Jugoslavija 1999: in 78 giorni di “guerra umanitaria” vengono compiute 34 mila missioni di cui 13 mila d'attacco; sganciate 20.000 tra bombe e missili; distrutti 450 bersagli fissi così chiamati, tra cui il 57% delle riserve di carburante, 35 ponti, tutti i 9 aeroporti; uccisi 2500 civili.

Quando il “mostro” era la Serbia

Il 24 marzo 1999 iniziava la guerra umanitaria Allied Force per il Kosovo. Primo ministro era allora Massimo D'Alema

Target

Target - Obbiettivo (Simbolo sulle magliette dei dimostranti contro i bombardamenti)

Dejà vu, già visto, patito, pianto. Era cominciato proprio oggi (ieri per chi legge), 24 marzo 1999, l'attacco alla Serbia, in era governo D'Alema; l'attacco proprio da lui fieramente voluto ed acclamato (e il tono era proprio quello stesso, identico, con il quale ieri, 24 marzo 2011, è intervenuto alla Camera per dare la sua entusiasta approvazione alla guerra in Libia).

Degià vu, e noi andavamo in corteo, con la t-shirt bianca e bersaglio disegnato sopra all'altezza del petto, a gridare «sparate qua, sparate anche a noi». Eravamo arrabbiati, arrabbiatissimi; un atto di guerra infame approvato proprio da un governo “amico” con tanto di primo ministro ex comunista, volenteroso collaboratore di un delitto internazionale detta allora non “Odissea all'alba” ma “Allied Force” (vale la pena di ricordare che l'alta compagine governativa era allora formata, tra gli altri, da Bersani, Ciampi, Dini, Rosy Bindi, Giovanna Melandri, Giuliano Amato, anche Oliviero Diliberto...). Fotocopia che mette i brividi. Stessi prodromi. Stesse parole. Stessi strumenti. Si è cominciato allo stesso modo, la costruzione del “mostro” (allora era Milosevic).

Una identica, massiccia, planetaria campagna mediatica si è incaricata di demonizzare la Serbia, che improvvisamente è sbattuta davanti all'opinione pubblica mondiale come il nuovo carnefice, lo Stato-canaglia colpevole di genocidio nei confronti delle inermi genti del Kosovo. Anche allora, esattamente come oggi, la manipolazione della stampa è completa, agghiacciante («Priština città fantasma, uccisi i leader kosovari»; «I serbi decapitano il Kosovo. Uccisi intellettuali e politici»; «La vendetta dei serbi, uccisi i capi albanesi»).

Li avete visti gli infiniti filmini, video, reportage, servizi di oggi sulla Libia? Ebbene, anche nel 1999, già mesi prima dall'inizio dell'attacco, Cnn e tante altre tv mandano in onda i filmati delle presunte stragi di civili attuate dai sanguinari serbi di Milosevic. Peccato che si trattava di parti sempre diverse degli stessi filmati, i quali diventano la prova provata delle “fosse comuni” e dei “cadaveri accatasti”. La causa dell'umanità e dell'altruismo è abbondantemente creata, Wall Street Journal e New York Times scrivono, marzo 1999, che «il regime di Milosevic sta tentando di sradicare un intero popolo» (per favore andate a leggere quello che pubblicano oggi, marzo 2011, sulla Libia...).

Fallito il falso “tavolo” di Rambouillet - più che altro una trappola rifiutata dal governo serbo - quel 24 marzo di 12 anni fa partono i bombardamenti Nato su tutto il paese; e così hanno continuato per 78 giorni. I jet decollano prevalentemente dalle basi militari italiane, come quella di Aviano. Almeno 600 raid al giorno. Si tratta, come vengono definite, di bombe intelligenti, anzi intelligentissime. Che infatti colpiscono non solo basi militari, ma anche obiettivi civili, anzi civilissimi; per esempio centrali elettriche, la televisione di Belgrado, colonne di profughi, aziende, scuole, anche industrie chimiche (garantiti un bel po' di veleni sparsi in giro).

Treno a Grdelica

Treno distrutto a Grdelica

Ricordiamo per esempio quel ponte di Grdelica intelligentemente bombardato dall'Us Airforce (12 aprile 1999) proprio mentre passa un treno, 14 persone uccise e decine di feriti (fu un mero incidente, danni collaterali, diciamo). Errori. Piccoli errori. Come le bombe sulla zona residenziale di Novi Pazar (31 maggio 1999, 23 morti); di Aleksinac (6 aprile 1999, 12 morti); di Priština (25 marzo 1999, 12 morti); di Surdulica (27 aprile 1999, 20 morti). Anche su una corriera di Lužane (1 maggio 1999, 40 morti); sull'ospedale di Nis (7 maggio 1999, 13 morti) di Surdulica (30 maggio 1999, 16 morti riconosciuti e 4 irriconoscibili) e di Belgrado (19 maggio 1999, 3 morti); sull'ambasciata di Pechino a Belgrado (7 maggio 1999); sul villaggio di Koriša (14 maggio 1999, 80 morti); sul ponte di Varvarjin (30 maggio 1999, 11 morti).

Tanto per citare. Ma secondo il computo ufficialissimo targato Nato, in 78 giorni di guerra umanitaria vengono compiute 34 mila missioni di cui 13 mila d'attacco; sganciate 20.000 tra bombe e missili; distrutti 450 bersagli fissi così chiamati, tra cui il 57% delle riserve di carburante, 35 ponti, tutti i 9 aeroporti (oltre ad almeno 2500 uccisioni di civili, ndr).

Bisognava difendere la popolazione kosovara, impedire la pulizia etnica. Ancora oggi non si sa il numero esatto dei morti causati dalla “protezione” umanitaria del tipo Nato, sicuramente sono svariate migliaia. Ma basta il rapporto di Amnesty International, che un anno dopo la fine dell'attacco, dice: «La Nato in più occasioni ha violato i principi umani da applicare in ogni conflitto armato».

L'Italia del popolo di sinistra non sta a guardare. «Siamo il popolo che ripudia la guerra», migliaia di fax e lettere inondano ad esempio Liberazione, pagine e pagine si riempiono di no. «Proclamiamo lo sciopero generale», è l'appello firmato dalle Rsu; mezzo milione di ascoltatori mandano in onda su “Zapping” (Raiuno) l'angoscia collettiva; «Gli operai bocciano la guerra. Sciopero all'Alfa di Arese e manifestazioni in tutta Italia», sono solo alcuni dei titoli del nostro giornale in data giovedì 1 aprile. «Caro Cofferati dove sei?», alla vigilia della manifestazione che si svolgerà a Roma il 10 aprile il mondo del lavoro rivolge la domanda al segretario Cgil; tra le altre associazioni alla giornata del no partecipa l'Anpi: in centomila invadono Roma, «Guerra infame. Il coraggio della pace». A Porta San Paolo parla Ingrao: «Oggi è solo l'inizio, l'avanguardia di una battaglia. Non ci rassegnamo, lo sappia il governo».

Autobus distrutto a Lužane

Autobus distrutto a Lužane

La guerra umanitaria avanza. Ora i suoi orizzonti spaziano oltre il Kosovo. E' un generale di nome Wesley Clark, comandante supremo Nato, che arriva a dichiarare: «Noi continueremo con le missioni esattamente come programmato, non temiamo una guerra mondiale»; e centinaia di missili Allied Force «bombardano tutto il Montenegro nella notte della Pasqua ortodossa»; mentre si calcola che il prezzo delle bombe intelligenti è di diecimila miliardi al mese, quasi quanto il Pil della stessa Jugoslavia».

Rifondazione lascia l'aula di Montecitorio, dove si discute dell'intervento dell'Italia, D'Alema gran sacerdote: «Signori del governo, noi non vogliamo legittimarvi, neppure col nostro voto contrario alle vostre pulsazioni di guerra». Giovedì 15 aprile. “L'Italia è in guerra”, titola Liberazione. «Alle 12,04, bombardieri dell'aeronautica militare partiti dall'aeroporto di Istrana (Treviso) hanno compiuto il primo bombardamento italiano sul territorio jugoslavo. Sciagurata iniziativa del governo D'Alema alle spalle del Parlamento».

Non se ne pentirà mai, D'Alema. Ecco quanto dichiarerà dopo l'accordo di pace siglato il 9 giugno 1999: «Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari, noi siamo stati il terzo Paese, dopo gli Usa e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica, ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea».

La storia si ripete, ma questa volta non in forma di farsa. Rimane tragedia.

Maria Rosa Calderoni
Roma, 25 marzo 2011
da “Liberazione