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In soli diciannove giorni di dicembre, diciassette palestinesi sono stati
uccisi dalle forze armate israeliane. Negli ultimi mesi del 2005 il governo israeliano - lo stesso
che ha deciso il “ritiro” da Gaza - ha autorizzato la costruzione di 1100 appartamenti
negli insediamenti coloniali israeliani in Cisgiordania: a Maale Adumim, a Beitar Illit, a Efrat,
a Noqdim, ad Ariel.
Il Rapporto “insabbiato” dei diplomatici europei su Gerusalemme, afferma testualmente
che “le politiche israeliane “dimostrano chiaramente l’intenzione di Israele di
trasformare l’annessione di Gerusalemme in un fatto concreto”. Sempre secondo il Rapporto
dell’Unione Europea, l’espansione dell’insediamento coloniale di Maale Adumim nella
cosiddetta area “E1” a est di Gerusalemme “minaccia di completare l’accerchiamento
della città con insediamenti israeliani dividendo la Cisgiordania in due aree geografiche
separate”. Il Muro dell’apartheid continua ad essere costruito all’interno dei
territori palestinesi occupati nonostante le proteste dei palestinesi e degli attivisti antiapartheid
israeliani, le condanne della Corte Internazionale dell’Aja e delle Nazioni Unite.
Gli ipocriti e i guerrafondai continuano a definire tutto questo “uno spiraglio nei negoziati” e
ad esaltare l’ex premier israeliano Sharon come “uomo di pace”. I fatti ci dicono
esattamente il contrario.
I fatti ci dicono che Israele sta procedendo all’annessione di Gerusalemme e di parte della
Cisgiordania palestinese.
Sempre i fatti ci dicono che la striscia di Gaza è ancora occupata e blindata in tutti i suoi
confini (inclusi quelli con l’Egitto, controllati dalla gendarmeria internazionale), che il
suo mare è impraticabile per i pescatori palestinesi (solo a dicembre ne sono stati uccisi
tre), che Gaza è bombardata quotidianamente dall’aviazione e dall’artiglieria
israeliane.
La realtà della Palestina nel suo complesso ci dice che il progetto di Sharon e delle autorità israeliane è quello
di dividere e rinchiudere i palestinesi in ghetti-bantustan separati tra loro e liquidare così definitivamente
ogni ipotesi di uno Stato Palestinese.
La realtà della Palestina nel suo complesso ci dice che il progetto di Sharon e delle autorità israeliane è quello
di dividere e rinchiudere i palestinesi in ghetti-bantustan separati tra loro e liquidare così definitivamente
ogni ipotesi di uno Stato Palestinese indipendente, sovrano e sicuro nei territori occupati del 1967
e con Gerusalemme Est come capitale.
Al contrario, occorre sostenere con forza che lo Stato palestinese indipendente deve nascere adesso,
su confini certi, riconosciuti e rispettati sia da Israele che a livello internazionale. Uno Stato
Palestinese adesso creerebbe le condizioni minime per poter affrontare i problemi irrisolti che ostacolano
una pace fondata sulla giustizia in Medio Oriente. Questi problemi sono noti all’agenda politica
internazionale da decenni e contenuti nelle risoluzioni dell’ONU sulla Palestina: il ritiro
degli insediamenti coloniali israeliani dai territori palestinesi occupati nel 1967, lo status internazionale
di Gerusalemme, il riconoscimento del diritto al ritorno per i profughi palestinesi, la liberazione
dei prigionieri politici palestinesi, la sicurezza reciproca tra palestinesi e israeliani.
Infine, ma non per importanza, occorre riaffermare con forza che il posto della sinistra italiana è apertamente
al fianco dei palestinesi e a sostegno delle forze antifasciste e antimilitariste israeliane. La
sinistra italiana non può schierarsi con Sharon e il suo progetto colonialista di annessione
e disgregazione della Palestina.
Solo una concezione colonialista della democrazia può abdicare al fatto che Israele è a
tutt’oggi uno Stato “democratico” solo verso una parte dei propri cittadini, ma
ha un rapporto di esclusione, discriminazione, repressione sociale e razziale nei confronti di tutti
gli altri, inclusi gli arabi con cittadinanza israeliana.
Le chiavi di una pace giusta in Medio Oriente sono ancora una volta in Palestina. Il tentativo statunitense
ed israeliano di trasformare il Medio Oriente (dalla Palestina all’Iraq, dal Libano alla Siria)
in un immenso “territorio occupato” dalle vecchie e nuove potenze coloniali, deve e può essere
fermato.
La resistenza palestinese, irachena, libanese lo stanno già facendo. Cosa intendono fare concretamente
la sinistra italiana, le forze democratiche e progressiste europee? Riteniamo che le prime cose da
fare siano la revoca dell’accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele e il ritiro
immediato del contingente italiano dall’Iraq.
Per questo è tempo di scendere nuovamente in piazza al fianco del popolo palestinese, per
una pace in Medio Oriente fondata sulla giustizia e per ricollocare la sinistra italiana al posto
giusto nello schieramento internazionale.
Per questo è giusto essere al fianco degli studenti e degli attivisti di Torino, Firenze e
Pisa criminalizzati per aver contestato legittimamente e pacificamente rappresentanti dello Stato
di Israele, così come è giusto opporsi alla pratica delle “liste nere” dell’Unione
Europea, che considerano “terroriste” le organizzazioni della resistenza palestinese.