Israele/Palestina

La prossima battaglia di Kosovo Polje.

C’è un elemento nuovo che dovrebbe farci riflettere sulla pericolosità del calderone Medio orientale. L’elemento nuovo si chiama “cristiani ortodossi”.

Facciamo un piccolo elenco di informazioni poco note, ma utili, per capire certe contraddizioni.

Prima contraddizione.

Israele ha stilato una dichiarazione di indipendenza il 14 maggio 1948, ma non ha mai posseduto una carta costituzionale e nemmeno confini ufficialmente riconosciuti né riconoscibili, dal momento che nemmeno i singoli ministri sono d’accordo su quali confini considerare tali, men che meno quando si parla delle alture del Golan contese dalla Siria oppure della Cisgiordania, che la risoluzione 181 dell’Onu del 29 novembre 1947 aveva assegnato al mai nato stato palestinese. Lo stato palestinese infatti, che doveva nascere insieme con lo stato di Israele in base a questa risoluzione delle Nazioni Unite, non è mai stato fondato. L’Autorità Palestinese non è uno stato. I Palestinesi chiedono uno stato vero e proprio, il riconoscimento delle frontiere del 1967, il diritto al ritorno dei profughi o un adeguato indennizzo per chi non torna, il controllo dell’acqua, e un territorio integro e non spezzettato a macchie di leopardo. E su questo non mollano.

Seconda contraddizione.

Israele ha 6.6 milioni di abitanti, di cui 3 milioni di arabi e un milione di russi: il 15% della popolazione non è di religione ebraica ma l’unica forma di matrimonio ammessa è tuttora quella celebrata dal rabbino. Gli ebrei che vivono in Cisgiordania, cioè nel territorio che l’Onu aveva destinato alla creazione dello stato palestinese, sono 460.000 più 6.000 provenienti dalla striscia di Gaza (dati forniti da Mustafa Barghouti nell’intervista al Manifesto del 5.6.07). Essi vivono dentro vere e proprie muraglie di cemento costituite di ammassi di case multipiano in continua espansione, veri e propri fortilizi abitativi che costituiscono investimenti immobiliari giganteschi collegati fra loro da superstrade vietate agli arabi, dotati di infrastrutture elettriche e idriche (tramite il controllo dell’80% del totale delle fonti idriche della ex Palestina), godono di esenzioni fiscali e di facilitazioni economiche di vario genere concesse dallo stato, sono protetti da 543 posti di blocco militari. L’anello delle nuove città è particolarmente stretto intorno alle mura della città vecchia di Gerusalemme. Le cifre sono approssimative perché la situazione è in continua evoluzione, ma la tendenza in atto è chiara: i cristiani che tradizionalmente formavano una importante minoranza religiosa sono in costante diminuzione, gli arabi vivono in condizioni che Desmond Tutu ha descritto peggiori di quelle dei neri durante l’apartheid in Sud Africa, i russi comandano anche in parlamento e controllano i mercati più redditizi.

Terza contraddizione.

Le spese per gli armamenti gonfiano un debito pubblico sempre più pesante coperto dagli Stati Uniti, a loro volta sempre più indebitati. L’esercito israeliano è presente e si muove liberamente in tutto il territorio del protettorato inglese della ex Palestina. In un territorio totalmente occupato, dove gli insediamenti arabi non sono in comunicazione fra loro, sembrerebbe pleonastico costruire il famoso muro. Questo muro, che taglia il paese in due parti ed è già costruito per un terzo, raggiungerà la lunghezza totale di 750 chilometri in un territorio grande come la Toscana. Esso è fatto di lastroni di cemento prefabbricati alti tre piani, con passaggi apribili e bloccabili a volontà, protetti da camminamenti, telecamere, labirinti, reticolati e torri di guardia. La sua presenza non peggiora di molto la situazione, perché le nuove città ebraiche sono al di qua e al di là di questo muro, ma il suo impatto psicologico è enorme. A parte il muro e i posti di blocco, gli arabi che vivono sul territorio del protettorato della ex Palestina inglese non possono circolare al suo interno perché non hanno documenti ma solo lasciapassare provvisori e non sempre riconosciuti. Se hanno passaporto israeliano rischiano di perderlo, secondo quanto minaccia il ministro Liebermann che puntella il fragile governo Olmert fornendogli l’appoggio del partito russo, e che propone di trasferirli tutti in zone “etnicamente pulite” (chi ha esperienza della Bosnia sa di che cosa stiamo parlando). Se invece abitano nei territori della mai nata Palestina, hanno diritto solo a una carta di identità e nemmeno possono sposarsi con arabi in possesso di passaporto israeliano.

La sperequazione tra l’armamento del super esercito israeliano super tecnologicamente attrezzato e quello delle cosiddette milizie armate arabe è enorme (400 missili lanciati da Gaza su Sderot hanno fatto una vittima). A Gaza vivono un milione e mezzo di arabi dentro un quadrato di 10 chilometri per 40, fatto di tre lati controllati dall’esercito israeliano e una spiaggia sotto tiro della marina israeliana. In questo lager a cielo aperto, bombardato quasi quotidianamente, l’Europa Unita ha interrotto l’assistenza umanitaria, per “punire” la vittoria elettorale di Hamas, in quanto partito considerato fondamentalista. Le elezioni per uno stato che dopo sessant’anni tuttora non esiste sono una tragica burla. Rimane il fatto che a Gaza, come in Libano, come in Egitto e nei campi profughi della Siria, la popolazione deve ormai la sua sopravvivenza unicamente agli aiuti che riceve dai partiti religiosi islamici. I sionisti ebrei hanno gettato una popolazione laica e acculturata, come sono da sempre i palestinesi, tra le braccia dei propri omologhi fondamentalisti musulmani, a botte di citazioni da libri sacri che curiosamente hanno in comune la Bibbia. In questa cornice di opposti fondamentalismi uguali e contrari si inquadrano non solo le assurdità dei missili Kassam che scatenano incursioni aeree dell’aviazione militare israeliana, ma demolizioni, sequestri, umiliazioni continue della popolazione civile, sevizie in carcere su 10.000 arabi rinchiusi nelle prigioni israeliane continuamente denunciate da Amnesty International, da Bt Selem, da giornalisti di fama internazionale.

Non a caso il dr. Shlomo Schmelzman, citato da Noam Chomski nel suo libro “The fateful triangle”, commenta: “Ho sofferto la paura, la fame, l’umiliazione nel ghetto di Varsavia, nei campi di lavoro, a Buchenwald. Oggi, come cittadino di Israele, non posso accettare la distruzione sistematica di città, paesi e campi di rifugiati. Non posso accettare la crudeltà tecnicistica dei bombardamenti … Sento frasi che mi suonano familiari oggi … Sento dire “sporchi arabi” e mi viene in mente “sporchi ebrei”. Sento parlare di “aree chiuse” e mi vengono in mente ghetti e campi di concentramento. Sento parlare di “animali a due gambe” e mi ricordo degli “Untermenschen” (i subumani) … Troppe cose in Israele mi ricordano troppe cose …” Al cinismo del governo israeliano si contrappone il cinismo dei partiti religiosi islamici. I fondamentalisti hanno un’arma a costo zero da usare contro l’esercito più agguerrito del mondo: i kamikaze. E lo fanno terrorizzando letteralmente la popolazione israeliana e suscitandone così una reazione sempre più feroce contro la popolazione araba. Questo comportamento rende sempre più facile per i partiti islamici reclutare giovani pronti a immolarsi perchè non vedono futuro se non nella distruzione dell’altro a difesa della sopravvivenza del proprio popolo. Così si chiude il cerchio tra opposti fondamentalismi reciprocamente funzionali.

Schmelzman non è l’unico in Israele a denunciare l’infierire degli israeliani contro la popolazione araba. Sul mito abilmente costruito del “Sabra”, cioè del frutto del cactus, dolce dentro e spinoso fuori, riferito agli israeliani, abbiamo sentito fiumi di parole. Delle stragi del 1948, come l’eccidio di Deyr Yassin, abbiamo saputo solo recentemente dallo storico Beny Morris, peraltro convinto che al momento della dichiarazione di indipendenza di Israele di arabi ne furono uccisi troppo pochi. Sui silenzi dell’Europa relativi alle responsabilità di Israele, sui complessi di colpa legati alla Shoa, sull’identificazione con Israele dei ricchi ebrei americani e dei seguaci della religione di Bush Junior sappiamo tutto. Sull’argomento tabù del possesso della bomba atomica denunciato nel lontano 1988 da Mordekai Vanunu, il silenzio è assordante, ma - tant’è - sembra che le bombe atomiche in mano a un governo schizofrenico come quello israeliano non siano pericolose … La ricorrenza della Guerra dei sei giorni ci ricorda un altro dei miti sui quali Israele ha creato la sua immagine di “pugno di ebrei indifesi attaccati da orde di arabi”. Citiamo un esperto in materia, John Pilger (Freedom next time - Bantam Press 2006): “Nel 1967 i palestinesi una volta ancora fuggirono dalle loro case durante la Guerra dei Sei Giorni, quando Israele occupò il rimanente 22% della Palestina descrivendolo come un atto di autodifesa. I dati storici contraddicono la propaganda sionista che lamentava la sorte dei seicentomila ebrei attaccati contemporaneamente da cinque stati arabi.

Israele, all’alba del 5 giugno 1967, ha distrutto in tre ore tutta l’aviazione egiziana, cioè 280 aerei che stavano a terra, con un’azione di guerra preventiva: la guerra preventiva non può mai essere giustificata da ragioni di autodifesa. La Lega Araba contava soltanto su 20.000 uomini, 22 carri armati leggeri e dieci vecchi aerei Spitfire. Gli israeliani avevano 52.000 soldati ben armati e addestrati, 30.000 uomini di riserva e le truppe speciali dell’Irgun, nato come gruppo terrorista. L’esercito egiziano era bloccato nello Yemen". Sul fronte siriano Avi Shlaim scrive nel suo libro “Il muro di ferro” che “la sfida di Israele era occupare Damasco e rovesciare il regime siriano”. Akiva Eldar, editorialista israeliano di Haaretz, commenta: "La Guerra dei sei giorni non è stata una conquista, ma l’inizio della fine per Israele. Per entrare in un paese bastano sei giorni, per uscirne non bastano anni. Lo dimostrano gli USA in Irak e in Afganistan". Ma c’è un elemento nuovo che dovrebbe farci riflettere sulla pericolosità del calderone Medio orientale. L’elemento nuovo si chiama cristiani ortodossi. Nell’Europa Unita, cattolica e protestante, c’era un solo paese cristiano ortodosso, la Grecia. Oggi sono entrate anche la Romania, la Bulgaria, l’Estonia e ci gravita l’Ucraina. Esse hanno tutte le intenzioni di mettere voce nella discussione sulle radici cristiane dell’Europa, forti dell’appoggio esterno della Russia, per escluderne la Turchia e controbilanciare i venti milioni di musulmani che già sono cittadini europei, a volte di seconda e terza generazione.

Lo stesso avviene in Israele, dove i russi (ebrei e non ebrei) hanno un peso sempre più determinante a scapito degli arabi negli equilibri politici, e nei traffici più o meno legali. Sento odore di una nuova battaglia di Kosovo Polje, della cristianità schierata a baluardo del “mondo civile” contro l’Islam “congenitamente refrattario alla modernità”. Sento Eretz Israel elevato a simbolo di tutta questa assurda teoria di Huntington per riscattare l’Europa del peso della Shoa. Mi fermo qui, con una grande nostalgia per il tanto vituperato Impero Ottomano, in cui vigeva il sistema delle “millet”: le varie comunità consegnavano al governo centrale il proprio statuto, libere di organizzare la vita quotidiana secondo la propria cultura e nel rispetto delle proprie tradizioni e della propria religione, limitandosi a versare al governo centrale le tasse riguardanti le spese della difesa nazionale, dell’amministrazione interna e della politica estera. In Libano, in Siria, in Palestina convivevano senza problemi dodici religioni e i Luoghi santi erano aperti a tutti i pellegrini. Oggi a Gerusalemme le varie chiese si contendono ogni piastrella del pavimento dei luoghi santi. Gli arabi musulmani, gli arabi cristiani e gli ebrei dei paesi arabi ci guardano esterrefatti e ripetono: “Vivevamo tutti insieme senza problemi …” . Finchè non è arrivato il sionismo del popolo eletto come punta di diamante degli interessi neocoloniali della Francia, della Gran Bretagna e delle pretese imperialistiche degli Stati Uniti.

Questa è storia conosciuta, ma non deve mettere in ombra il fatto che molti alti rappresentanti delle chiese ortodosse e in generale cristiane del Medio Oriente siano apertamente solidali con le sofferenze del popolo palestinese, e colgano ogni occasione per attaccare la politica del governo israeliano. Amin Maalouf, storico arabo di religione cristiana melchita e di origine libanese, racconta: “Se la mia famiglia avesse abitato in Europa invece che in una villaya sotto l’Impero Ottomano cinquecento anni fa, io non sarei mai nato perché li avrebbero già bruciati sul rogo tanto tempo prima …” (L’identità - Bompiani 2004). Il ricorrere sempre più frequente di episodi di razzismo in Russia contro ebrei e lavoratori delle repubbliche asiatiche completa il quadro dell’espandersi di comportamenti razzisti in Europa come in Medio Oriente. Non ripeteremo mai abbastanza che fondamentalismo, razzismo, dispregio dei diritti umani non hanno nulla a che fare con le varie religioni tradizionali (se mai molto a che fare con il proliferare delle sette). In Israele i russi ebrei ortodossi, ma ce n’è anche di non ebrei, hanno ottenuto campo libero dal governo per liberarsi di tutti gli arabi palestinesi. Possono contare sull’appoggio degli Stati Uniti di Bush e sul silenzio dell’Europa. Putin sta schierando le sue truppe cristiane ortodosse della grande Madre Russia contro l’Europa e contro i musulmani della ex Unione Sovietica (ma anche in Europa vivono altri venti milioni di musulmani che l’Europa non ha saputo integrare).

Come reagirà l’Europa? Appoggiando il fondamentalismo di Bush contro quello di Putin? I fondamentalisti musulmani si stanno liberando della parte più laica della popolazione, in Palestina ma anche in Egitto, in Iran, in Siria, in Libano, in Algeria, schierando i propri fedeli sotto le bandiere di Allah contro i fondamentalisti cristiani che si identificano con Bush. Bush a sua volta ha ancora due anni a disposizione per indire la crociata contro i russi ortodossi (ed ex comunisti, nella sua beata ignoranza) e contro l’Iran e tutto il mondo musulmano, dall’Irak all’Afganistan, per distrarre i propri cittadini dalla bancarotta federale, che incombe dallo scandalo Enron in poi fino al crollo imminente del mercato immobiliare. Israele sembra fatto su misura per guidare la nuova battaglia di Kosovo Polje, che i serbi rispolverano a distanza di 500 anni per autoproclamarsi oggi difensori della cristianità contro l’islam e, con questo fiore all’occhiello, entrare in Europa.

Alda Radaelli
Milan, 11 giugno 2007
da “Lavori In Corso, n. 69, a cura del Punto Rosso