Rapporto di Jean Ziegler – Relatore speciale dell’ONU per il diritto all’alimentazione nei Territori Occupati da Israele

Dai territori Territori Occupati da Israele

1. MALNUTRIZIONE E PROBLEMI DELLA SICUREZZA ALIMENTARE NEI TERRITORI OCCUPATI

A. Sull’orlo di una catastrofe umanitaria

I Territori Occupati da Israele si trovano sull’orlo di una catastrofe umanitaria, a causa delle misure militari estremamente severe imposte dall’esercito di occupazione israeliano fin dallo scoppio della seconda intifada nel settembre 2000.

Il tasso di malnutrizione tra i palestinesi è peggiorato rapidamente dall’imposizione di queste nuove misure. In uno studio finanziato dall’USAID si afferma che “i Territori Occupati, specialmente la Striscia di Gaza, registrano una chiara emergenza umanitaria per casi acuti, moderati e gravi di malnutrizione” . I casi di malnutrizione grave riportati a Gaza sono ormai equivalenti a quelli riscontrati nei paesi dell’Africa sub-sahariana, una situazione che ha dell’assurdo se si pensa che la Palestina, in precedenza, aveva un’economia caratterizzata da reddito medio. Oltre il 22% dei bambini al di sotto dei 5 anni soffre attualmente di malnutrizione (il 9,3% è affetto da malnutrizione acuta e il 13,2% da malnutrizione cronica), contro il 7,6% del 2000 (quando l’1,4% soffriva di malnutrizione acuta e il 6,2% di malnutrizione cronica), secondo dati del Centro di ricerche statistiche palestinese . Circa il 15,6% dei bambini al di sotto dei 5 anni è affetto da un’anemia acuta che in molti casi produrrà ripercussioni permanenti sul futuro sviluppo fisico e mentale. Il consumo di generi alimentari è sceso di oltre il 30% pro capite . Si lamenta una diffusa scarsità di generi alimentari, specialmente proteici . Oltre la metà delle famiglie palestinesi mangia ormai solo una volta al giorno . Molti palestinesi incontrati dal Relatore Speciale hanno affermato di cercare di sopravvivere consumando solo pane e thè.

L’economia è quasi al collasso e il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà estrema è triplicato. Circa il 60% dei palestinesi vive in condizioni di povertà acuta (75% a Gaza e 50% in Cisgiordania). Il PNL pro capite si è quasi dimezzato rispetto a due anni fa . Anche quando i generi alimentari sono effettivamente disponibili, molti palestinesi non possono permettersi di acquistarli per le loro famiglie. Oltre il 50% dei palestinesi è stato costretto ad indebitarsi per acquistare generi alimentari, e molti, presi dalla disperazione, vendono tutte le proprietà di cui dispongono . Oltre il 50% dei palestinesi dipende ormai completamente dagli aiuti alimentari: ciononostante, come segnalano molte organizzazioni umanitarie incontrate dalla missione, l’ingresso e la circolazione all’interno dei Territori Occupati per scopi di assistenza alimentare vengono spesso negati e i camion vengono mandati indietro. Accedere ai territori per scopi umanitari è spesso complicato per l’ONU e per le organizzazioni non governative. Nel maggio 2003, ad esempio, una delegazione UNSCO è stata bloccata a Gaza per 5 giorni: le forze di occupazione non le permettevano infatti di muoversi. Il fatto che i palestinesi non ricevano abbastanza generi alimentari, sotto forma di aiuti o altro, trova conferma nel rapido peggioramento del tasso di malnutrizione.

B. Cause della crisi alimentare

1. Blocchi e restrizioni alla circolazione

L’aumento senza precedenti delle restrizioni alla circolazione dei palestinesi all’interno dei Territori Occupati priva questa popolazione non soltanto della libertà di movimento, ma anche del diritto all’alimentazione. La diffusa imposizione, da parte delle forze di occupazione militare, di coprifuoco, blocchi stradali, permessi di circolare, checkpoint e l’obbligo di carico e scarico dei veicoli ai punti di sorveglianza stanno dando adito ad una crisi umanitaria. In uno studio finanziato dall’USAID si afferma che “l’inizio dell’intifada nel settembre 2000 e i conseguenti blocchi, incursioni e coprifuoco israeliani hanno devastato l’economia palestinese e messo in crisi i sistemi da cui dipende la popolazione palestinese per soddisfare esigenze basilari quali l’alimentazione e la sanità” . La Banca Mondiale rileva: “La causa immediata della crisi economica palestinese sono i blocchi” . Le restrizioni alla circolazione hanno portato l’economia ormai al collasso, e molti palestinesi non sono in grado di alimentarsi: non possono recarsi sul posto di lavoro, né coltivare i campi, né acquistare generi alimentari. Per molti palestinesi, questa impossibilità di alimentare le proprie famiglie sta conducendo ad una perdita della dignità umana e ad una disperazione completa, spesso esacerbate da molestie ed umiliazioni ricevute ai checkpoint nel tentativo di recarsi al lavoro o ad acquistare generi alimentari . Come scrive Avraham Burg, ex presidente della Knesset e ora parlamentare laburista: “è difficile comprendere l’esperienza umiliante dell’arabo disprezzato e costretto ad avanzare faticosamente per ore lungo la strada scoscesa e bloccata che gli è stata assegnata” .

I blocchi impediscono la circolazione non soltanto tra le zone palestinesi e Israele, ma anche all’interno degli stessi territori palestinesi. Quasi tutte le strade che collegano città e villaggi sono bloccate da checkpoint presidiati da soldati o dotati di barriere fisiche come blocchi di cemento e profonde trincee. Nella maggioranza dei casi, un percorso che normalmente richiederebbe pochi minuti si compie oggi anche in molte ore o giorni, anche solo per recarsi ad un villaggio vicino. Il Relatore Speciale ha rilevato che è quasi sempre possibile optare per una strada alternativa più lunga aggirando le montagne, se si è in buona salute e in grado di camminare, ma non se si è anziani, deboli, affamati o ammalati: tutto questo sembra complicare le giustificazioni a sostegno dei blocchi in quanto misura di sicurezza efficace. La circolazione delle merci è invece controllata attraverso un sistema di carico e scarico dei veicoli, in base al quale tutti i camion devono essere scaricati da un lato del checkpoint e ricaricati su di un altro camion che si trova dall’altra parte del checkpoint. Dal momento che le strade della Cisgiordania e della Striscia di Gaza sono bloccate da numerosi checkpoint, questa misura fa aumentare drasticamente i costi del trasporto di generi alimentari e ortofrutticoli . In alcuni casi, il passaggio di tali prodotti ai checkpoint viene vietato per diversi giorni e senza spiegazioni. Presso vari checkpoint della Cisgiordania, il Relatore Speciale ha visto personalmente dei camion carichi di frutta e verdura lasciate marcire al sole.

Tutti i palestinesi devono esibire un permesso per percorrere lunghe distanze o per lavorare nello Stato di Israele. Dall’inizio della seconda intifada, oltre 100.000 palestinesi hanno perso il lavoro a causa della revoca dei permessi. Inoltre, i palestinesi devono richiedere un lasciapassare anche per recarsi da una città all’altra della Cisgiordania e spesso si vedono rifiutare la richiesta in tal senso senza spiegazione . Il coprifuoco, talora imposto per diversi giorni di seguito, costringe in casa le popolazioni di intere città come se si trovassero agli arresti domiciliari . Queste misure rendono la vita quasi impossibile e minacciano gravemente la sicurezza alimentare di tutti i palestinesi. Molte organizzazioni non governative (israeliane, palestinesi ed internazionali) affermano che tali misure militari non avrebbero finalità di sicurezza, ma sarebbero imposte come metodo di punizione collettiva: non colpiscono infatti determinate persone potenzialmente pericolose, ma danneggiano la sicurezza alimentare della maggioranza della popolazione palestinese.

Ben pochi blocchi stradali e checkpoint sono stati tolti dalle forze di occupazione durante la visita del Relatore Speciale. Benché le forze di occupazione si stessero ritirando da alcune città palestinesi, nella maggioranza dei casi i carri armati venivano soltanto spostati in periferia. Ad esempio, il Relatore Speciale si è recato a Betlemme quando l’esercito di occupazione si era spostato fuori città e aveva passato il controllo alla polizia palestinese: ciononostante, anche in questo periodo di ritiro della forza militare, gli abitanti di Betlemme affermavano di vivere come in una grande prigione, circondati da carri armati che non avevano fatto altro che spostarsi in periferia . Lo stesso convoglio del Relatore Speciale, respinto ad un checkpoint presidiato con le armi all’uscita di Betlemme, si è visto costretto a percorrere un’altra strada.

L’interruzione delle risorse idriche non è da considerarsi meno grave della carenza di risorse alimentari. Con il sistema dei checkpoint e dei blocchi stradali, non sempre le cisterne riescono a raggiungere i villaggi, oppure vengono fermate arbitrariamente ai checkpoint, lasciando a secco le comunità interessate per diversi giorni di fila . La situazione più grave si registra nelle circa 280 comunità rurali dei Territori Occupati, che non hanno accesso a pozzi o ad acqua corrente, ma dipendono interamente dall’acqua consegnata attraverso cisterne pubbliche e private. Il prezzo dell’acqua di cisterna è cresciuto fino all’80% rispetto a settembre 2000, a causa dell’aumento del costo dei trasporti provocato dai blocchi stradali: inoltre, la qualità dell’acqua di cisterna, in massima parte, non è più conforme agli standard di potabilità dell’OMS . L’incidenza delle malattie contratte a causa dell’acqua non cessa di aumentare, a causa della distruzione delle risorse idriche e della sempre maggiore dipendenza da risorse idriche di scarsa qualità .

2. Distruzioni, espropri e confische di terre palestinesi

Fin dallo scoppio della seconda intifada, si è assistito ad un numero senza precedenti di distruzioni e confische di terre, risorse idriche, infrastrutture ed altre risorse palestinesi: il continuo aumento degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati sta inoltre privando molti palestinesi del diritto all’alimentazione.

La distruzione di aziende agricole, di vaste zone coltivate a olivi e agrumi, e di pozzi di irrigazione contribuisce al collasso dell’agricoltura. Nella Striscia di Gaza, il Relatore Speciale ha assistito alla totale devastazione di infrastrutture agricole, alla demolizione di aziende agricole e all’abbattimento di centinaia di uliveti e agrumeti a Beit Hanoun, poco dopo un’incursione dell’esercito. Ha inoltre assistito alla distruzione di case e infrastrutture di base a Khan Younis e a Rafah. Ha visto i bulldozer delle forze di occupazione all’opera a Rafah, nel luogo dell’uccisione di Rachel Corrie, la pacifista americana assassinata nel marzo 2003 da un bulldozer mentre cercava di salvare un’abitazione palestinese dalla distruzione. .

Continuano inoltre gli espropri e le confische di vaste zone coltivate e di fonti di approvvigionamento idrico. Una delle motivazioni alla base delle confische è rappresentata dalla costruzione del “Recinto di sicurezza”/ “Muro dell’apartheid” lungo il confine occidentale dei Territori Occupati (si veda più sotto). La costruzione del muro comporta, anche nella zona di Gerusalemme, confische che tagliano in due città come Abu Dis e Sawahreh. Gideon Levy scrive che il muro che taglia in due Abu Dis rappresenta “un abuso collettivo che non ha alcun rapporto con il suo scopo ufficiale”. Non ci sono passaggi all’interno del muro, ma la polizia di confine consente ad alcune persone di scalarlo, pur offendendole pesantemente mentre si arrampicano. “Tutta una città si arrampica su di un muro per andare a scuola, a fare la spesa o a lavorare – giorno dopo giorno, sera dopo sera: vecchi, giovani, donne e bambini” . La città di Sawahreh non è ancora tagliata in due. Il 14 agosto, 50.000 palestinesi hanno ricevuto l’ordinanza di esproprio da parte del Ministero della Difesa israeliano, in cui si ingiungeva loro di lasciare le loro case in base ad una legge del 1949 che autorizza all’”evacuazione territoriale in caso di emergenza”. I cittadini venivano informati di poter ricevere un indennizzo, ma pochi palestinesi possono permettersi un avvocato per istruire le pratiche necessarie .

Le confische sono motivate inoltre dall’estensione degli insediamenti ebraici, dalla costruzione di strade riservate ai coloni e dalla creazione di zone-cuscinetto intorno agli insediamenti. Il 21 maggio 2003, ad esempio, il Ministero dell’Edilizia ha bandito una gara d’appalto per la costruzione di 502 nuovi appartamenti a Maale Adumim, l’immenso insediamento che si estende da Gerusalemme Est fino alla zona di Gerico, tagliando in due la Cisgiordania . La forza di occupazione sta gradualmente acquisendo sempre più terre palestinesi, confinando questa popolazione a settori sempre più ridotti delle loro terre “in base alla mappa degli insediamenti pianificati e della strada che li attraverserà, allo scopo di garantire il controllo continuo da parte di Israele sia direttamente, sulle terre confiscate e dichiarate ‘statali’, sia indirettamente accerchiando quasi tutte le comunità palestinesi con insediamenti e ‘zone di fuoco’ o campi di addestramento militari” . Le arterie di comunicazione riservate ai soli coloni attraversano i territori palestinesi, dividendo l’area in vari settori ed esercitando un’ulteriore forma di blocco, che impedisce la circolazione delle persone palestinesi. Molte ONG, sia internazionali, sia israeliane, sia palestinesi, sostengono che procedere nelle confische ai danni dei palestinesi equivalga a sradicare lentamente tutto il popolo palestinese.

3. La strategia dei “bantustan”

Per molti intellettuali israeliani e palestinesi, nonché per i commentatori internazionali, la politica della confisca è ispirata da una strategia di base mirante ad isolare gradualmente le comunità palestinesi per dare luogo a diversi “bantustan”. Michael Warschawski parla di politica consapevole di “bantustanizzazione” della Palestina . Un noto commentatore israeliano, Akiv Eldar, ha scritto che il Primo Ministro Sharon avrebbe fatto uso esplicito del concetto di bantustan quando “ha spiegato diffusamente che il modello dei bantustan rappresenta la soluzione più adatta al conflitto” . Storicamente, il termine “bantustan” fa riferimento alle aree separate destinate ad ospitare la popolazione di colore nel Sudafrica dell’apartheid. L’utilizzo dei bantustan escluderebbe di fatto i palestinesi dall’accesso alle proprie risorse territoriali ed idriche, offrirebbe ad Israele riserve di manodopera a basso prezzo, priverebbe il futuro Stato palestinese di confini coerenti e impedirebbe la costruzione di una nazione palestinese dotata di sovranità reale e capacità di garantire al suo popolo il diritto all’alimentazione.

La costruzione del recinto di sicurezza/ muro dell’apartheid sembra rappresentare una manifestazione concreta di tale “bantustanizzazione”, così come l’aumento e l’ampliamento degli insediamenti e la costruzione di strade riservate ai coloni che separano la Cisgiordania dalla Striscia di Gaza facendone due territori solo vagamente contigui. Osservando le cartine dello stato attuale e del futuro assetto del recinto di sicurezza/ muro dell’apartheid e degli insediamenti, fornite al Relatore Speciale dalle autorità israeliane e palestinesi, nonché dalle ONG, appare evidente che la strategia della bantustanizzazione sta effettivamente avendo luogo, con chiare minacce alle possibilità di creare uno Stato Palestinese dotato di un’economia funzionante e capace di garantire il diritto all’alimentazione. Secondo Jeff Halper, coordinatore del Comitato israeliano contro la distruzione delle abitazioni, la Roadmap rappresenta un barlume di speranza, in quanto fa riferimento esplicito alla “fine dell’occupazione” dei Territori. Tuttavia, essa giunge in un momento in cui “Israele sta apportando gli ultimi ritocchi alla sua campagna, in atto già da 35 anni, per rendere irreversibile il processo di occupazione” .

4, Il blocco degli aiuti umanitari

Secondo il diritto internazionale, il governo israeliano ha l’obbligo di garantire la sopravvivenza della popolazione occupata e di prestarle assistenza in caso di necessità. Tuttavia, allo stato attuale, sono le Nazioni Unite e le organizzazioni non governative a dover intervenire per portare aiuti alimentari ai palestinesi. Nel periodo della missione, nel luglio 2003, l’UNWRA porta aiuti alimentari a 1,2 degli 1,5 milioni di profughi palestinesi nella Striscia di Gaza. La Croce Rossa Internazionale fornisce generi alimentari a 50.000 famiglie (circa 650.000 persone), avendo esteso in via eccezionale il proprio programma alimentare fino a dicembre 2003. Malgrado questi sforzi per portare aiuti alimentari ed altre forme di assistenza, molte organizzazioni riscontrano limitazioni o impedimenti ad accedere alle zone per scopi umanitari, a causa dei checkpoint, dei blocchi stradali e dei sistemi di carico e scarico merci imposti dalla forza di occupazione. La visita di Catherine Bertini, inviata particolare del Segretario Generale per la relazione sulla situazione umanitaria, nell’agosto 2002, si proponeva di ottenere un impegno specifico da parte del governo israeliano a facilitare l’accesso agli aiuti umanitari. Tuttavia, molte organizzazioni umanitarie internazionali e locali hanno informato il Relatore Speciale del fatto che, malgrado marginali miglioramenti, gli impegni presi con Bertini sono tutt’altro che rispettati.

Se l’accesso agli aiuti alimentari va senz’altro migliorato nell’immediato, a medio termine tali aiuti non sono da considerarsi come la risposta più appropriata alla crisi. Il Relatore Speciale concorda con Catherine Bertini sul fatto che l’attuale crisi umanitaria dipenda unicamente dal fattore umano : la carenza di risorse idriche ed alimentari non può infatti essere imputata a siccità, allagamenti o altre calamità naturali. Prima della crisi attuale, i Territori Occupati disponevano di terreno fertile e vantavano in generale un’economia vitale, con esportazioni per migliaia di tonnellate di olive, frutta e verdura verso Israele, l’Europa e i paesi del Golfo. L’attuale crisi, provocata interamente dall’uomo, deriva da misure pesantemente restrittive che impediscono la circolazione di persone e merci e che hanno portato l’economia e l’agricoltura palestinesi sull’orlo del collasso. La crisi umanitaria risulterebbe quindi rapidamente alleviata se si allentassero immediatamente le restrizioni alla circolazione di persone e di merci.

Jean Ziegler, (traduzione di Sabrina Fusari e Igor Giussani)
New York, 12 ottobre 2003
da "Liberazione"