Chi sono i teorici, gli ideologi e gli attivisti di destra, che hanno preso possesso della politica estera e militare USA

Tutti gli uomini del presidente

Wolfowitz, Libby, Rumsfeld, Cheney, Elliott Abrams, Zalmay Khalilzad, ...

Nella primavera del 1992, il New York Times pubblicò il testo di un documento riservato: un memorandum, scritto poco dopo la fine della guerra del Golfo da due funzionari politici relativamente oscuri del personale civile del Pentagono. Il progetto auspicava la supremazia militare statunitense sull'Eurasia, nonché la prevenzione della nascita di qualunque potenza in grado di divenire ostile, con tanto di guerra preventiva contro gli stati sospettati di procurarsi armi di distruzione di massa. Vi si presagiva un mondo in cui l'intervento militare statunitense oltreoceano sarebbe diventato "una caratteristica costante", senza neanche citare l'Onu. Esso occupava un posto di primo piano nel cuore e nella mente dei suoi due autori, Paul Wolfowitz e I. Lewis "Scooter" Libby, ma anche del loro capo, allora al Pentagono, Dick Cheney. Dieci anni dopo, la teoria si è tradotta in pratica, a seguito del catastrofico attentato terroristico dell'11 settembre. Ma a quel punto, Dick Cheney era già diventato il più potente vicepresidente della storia degli Stati Uniti, e i due autori del memorandum, il sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz e il capo di gabinetto di Cheney, Lewis Libby, erano ormai assurti ad un ruolo centrale nell'elaborazione della politica estera dell'Amministrazione Bush. Questi personaggi, insieme al capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, hanno guidato una coalizione di forze che è riuscita con successo ad elaborare quella che l'ex ambasciatore all'Onu, Richard Holbrooke, ha recentemente definito «una rottura radicale con 55 anni di tradizione bipartisan» nella politica estera degli Stati Uniti. (...)

Nell'elaborare questa rottura radicale nella politica estera statunitense, Wolfowitz, Rumsfeld e Cheney si sono basati su alcune think tank ed associazioni i cui iscritti hanno prestato servizio nei consigli di amministrazione delle stesse aziende e hanno origini comuni nelle organizzazioni di destra e neoconservatrici degli anni '70. Organizzazioni come Project for a New American Century (Pnac) e il Center for Security Policy (Csp), nonché l'American Enterprise Institute (Aei) hanno fornito all'Amministrazione un afflusso ininterrotto di consulenze in materia politica e di uomini - essendo quasi tutti di sesso maschile - da mettere al timone dello Stato. Questi uomini non sono affatto nuove reclute nel quadro dell'élite della politica estera, ma si sono fatti le ossa occupandosi dei dibattiti più accesi degli ultimi trent'anni in materia di politica estera. Il loro motto era "pace attraverso la forza" ed erano assai orgogliosi delle loro credenziali in quanto anticomunisti militanti e paladini della potenza bellica statunitense. Fino ad oggi, le loro esperienze più significative avevano avuto luogo durante il primo mandato di Reagan, quando la maggioranza di loro deteneva elevate cariche istituzionali. Ma oggi, in un mondo senza più l'Unione Sovietica, le loro ambizioni sono notevolmente aumentate.

Come si nota dal memorandum, i neoconservatori intravidero per la prima volta la loro opportunità nel "momento unipolare" che seguì alla guerra del Golfo, ma furono ostacolati dalla "spaccatura tra i conservatori" avvenuta dopo il crollo dell'Unione Sovietica, per non parlare del cauto realismo della stessa Amministrazione di Bush padre. Perciò, gli anni '90 segnarono un periodo di profonda frustrazione per questi uomini, che non provavano altro che disprezzo per i discorsi alla moda che pronunciava Clinton su problematiche transnazionali come il mutamento climatico, l'Aids, l'intervento umanitario, il peacekeeping, la prevenzione dei conflitti, gli standard sociali ed ambientali per l'economia globale e la creazione di nuovi meccanismi multilaterali come la Corte Penale Internazionale (ICC). In questi obiettivi di carattere transnazionale e in queste azioni multilaterali, i neoconservatori non ravvisavano altro se non un limite alla libertà d'azione di Washington e deviazioni rispetto alla vera missione, che consisteva a loro avviso nell'individuare ed affrontare potenziali rivali in materia militare per la conquista della supremazia. Per i neoconservatori, la politica estera americana nell'era Clinton, che talora definivano sprezzantemente "balle globali", era pericolosamente miope. Al tempo stesso, erano allarmati dalla linea fortemente isolazionista di molti dei repubblicani che avevano ottenuto la maggioranza al Congresso nelle elezioni di medio termine del 1994. Pur plaudendo al disprezzo di questi nuovi venuti nei confronti dell'Onu e di altri organismi multilaterali, non nascondevano la propria ansia per la crescente opposizione da parte repubblicana a qualunque forma di impegno militare all'estero, specialmente in zone come i Balcani, da loro considerati vitali per gli interessi nazionali statunitensi.

Il "Nuovo secolo americano"

Nel 1997, un gruppo di figure di spicco tra i neoconservatori, social-conservatori e rappresentanti del "complesso militar-industriale" (secondo la definizione di Eisenhower) si riunì per dar vita ad un'organizzazione chiamata Project for a New American Century (Progetto per un nuovo secolo americano).

I conservatori non erano riusciti a "proporre con fiducia una visione strategica del ruolo dell'America nel mondo", lamentava l'organizzazione nella propria dichiarazione di intenti. "Ci proponiamo di invertire questa tendenza e raccogliere consensi per la leadership globale statunitense".

Tra i venticinque firmatari figuravano Wolfowitz, Libby, Rumsfeld, Cheney, Elliott Abrams, Zalmay Khalilzad ed altri nomi famosi della destra. Ben lungi dall'essere una think tank del calibro dell'Heritage Foundation o dell'Aei, lo Pnac è di fatto un'associazione che emana comunicati in occasioni specifiche, spesso sotto forma di lettere aperte al Presidente. Fondato dagli opinionisti del settimanale Weekly Standard, William Kristol e Robert Kagan, lo Pnac rappresenta la più recente incarnazione di una serie di associazioni a maggioranza neoconservatrice come la Coalition for a Democratic Majority (Cdm) e il Committee on the Present Danger (Cpd). Negli anni '70, queste associazioni ebbero un ruolo di primo piano nel compattare svariate anime della destra intorno ad una comune politica estera e nell'organizzare campagne mediatiche molto sofisticate.

I bersagli principali, all'epoca, erano Jimmy Carter e la distensione e gli accordi con l'Unione Sovietica per il controllo degli armamenti. Queste associazioni diedero fondo al loro gusto per lo scontro ideologico e politico - per esempio, lo scudo stellare, le crociate anticomuniste in America Centrale, Africa meridionale ed Afghanistan, nonché la creazione di un'"alleanza strategica" con Israele. Insomma, emarginate sotto Bush padre e Clinton, le stesse organizzazioni (in molti casi, le stesse persone) che avevano ricoperto cariche nell'Amministrazione Reagan e che sarebbero tornate alla ribalta con Bush figlio, per gran parte degli anni '90 cercarono di ricostituire una nuova coalizione analoga a quella che tanta influenza aveva avuto nel corso del primo mandato di Reagan.

In un saggio comparso nel 1996 su Foreign Affairs, dal titolo "Verso una politica estera neo-reaganania", i direttori dello Pnac, Robert Kagan e William Kristol, segnalavano che la destra stava preparando una nuova agenda in materia di politica estera, in base alla quale si sarebbe approfittato del "momento unipolare" per estenderlo a tempo indeterminato nel secolo successivo. Durante le presidenziali del 2000, Kagan e Kristol curarono Present Dangers: Crisis and Opportunities in American Foreign and Defense Policy [Pericoli attuali: crisi ed opportunità per la politica estera e di difesa americana], un libro dello PNAC contenente capitoli scritti da molti dei principali teorici e studiosi neoconservatori, tra cui Richard Perle, Reuel Marc Gerecht, Peter Rodman, Elliott Abrams, Fredrick Kagan, William Bennett e Paul Wolfowitz. Il volume (che esortava ad una politica all'insegna del "cambiamento di regime" in Iraq, Cina, Corea del Nord ed Iran, caldeggiava il mantenimento della "supremazia americana", raccomandava la costruzione di sistemi di difesa missilistica a livello globale e l'allontanamento di Washington dai trattati per il controllo degli armamenti, oltre a prendere posizione in favore del Likud), è stato presentato come un modello per la nuova amministrazione repubblicana. Osservando quanto l'amministrazione Bush abbia attinto a questi programmi e fino a che punto abbia inserito i loro autori tra le "menti" della sua politica estera, si può valutare il successo dello Pnac, un'associazione che non ha ricevuto alcuna attenzione durante la campagna elettorale e che, malgrado continui a contare molto, rimane ancora nell'ombra nel dibattito politico.

Come i loro predecessori venticinque anni fa, i membri dello Pnac alla fine degli anni Novanta sono riusciti a riunire importanti personalità della destra, compresi uomini della destra cristiana come Gary Bauer ed altri social-conservatori come William Bennett, sotto l'egida della loro visione imperiale della supremazia statunitense. Non si tratta di un successo di poco conto in quanto, negli anni Ottanta e primi anni Novanta, la destra cristiana si interessava assai più di problematiche morali e culturali che di politica estera. Inoltre, queste figure erano state attratte dal "candidato indipendente" di destra Pat Buchanan, che aderiva ai "valori tradizionali", ma era anche fortemente contrario alla guerra del Golfo e lamentava da tempo la deriva imperiale e neoconservatrice del partito repubblicano.

Il nesso tra strateghi della Difesa e industria militare trova la sua massima espressione nell'associazione di destra chiamata Center for Security Policy (Centro per la politica di sicurezza), che ha stretti collegamenti sia con le aziende con contratti di appalto nel settore della Difesa. Il direttore del Centro, Frank Gaffney, uno dei primi firmatari del documento dello Pnac nel 1997, si rallegra che i principi della "pace attraverso la forza" perorati dalla sua associazione abbiano ritrovato posto nel governo americano. Come nell'era Reagan, quando molti degli attuali iscritti al Centro dirigevano la politica militare statunitense, l'attuale Amministrazione conta tra le sue fila un gran numero di membri del Consiglio consultivo del Center for Security Policy. Uno tra i primi consiglieri di amministrazione del Centro è Dick Cheney, mentre il Segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, è stato insignito del premio "Keeper of the Flame" rilasciato dal Centro. Era dagli anni '70 che i neoconservatori analizzavano le connessioni globale-locale della "guerra culturale". Secondo la destra cristiana, i valori centrali americani sarebbero stati attaccati da un'élite culturale liberal che aderiva ad un umanesimo laico e al relativismo etico. Per i neoconservatori, tuttavia, la guerra culturale assumeva una dimensione internazionale che minacciava tutta la cultura giudaico-cristiana. Una delle prime associazioni a prendere questa posizione fu Ethics and Public Policy Center (Centro per l'etica e la politica), costituito nel 1976 "per chiarire e rafforzare il legame tra la tradizione morale giudaico-cristiana e il dibattito pubblico politico sulla politica interna ed estera".

Ethics Public Policy Center, di cui Elliott Abrams è stato membro negli anni '90, prima di entrare a far parte dell'Amministrazione Bush, analizzava le radici morali comuni (e le preoccupazioni comuni) che i conservatori ebrei e cattolici condividevano con la destra cristiana. Da molto tempo all'ordine del giorno nella politica statunitense, l'idea della supremazia culturale americana e della necessità di difenderla dalle crescenti insidie internazionali era ormai, alla fine degli anni '90, un tema di spicco nel dibattito politico in corso negli Stati Uniti. Lo storico neoconservatore Samuel Huntington ha fornito una copertura teorica a questa idea paranoica della supremazia culturale nella sua nota opera intitolata Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.

Uno sguardo d'insieme

Come durante l'Amministrazione Reagan, le "think tanks" di destra rivestono un ruolo chiave nella strutturazione del nuovo quadro politico. Particolarmente importante si rivela l'American Enterprise Institute (Aei), che ha in Richard Perle il suo membro di spicco.

Perle, un sostenitore dello Pnac, ha contribuito alla realizzazione del Center for Security Policy e del Jewish Institute for National Security (Junsa), la cui rilevanza è in continua crescita. Nel corso degli anni, l'Aei si è schierato in prima linea nel chiedere attacchi militari preventivi contro gli "stati canaglia" e ha denunciato come "distensione" tutti gli sforzi condotti da Washington e dai suoi alleati europei per "dialogare" con la Corea del Nord, l'Iran o l'Iraq. L'Amministrazione Bush ha di fatto abbracciato tutte le posizioni politiche sostenute dall'AEI per il Medio Oriente. L'analisi politica dell'AEI - fatta propria dall'Amministrazione Bush - è percorsa dalla profonda fiducia nella intrinseca rettitudine e nella missione redentrice negli Stati Uniti, dalla critica contro la codardia morale dei "liberal" e delle "élite europee", dall'imperativo del sostegno a Israele contro l'"odio implacabile" dei musulmani e dalla convinzione del primato del potere militare, in una visione del mondo che ricorda da vicino quella di Hobbes. Sebbene non sia ancora integrata nella retorica ufficiale, l'idea dell'AEI per cui un conflitto con la Cina sarebbe inevitabile è sostenuta da diversi "falchi" all'interno dell'Amministrazione.

Negli editoriali apparsi sulle pagine del settimanale Weekly Standard (pubblicato da William Kristol, co-fondatore dello Pnac), dal Wall Street Journal, dal National Review, dal Commentary Magazine, dal Washington Times così come sulle colonne delle agenzie di stampa nazionali scritte da William Safire, Michael Kelly e Charles Krauthammer, il Dipartimento di Stato (e in particolare la sezione Vicino Oriente) ha subito continue critiche. Ma queste nuove figure intransigenti in materia di politica estera si sono fatte strada anche all'interno del Dipartimento di Stato. Nonostante le obiezioni di Powell, Bush ha nominato John Bolton, un sostenitore ad oltranza dell'unilateralismo ed ex vicepresidente dell'AEI, come sottosegretario di Stato per il controllo degli armamenti e per la sicurezza internazionale.

La maggioranza dei politici di destra di orientamento neoconservatore si è concentrata sulla necessità che l'America imponga il suo potere militare e diplomatico. In netto contrasto con quanto accadeva nell'era Clinton, i teorici neoconservatori, d'accordo con i "falchi", hanno messo in secondo piano il dibattito pubblico sulla globalizzazione. Anziché sugli standard ambientali e sociali della globalizzazione, i riflettori dell'economia sono infatti puntati sugli interessi della sicurezza nazionale americana, in particolare per quanto riguarda le risorse energetiche, e quindi sulla prosecuzione della supremazia economica statunitense.

Questa ristretta cerchia di teorici, ideologi ed attivisti di destra, riuniti nelle "think tanks", nelle associazioni e nei nuovi media, ha preso possesso della politica estera e militare Usa. Il problema non è tanto nel fatto che questo cambiamento in politica estera sia stato concepito da una ristretta élite - la politica estera è da sempre appannaggio delle élite conservatrici e liberal - quanto piuttosto nelle conseguenze di questa svolta a destra. Una nuova visione della politica estera per far fronte alla nuova realtà globale era necessaria. Ma è proprio questa dimostrazione della supremazia americana a sostanziare quella strategia di grandezza in grado di servire al meglio gli interessi nazionali e la sicurezza statunitensi? Alla fine, l'elettorato americano dovrà decidere se far proseguire o meno questa dimostrazione di superiorità e potenza. Saremo noi americani a decidere se adesso ci sentiamo più sicuri, se i nostri interessi economici e morali sono meglio rappresentati e se una politica estera basata sull'estensione della supremazia Usa ci rende fieri di essere americani.

Note sugli autori

Tom Barry è analista politico dell'Interhemispheric Resource Center e co-direttore di Foreign Policy in Focus. Jim Lobe collabora spesso con Foreign Policy in Focus e con Inter Press Service.

Tom Barry, Jim Lobe
USA, 9 maggio 2003
da "Liberazione" orig: "Foreign Policy in Focus" (www.fpif.org)