Libano, partiti i militari italiani

Libano, l’Italia oggi entra in un gioco ancora a rischio

Israele alza il tiro, s’intrica il nodo Iran

I militari italiani inviati a rinforzo della missione Unifil nel Sud Libano, “lagunari” della Serenissima e “marò” della San Marco, sbarcheranno oggi a Tiro. Sono unità anfibie, particolare che è un po’ una metafora: il “pegno” militare dell’esposizione del governo Prodi sulla crisi libanese, infatti, può dover affrontare diversi cambiamenti di “terreno”, scenario e contesto.

Proprio da oggi, per esempio, decorre il divieto di pesca imposto da Israele fra la stessa Tiro e Ras Naqura, sede del comando operativo dei “caschi blu”. Mentre sono quotidiani i sorvoli sul Libano dei cacciabombardieri d’Israele, che le autorità di Beirut continuano invano a denunciare insieme al perdurante blocco aero-navale posto dallo Stato ebraico: la cui rimozione è stata chiesta personalmente dal segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, al primo ministro Ehud Olmert, ma senza esito.

La risposta israeliana, in verità, illumina il vero problema. Il governo Olmert, infatti, replica alle richieste libanesi, dell’Onu e dei paesi “contributori” del contingente multinazionale, Francia e Italia in testa, interpretando la 1701 dal suo punto di vista. Già per quanto riguarda il completamento del ritiro delle truppe di Tsahal: Israele sostiene che precondizione è il dispiegamento dell’Unifil rafforzata. Romano Prodi ha riletto ieri questa decisione con l’approccio di chi presenta la realtà del bicchiere mezzo pieno. Sta di fatto che prima che si arrivi a 5mila “caschi blu” operativi passeranno altre settimane.

Così è difficile concepire che il blocco del Libano venga tolto prima. E dunque perdurerà ancora una condizione di tensione massima per Beirut: che protesta, ma in risposta riceve da Olmert acuminati inviti a colloqui «di pace» diretti. Li rifiuta, com’è ovvio, invocando come ha fatto il premier Fu’ad Siniora il documento del 2002 della Lega Araba, che ad Israele per la “normalizzazione” dei rapporti nella regione poneva le condizioni del ritiro da tutti i territori occupati, il riconoscimento dello Stato di Palestina con capitale Gerusalemme Est e una soluzione per i profughi palestinesi. Fantascienza, per la linea di unilateralismo perseguita fin da Sharon: infrantasi certo nello scacco della guerra libanese ma tuttora senza alternative consistenti nella compagine politica israeliana.

In Libano questa tensione irrisolta, che sfuma l’applicazione effettiva della 1701, non è senza effetti. Siniora a Stoccolma ha rastrellato contributi europei alla ricostruzione per il doppio dello sperato. Ma un fronte che va ben al di là di Hezbollah preme da giorni per una soluzione di continuità nel governo nazionale, proprio in relazione alla gestione post-bellica. E il presidente del Parlamento, Berri, assicurando ieri anche a nome di Hezbollah la convergenza sulla 1701, ha lanciato una sfida a Siniora chiedendo la riapertura dell’aeroporto di Beirut in violazione del blocco israeliano, contro il quale chiama i deputati ad un «sit in» permanente.

Olmert, insomma, ha in mano carte in grado di “guardare” fino in fondo le tendenze che possono prevalere in Libano. Gioco pericoloso, che tuttavia è quello giocato. Senza smentite da Washington. Era stato George W. Bush ad annunciare l’iniziativa d’una nuova risoluzione per «disarmare Hezbollah», proposta poi rilanciata da Israele. E’ stato Bush, ieri, a tornare sul punto del «sostegno» di Siria e Iran al “Partito di Dio”, nel quadro di un’apologia della «guerra al terrorismo» come «sfida ideologica del XXI secolo» tesa a difendere l’occupazione dell’Iraq in vista delle elezioni statunitensi di mezzo termine per il Congresso. Ma il discorso qualifica come «minaccia incombente» quella del «regime totalitario» di Teheran, proprio a partire dagli «eventi del Libano»; nel giorno stesso dello scadere dell’ultimatum del Consiglio di Sicurezza all’Iran perché si adegui a fermare l’arricchimento dell’uranio, come ha già rifiutato.

E’ per tutto ciò che Annan ha tenuto, in queste ore, a lanciare due segnali. Il primo è quello della denuncia dell’uso di “cluster bombs” da parte di Tsahal in Libano, con la richiesta delle mappe dettagliate degli obiettivi colpiti con queste armi. L’altro segnale è nel programma stesso del viaggio del segretario generale dell’Onu: che si conclude domani a Teheran, passando da ieri sera per Damasco.

Lo stesso Prodi ha riferito dell’impegno del presidente siriano Bashar Assad a «collaborare» all’attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza in Libano. D’Alema gli ha fatto eco, dopo aver lanciato mercoledì un pesante avvertimento alla Siria sull’eventualità che continuino i rifornimenti bellici ad Hezbollah. Esattamente il tasto su cui batte la diplomazia aggressiva d’Israele. Il problema è tutto qui.

Per quanto D’Alema abbia liquidato con una battuta la questione della sorveglianza dei confini libanesi con l’ingombrante vicino, la stessa zona di dispiegamento dell’Unifil comprende un settore, quello orientale, che tale frontiera tocca. Non è, quindi, che l’Unifil non possa essere coinvolta dal problema: è che non deve. Il contingente italiano, poi, non sarebbe davvero in grado di affrontare una resistenza attiva, per non parlare di interventi israeliani. I francesi si sono premuniti dotando le unità inviate di armamenti pesanti. Dei quali l’Italia non disponde di eguali, per qualità: non è un caso che generali affollino le rubriche degli “esperti” invocando che si approfitti dell’occasione libanese per nuove spese militari. Sarebbe curioso che li si soddisfacesse proprio mentre è aperto il dibattito nell’Unione sul “rigore” della Finanziaria 2007. La sola forza credibile dell’Italia sta, casomai, nella posizione politica: occorre disinnescare un’idea politicamente “interventista” dell’uso dell’Unifil e invece giocare il negoziato a tutto campo. Con la Siria, come con l’Iran.

D’Alema ha detto ieri sulla vicenda del nucleare iraniano: «Se c’è uno spiraglio per aprire un tavolo negoziale questo va utilizzato e l’Italia può avere un ruolo positivo». Aggiungendo: «Lo scontro è sempre pericoloso». Anche perché il riverbero immediato sarebbe in Libano.

Anubi D’Avossa Lussurgiu
Roma, 2 settembre 2006
da "Liberazione"