A proposito di un editoriale di Padoa - Schioppa sul Corriere della Sera

Gli stati nazionali, tutt'altro che finiti

La realtà è anche l´Europa che ci sta costruendo, dopo la volontaristica introduzione della moneta unica, per ora con relativo successo, non supera affatto le dimensioni nazionali.

Forse qualche lettore avrà sospettato di catastrofismo" alcune recenti note di chi scrive sulla situazione mondiale dei primi anni del nuovo secolo e sulle lacerazioni della stessa Unione europea. La lettura dell´editoriale di Padoa -Schioppa (Corriere della sera, 2 gennaio) e i commenti di Eugenio Scalfari (Repubblica 4 gennaio) dovrebbero confermare, sia pure, c´è appena bisogno di dirlo, da diversi punti di vista, che si tratta di analisi non catastrofiste, ma semplicemente realistiche.

Padoa-Schioppa, i cui articoli sono sempre di utile lettura per la chiarezza espositiva e per la collocazione dell´autore in uno dei posti di massima responsabilità di Eurolandia, non si perita di definire "orribile" il trascorso 2003: perché " paesi più prosperi e potenti si sono applicati a scassare gli istituti su cui si era tentato di edificare la pace e la cooperazione internazionale dopo due guerre terribili" e si riferisce concretamente alla rottura dell´Onu sulla questione irachena, a quella di Cancun sul commercio internazionale, a quella di Bruxelles sulla costituzione europea e alla "lacerazione" del processo di pace nel Medio oriente; oltre che al precedente abbandono del trattato di non proliferazione nucleare e allo svuotamento del protocollo di Kyoto sull´effetto serra. Ma non si limita a queste vicende contemporanee. "Nel 1914 - scrive - bastò una settimana perché all´attacco di un terrorista seguisse una guerra mondiale che durò cinque anni, uccise 8 milioni di soldati e produsse dittature, stermini e nuove guerre (...). Il 2003 non ha colto di sorpresa chi sapeva da tempo quanto fosse esile l´edificio eretto dopo il 1945".

Giusto: per capire dove siamo e cercar di indicare dove dovremmo andare si deve ripartire da un bilancio di largo respiro, basato sull´analisi di dinamiche reali, di concrete tensioni e contraddizioni. Non serve, invece - ci sia concessa una digressione polemica - procedere a un ripudio sommario del Novecento, che finisce con il ridurre all´estremo, se non il cancellare del tutto, natura e portata di fenomeni diversi qualitativamente e i cui drammatici sbocchi conclusivi hanno ben diverse origini e cause. Un simile ripudio non ha niente a che vedere con un bilancio storico effettivo, diventa ideologico nel senso più pregnante del termine, cioè, in ultima analisi, al di là della intenzioni, mistificatorio.

Per ritornare a Padoa-Schioppa, ecco come pone senza mezzi termini il problema dell´usura della democrazia: "Nata come antidoto all´utopia di un governo fattore del bene supremo, e perciò assolutista ed oppressore, rischia oggi di divenire essa stessa utopia, assolutismo, oppressione".- Una conclusione che, nel quadro del ragionamento impostato, è del tutto pertinente, e che a noi suggerisce, tuttavia, una considerazione e un interrogativo di ordine generale.

La considerazione riguarda gli Stati nazionali oggi. Che gli Stati nazionali abbiano subito e stiano subendo una profonda usura è fuori discussione. Ma rischiano di prendere lucciole per lanterne coloro che ne proclamano semplicemente la scomparsa o quasi. In realtà, hanno continuato a esercitare il ruolo di garanti dell´ordine socio-economico stabilito, prendendo allo scopo tutte le iniziative che ritenevano necessarie, per distruttrici che fossero. Si parla correntemente, con un´espressione approssimativa, di guerra permanente. Domanda: di questa guerra permanente o del succedersi di guerre a ritmo crescente chi sono i protagonisti, se non Stati nazionali? E non sono Stati nazionali a gettare alle ortiche il trattato di non proliferazione nucleare e il protocollo di Kyoto? E non abbiamo dinnanzi ai nostri occhi lo spettacolo di governi nazionali che, per uscire da un ristagno prolungato o da vere e proprie crisi - peraltro assai più "classiche" di quanto non pretendano i sostenitori della primazia delle operazioni finanziarie.

La realtà è anche l´Europa che ci sta costruendo, dopo la volontaristica introduzione della moneta unica, per ora con relativo successo, non supera affatto le dimensioni nazionali. E´ un´Europa delle nazioni, come è affermato dalla stessa proposta costituzionale della Convenzione, non è né dichiara di voler divenire una federazione e neppure una confederazione. E non si tratta di pure questioni concettuali o terminologiche.

Queste constatazioni suggeriscono già la risposta all´interrogativo che si pone. Non è per mancanza di visione o per calcoli politicistici - che pure ci sono - che l´Europa a 15, a 25 o più non è un´entità realmente sovrannazionale. E ci si deve chiedere se una simile entità potrà effettivamente sorgere sulla base di rapporti di produzione e di proprietà che nel nostro continente sono stati alla base della formazione degli Stati nazionali (non affrontiamo qui il discorso per altri continenti). A nostro avviso, la risposta non può che essere negativa. Una struttura socio-economica basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione essenziali, su una concorrenza sempre più feroce, su riduzioni sempre più drastiche dei costi che si traduce in uno spietato aumento dello sfruttamento, che ha come ricaduta lacerazioni e contrapposizioni nella stessa classe, pur sempre fondamentale, dei lavoratori dipendenti.

Se tutto questo è vero - va da sé che deve essere un tema centrale della nostra conferenza programmatica - sono mistificatorî o automistificatorî i discorsi "europeisti" di tutte le componenti della costellazione dell´Ulivo che non mettono in alcun modo in discussione il quadro fondamentale dell´economia e dei rapporti sociali esistenti. E si riduce un semplice auspicio la conclusione di un recente articolo del Financial Times che, dopo aver sottolineato che "la creazione di una nuova Europa si rivela sempre più tormentata di quanto non apparisse dopo la caduta del muro di Berlino, afferma che il processo di integrazione non potrà essere bloccato.

PS: Stefano Folli, non soddisfatto di aver consigliato a Berlusconi una visita in Iraq per riprendere quota, ha salutato con entusiasmo degno di miglior causa il viaggio di Blair a Bassora. Come si fa a presentare come un grande avvenimento una peregrinazione propagandistica in cui, tra l´altro, il viaggiatore ha ripreso la menzogna sulle famose armi di distruzione di massa possedute da Saddam? Come si fa a presentare Blair, sempre contestato anche in patria, come "un leader europeo nel senso pieno del termine"? Che sta succedendo a quello che è considerato uno dei più lucidi commentatori del Corriere?

Livio Maitan
Roma, 9 gennaio 2004
da "Liberazione"