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Il dollaro debole non salverà gli Usa

La favola dei neoliberisti scompare d'incanto nel liberismo reale

Una delle leggende metropolitane dell'ideologia neoliberista molto in voga attualmente sostiene che la svalutazione del dollaro rispetto all'euro ridurrà in misura sostanziale l'enorme disavanzo della bilancia commerciale degli Stati Uniti.

Se si mette a confronto l'evoluzione del disavanzo con il corso di cambio del dollaro con l'Ecu, prima del 1999, e con l'euro, dopo, si dimostra che la tesi neoliberista è un pio desiderio: infatti, il saldo passivo della bilancia commerciale degli Stati Uniti è salito quasi ininterrottamente dal 1985 al 2003, a prescindere dalle variazioni del rapporto di cambio fra il dollaro e l'euro. In sintesi, nell'intero periodo il disavanzo aumenta del 320 per cento, mentre il dollaro si deprezza del 32 per cento rispetto all'Ecu/euro.

Si utilizza il 1985 come anno di base, perché da allora gli scambi di merci con l'estero non ha più mostrato un saldo attivo e per la prima volta dal 1914 la posizione finanziaria degli Stati Uniti verso il resto del mondo è diventata, al netto fra crediti e debiti, negativa.

In precedenza, nel 1964 all'avvio della politica della "Grande società" avviata da Lyndon Johnson per la creazione di uno stato sociale secondo il modello europeo, la bilancia commerciale aveva registrato un'eccedenza di 7 miliardi di dollari; successivamente la guerra di aggressione al Vietnam e le politiche neoliberiste di Reagan hanno condotto a un inarrestabile peggioramento.

Considerando l'andamento delle due variabili per il periodo considerato si può notare che: fra il 1985 e il 1990 il dollaro si svaluta del 40 per cento e il disavanzo prima sale e poi scende; dal 1991 al 1996 il corso di cambio oscilla e il deficit sale del 76 per cento; dal 1997 al 2001 il dollaro si rivaluta e il disavanzo aumenta del 123 per cento; nel 2002-2003 il tasso di cambio si svaluta del 20 per cento e il saldo passivo aumenta nella stessa misura. La favola dei neoliberisti scompare d'incanto nel liberismo reale.

disavanzo USA nel 2001

Ma andiamo oltre e vediamo la composizione del disavanzo commerciale degli Stati Uniti: la tabella mostra per il 2001 i dati più recenti pubblicati dall'Ocse per i singoli paesi capitalistici sviluppati in un'ampia disaggregazione del commercio estero. Appare chiaramente che il deficit complessivo dipende, essendo positivi gli scambi di prodotti alimentari e di materie prime, oltre che dalle fonti di energia (leggi petrolio), dai manufatti per ben tre quarti del totale, ossia 309 miliardi di dollari, di cui 184 con gli altri paesi Ocse (83 col Giappone e 30 con la Germania, i maggiori concorrenti fra i paesi capitalistici sviluppati) e 125 con i paesi in via di sviluppo e i cosiddetti paesi in transizione, di cui 84 con la sola Cina.

Il disavanzo interessa tutti e tre i grandi comparti dell'industria manifatturiera: i beni intermedi con 54 miliardi, i beni di investimento con 124 e i beni di consumo industriali con 131 miliardi; se si va a guardare più in dettaglio all'interno di questi comparti balza agli occhi il dato dell'informatica: anche in questo settore si registra un saldo passivo di 26 miliardi.

Se gli Stati Uniti mostrano un deficit perfino in questo settore, significa che la svalutazione del dollaro difficilmente salverà la bilancia commerciale; del resto, qualche anno fa, una dirigente del Sistema della riserva federale osservava che il problema non era il tasso di cambio del dollaro, ma la disponibilità dell'estero ad acquistare i prodotti dell'industria manifatturiera statunitense a prescindere dal prezzo.

Elvio Dal Bosco
Roma, 6 maggio 2004
da "Liberazione"