamericano fatto saltare da un kamikaze di Hamas? Per lui, l'infame dizione di «vittima di una rissa tra opposte fazioni»: un altro «incidente» più o meno fisiologico, come capita ai giovani un po' scalmanati, o sovraeccitati dopo una birra di troppo. Sì, nel mondo rovesciato in cui siamo costretti a vivere ci sono morti ammazzati che pesano, e morti ammazzati «lievi come piume».

La verità è che Rachele e Davide sono le prime vittime della guerra che sta per sommergere di bombe l'Iraq, e già stringe il pianeta in una morsa d'angoscia mai prima, forse, sentita. Non sono stati, è ovvio, né il Pentagono né il generale Franks a ordinare il loro assassinio. Ma il clima di guerra e di emergenza che si respira dovunque, da giorni, da settimane, da ore, è certo stato determinante. Intanto, perché il valore della vita umana va in caduta libera, ogni volta che si approssima un conflitto delle dimensioni di quello che sta per esplodere. E la vita di chi si oppone, di chi non ci sta, di chi milita contro vale ancora di meno. Tutto, sì, è più precario, come sospeso, come improvvisamente inafferrabile. Poi, certo, ogni luogo ha le sue ragioni e la sua dinamica specifica.

In Medio oriente, nei territori occupati, quel che avviene quotidianamente è più che una guerra: è lo sterminio sistematico di un popolo, uno stillicidio quotidiano di esseri umani. Con i riflettori mondiali puntati su altri teatri, Sharon ha adesso mano libera, e porta avanti la sua campagna di annientamento - fisico, morale e politico - dei palestinesi. In questo orrore permanente non ci sono più regole rispettate, non ci sono più spazi in qualche modo sottratti al crudo esercizio della violenza. Rachel Corrie è morta così, in una guerra che è già andata oltre tutte le guerre conosciute e che galoppa verso le "guerre" di un lontano passato - quelle in cui non si usavano convenzioni internazionali, non si curavano i feriti, non si salvaguardavano i pigionieri, e si trucidavano ostaggi e ambasciatori.

A Milano, dove non c'è alcuna guerra civile in corso, si respira comunque un'atmosfera di diffuso malessere "locale", testimoniata dalle incredibili vicende della giunta al potere. Ma poi: è proprio così casuale che la morte, l'assassinio di Davide Cesare, sia avvenuta il giorno dopo una straordinaria manifestazione pacifista che ha coinvolto quasi un milione di persone? E alla vigilia di un anniversario (Fausto e Iaio) così caro alla memoria del movimento? Forse, si tratta solo di una coincidenza. Ma il comportamento di quelle forze dell'ordine che - a distanza di due anni dai fatti di Genova - sembrano «imitare» i loro colleghi della Diaz e pestano di botte gli amici e i compagni di Davide, corsi sotto l'ospedale San Paolo per sapere e piangere insieme, no, non è «casuale». Anche loro sentono l'aria che tira - aria di ultimatum, missili e bombe, di violenza planetaria. Nel loro piccolo, si adeguano e menano fendenti contro ragazzi feriti. La guerra - la guerra giorno per giorno - è anche questo.

Rina Gagliardi
Roma, 18 marzo 2003
da "Liberazione"