John F. Kerry e gli attacchi sulla guerra del Vietnam

Il candidato eroe, il soldato pentito, lo sfidante guerriero

Vietnam: George W. Bush notoriamente imboscato ma john F. Kerry non fu certo un eroe

Dopo quattro giorni di sceneggiata repubblicana al Madison Square Garden non è il prevedibile incremento di popolarità di George W. Bush a gettare nello sconforto i Democratici, ma un'eccezionale impennata. La convention repubblicana è riuscita in un'impresa considerata impossibile: cancellare la memoria di quattro anni disastrosi e di una guerra dissennata. Dal dibattito elettorale sono scomparse le menzogne sulle armi di distruzione di massa, sui collegamenti tra Saddam e Bin Laden, sulla legittimità del governo di Allawi, sui progressi della pacificazione e della democrazia in un paese devastato da distruzioni e da stragi. Per i neoconservatori mimetizzati da moderati i fatti quindi non contano un fico secco, conta invece una realtà virtuale che ha fatto breccia nel pur limitato scetticismo dell'opinione pubblica nazionale. Gran parte delle responsabilità di questo rovescio democratico ricade sul candidato alla presidenza che proprio sulla questione cruciale del conflitto in corso ha assunto posizioni in assonanza da quelle del presente inquilino di Pennsylvania Avenue, giungendo fino al punto di dichiarare che se avesse conosciuto due anni fa quello che sa oggi su tutte queste menzogne avrebbe votato lo stesso a favore della guerra. Persino sul terreno prescelto dall'aristocratico senatore bostoniano, quello del suo passato eroico nella guerra del Vietnam, da contrapporre implicitamente o esplicitamente a quello di un George Bush imboscato in quegli anni nella guardia nazionale del Texas, John F. Kerry con le sue esitazioni, le sue remore e le sue reazioni tardive si è lasciato battere. La canagliesca campagna scatenata dai Swift Boat Veterans for Truth, lo sparuto gruppo di reduci ed ex commilitoni di Kerry assoldati dai repubblicani, ha contato fino ad un certo punto in questa debacle. Il passo incerto con cui il candidato democratico si è mosso su questo terreno è motivato non dalle calunnie, ma dalla documentazione da lui stesso prodotta nel corso degli ultimi trent'anni.

Una documentazione contraddittoria da cui emerge che, seppure partecipe coraggioso in quella guerra infame, eroe certo non fu come del resto confermò il suo successivo pentimento davanti al senato nel 1971, a sua volta ridimensionato e corretto lo scorso aprile in piena campagna elettorale.

I testi a cui si fa riferimento sono la biografia di Douglas Brinkley autorizzata dallo stesso Kerry, A Tour of Duty: John Kerry and the Vietnam War, una sua lunga intervista concessa al New Yorker nel 1996 ed ora un saggio critico dei radicali di sinistra Alexander Cockburn e Jeffrey St Clair dal titolo Not a Dime Worth of Difference (Non un solo centesimo di differenza). Il nostro eroe si arruola nella marina nel 1967 e parte per il Vietnam dove apprende della morte di un suo caro amico e si fa trasferire al comando di una motolancia addetta alla perlustrazione e all'interdizione del nemico Vietcong sul Delta del Mekong. Compito di Kerry è di trasportare drappelli di soldati sudvietnamiti sotto comando americano, di sbarcarli sulle sponde del grande fiume e di riprenderli a bordo dopo i loro eccidi di civili sospettati di appoggiare i vietcong. Nella biografia di Brinkley, John Kerry asserisce che queste sue missioni furono spesso accompagnate da "atrocità del tutto accidentali", quando ad esempio gli elicotteri di scorta "Cobra" facevano strada alla sua motolancia spezzonando e distruggendo qualsiasi altra imbarcazione locale come i sampan di pescatori e contadini delle coste. Nel diario di guerra citato da Brinkley il Kerry non lamenta queste morti ingiustificate ma il fatto che gli elicotteri, consumate le munizioni, fossero costretti a ritornare alla base per rifornirsene lasciando così la piccola unità navale sotto suo comando priva di qualsiasi copertura aerea. Il giovane tenente non manca di manifestare una sua "pietas": racconta di essere salito a bordo di un sampan da lui stesso bersagliato con raffiche di mitragliera pesante, di essersi imbattuto in una giovane madre vietnamita che stringeva al petto un neonato e guardava inebetita l'altro figlio di pochi anni ucciso dai colpi e riverso sul ponte dell'imbarcazione. Kerry confessa al suo biografo di non aver avuto il coraggio di guardare al bimbo morto. Sentimenti a dire il vero non troppo encomiabili per chi si sia appena macchiato di infanticidio. Oltre a tre purple hearts, una onorificenza concessa a chiunque abbia riportato ferite anche leggere in combattimento, John Kerry si merita una medaglia di argento per avere guidato un'azione sul Delta del Mekong. Contravvenendo alle regole d'ingaggio, Kerry pilota la sua unità verso la riva scatenando tutto il potenziale di fuoco a disposizione contro i nemici sulla riva. Sbarca per verificare il numero delle perdite avversarie. La citazione della medaglia d'argento recita: «Incurante della sua sicurezza e delle granate a propulsione nemiche, ordina un'altra carica, arena la sua motolancia a soli tre metri dalla postazione dei lanciarazzi vietcong e guida personalmente i suoi soldati nella ricerca del nemico....». Nell'intervista concessa al New Yorker nel 1996 John Kerry presenta una diversa versione dell'accaduto: racconta che una volta sbarcato si era trovato di fronte un vietcong armato di lanciarazzi. «Non so spiegarmi perchè non lo azionò: se avesse premuto il grilletto non sarei certo qui a racontare questa storia. Non ne voglio proprio parlare». Cosa avvenne realmente lo ha raccontato al quotidiano Boston GlobeTommy Belodeau, addetto alla mitragliera pesante della motolancia: era stato lui a falciare con una raffica alle gambe il vietnamita a poco più di tre metri di distanza; il ferito riesce a trascinarsi dentro una vicina capanna, ma viene raggiunto da John Kerry che lo finisce con i colpi del suo mitragliatore M16. Il giovane tenente si quadagna anche una medaglia di bronzo per aver salvato un compagno caduto in acqua e per altre analoghe azioni a fuoco da lui così laconicamente descritte: «sparavamo e facevamo saltare in aria tutto».

Più sincera ed emotiva la testimonianza resa dal reduce-pentito Kerry nel 1971 davanti ad una commissione d'inchiesta del Senato degli Usa: «I reduci di questa guerra hanno ammesso di avere violentato delle donne, aver tagliato delle orecchie, di aver decapitato delle persone, di avere attaccato fili di telefoni portatili a testicoli umani azionando al massimo la carica elettrica. Secondo le Convenzioni di Ginevra queste azioni si chiamano crimini di guerra».

Sotto l'attacco della propaganda repubblicana il candidato Kerry corre ai ripari lo scorso aprile: «Quelle mie parole di allora erano indubbiamente improntate ad onestà, ma al tempo stesso devo ammettere che erano esagerate». Tre mesi dopo nel discorso di accettazione della nomina a candidato presidenziale che ha conluso la convenzione di Boston, John F. Kerry rivendica il suo passato guerriero: «Da giovane ho difeso questo paese e continuerò a difenderlo come presidente degli Stati Uniti».

Dopo l'impennata di popolarità di Bush al Madison Square Garden ci saranno indubbiamente altre svolte nella campagna del senatore e cadranno altre teste dei suoi strateghi politici. Basteranno a salvare da una sconfitta più che probabbile il controverso eroe delle stragi vietnamite? O il pensiero deve andare alla prima epistola di Paolo l'Apostolo ai Corinzi (1:27): «Se incerto è lo squillo della tromba chi si appresterà a dare battaglia?».

Gianni Robiony
Roma, 3 settembre 2004
da "Liberazione"