Campagna contro le "Banche armate",
contro i mercanti di morte.

Le pagine che seguono cercano di spiegare l'importanza di questa campagna. Si tratta di denunciare la complicità che alcuni istituti di credito offrono all'industria e all'export italiano ed europeo di armi, spesso rivolto a paesi poveri. Molti comuni che hanno eletto la propria tesoreria presso una banca coinvolta in questi traffici farebbero bene a chiedere loro spiegazioni per eventualmente interrompere il rapporto.

Questa campagna parte da una denuncia di alcuni giornali missionari cattolici; "Missione Oggi", "Nigrizia" e "Pax Christi", questi giornali propongono la campagna ai parroci ai vescovi ed ai cattolici ma è opportuno che si cerchi di allargare il consenso intorno a questa proposta anche a livello istituzionale.

Nei documenti che seguono sono esposte le ragioni principali di questa campagna, vi sono riportati i dati delle relazioni del governo per l'anno 1999 e 2000. Vi sono articoli che spiegano l'importanza delle banche nell'export di armi verso i paesi poveri e soprattutto nell'export sommerso, vi sono anche le giustificazioni delle banche. C'è anche la lettera di un gruppo di dipendenti dello stabilimento Iveco-Fiat di Brescia che si interroga sui fondi pensione che rischiano di essere gestiti da banche armate.

Un risultato è già stato ottenuto, il gruppo Banca Sella si è impegnato a non fare questo genere di commercio.
L'ordine del giorno allegato è stato presentato ed approvato in diversi comuni.

PRC Brianza
Monza, 13 gennaio 2001

Indice:

(la documentazione che segue è a cura di Francesco Terreri di Nigrizia e rielaborata da Raphaël Rossi)

IL COMMERCIO D'ARMI: IL RUOLO DELLE BANCHE

   L'ultimo caso è dello scorso novembre. Basata su fonti dell'intelligence sudafricana, l'inchiesta del quotidiano britannico Observer rivela che armi per milioni di sterline sono state fornite alle fazioni in lotta nel Congo Brazzaville nel 1997 - e in particolare a quella dell'ex presidente Pascal Lissouba - attraverso un mediatore d'affari tedesco, una società con sede a Jersey e un conto della Barclays Bank, una delle maggiori banche europee, nelle Isole del Canale (Guernsey e Jersey) "paradiso" fiscale e societario nel cuore dell'Europa. Le armi, denunciano organizzazioni non governative e per i diritti umani, sono state usate in attacchi indiscriminati contro i civili durante la guerra interna che provocò 15.000 morti in quattro mesi.
   Il broker, Rudolph Wollenhaupt, vive a Johannesburg in Sudafrica e opera attraverso una rete di imprese tra cui la Ebar Management & Trading, con sede a St. Helier (Jersey), un posto dove le società che derivano i loro utili da partecipazioni all'estero sono esenti da imposte, come "società non residenti" fiscalmente. Ma soprattutto sono esenti da domande indiscrete. Alla denuncia dell'Observer, Wollenhaupt ha replicato che si tratta di un complotto e che le sue attività sono nel campo dei trasporti terrestri e aerei e non delle armi. Come controprova l'uomo d'affari, nel confermare la vendita di "camion e aerei" non militari a Lissouba, afferma di aver commerciato anche con il capo dell'altra fazione della guerra a Brazzaville, il già dittatore e attuale presidente congolese Denis Sassou-Nguesso.     Intanto il Mail & Guardian di Johannesburg, giornale "fratello" dell'Observer, ha scoperto che almeno in un'azienda sudafricana, la Support Systems Corporation, Wollenhaupt figura in società con la Rdp, un ramo della Executive Outcomes, la maggiore e più famosa società africana di fornitura di mercenari e di programmi di "protezione" e sicurezza armata.
   Ma lo scandalo, soprattutto in Gran Bretagna, è quello della Barclays Bank, le cui filiali offshore risultano frequentate da trafficanti d'armi. Alla banca si difendono nel solito modo che abbiamo sentito anche in Italia di fronte a denunce analoghe: "non avevamo modo di capire che si trattasse di pagamenti sospetti", "cerchiamo di conoscere i nostri clienti prima di aprire un conto", "non possiamo commentare i dettagli della cosa per motivi di privacy". Tuttavia la Barclays afferma di "fare ogni sforzo per condurre gli affari ottemperando alle responsabilità legali e normative" e si è dichiarata "disposta a cooperare con le autorità" per le indagini sulla vicenda. Peraltro la banca è coinvolta fino al collo anche nelle operazioni legali di esportazione d'armi, non solo in Gran Bretagna ma anche in altri paesi. Ad esempio in Italia dove, proprio nel 1997, è risultata il terzo istituto di credito - dopo la Banca Commerciale e il San Paolo di Torino - per operatività in questo campo: 225 miliardi di lire di operazioni autorizzate. La maggior parte di esse è costituita da esportazioni italiane in Gran Bretagna, ma ci sono anche gli introiti per vendite all'Arabia Saudita e, di nuovo in Africa, al Ghana: la rata annua di 1 milione 100mila dollari per l'acquisto di elicotteri A-109 Agusta.

TRA LEGALE E SOMMERSO
   Il ruolo degli istituti bancari nel commercio internazionale delle armi non è puramente accessorio. Prima ancora che per motivi oscuri, la necessità per produttori, commercianti e compratori d'armi di appoggiarsi alle banche, meglio se grandi ed efficienti, deriva da "normali" esigenze commerciali: presenza internazionale, fluidità e sicurezza nei pagamenti, possibilità di avere anticipi e crediti.
   Ma ci sono alcune caratteristiche del sistema bancario attuale che risultano particolarmente interessanti per i produttori e i commercianti d'armi, sia per una fornitura legale che, a maggior ragione, per le operazioni illegali. Il caso Barclays le evidenzia immediatamente: da qualche decennio si è sviluppata una rete bancaria e finanziaria offshore, espressione che significa "al largo", al largo dalle coste cioè su qualche isola, ma soprattutto al largo dai controlli.    Tutte le maggiori banche hanno aperto filiali in quelli che vengono comunemente definiti "paradisi fiscali", ma che sono spesso veri e propri paradisi societari e, talvolta, paradisi criminali. Nelle Isole Cayman dei Caraibi, ad esempio, sono presenti 32mila società, 47 delle 50 maggiori banche mondiali e 500 banche minori, con depositi per circa 460 miliardi di dollari, 900 fondi di investimento e 400 compagnie di assicurazione. E il motivo di questo affollamento è solo in parte di natura fiscale. Alle Cayman, come nelle Isole del Canale della Manica, come in Liechtenstein o alle Seychelles si è fuori dei controlli delle autorità monetarie, ma anche di quelle politiche dei paesi d'origine. Il segreto bancario è più tutelato e gli obblighi di trasparenza sono quasi inesistenti. Per transazioni come quelle in armamenti la riservatezza è un grande pregio.
   Quando poi la fornitura è ai margini - e oltre - della legalità, sorgono cruciali problemi di fiducia tra le parti, soprattutto se tra esse vi sono soggetti che operano nei mercati illegali. Chi mi assicura che, se pago, riceverò la merce? Chi mi assicura che, se spedisco la merce, verrò pagato?
   Quando una transazione è "coperta", ovvero riservata o segreta, i consueti metodi legali per risolvere controversie di questo tipo non sono disponibili. Per svolgere funzioni di questo tipo c'è bisogno di apposite figure di mediatori - i destinatari di quei "compensi di mediazione" che figurano nei dati sull'operatività bancaria nell'export di armi alla voce "importi accessori" - e di un sistema bancario che non faccia troppe domande sul dove collocare, ad esempio, quei depositi di garanzia di buona esecuzione del contratto chiamati performance bond.

PECUNIA NON OLET?
   D'altra parte anche le banche hanno "buoni motivi" per accettare questi ruoli nel mercato delle armi. È un mercato dove sono spesso coinvolti gli Stati, clienti di cui in genere si esclude la possibilità di bancarotta. E dove gli operatori privati che svolgono funzioni chiave, come i mediatori-commercianti, hanno generalmente conti denominati in dollari o in franchi svizzeri che crescono in continuazione. Insomma se è vero - come ha rilevato il Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp) - che il 20% più ricco della popolazione mondiale riceve il 95% dei crediti bancari, non può stupire che le banche operino in uno dei mercati dove più facilmente si incontrano clienti "bancabili".
   Non si può negare che gli istituti bancari non sappiano necessariamente che tipo di operazioni vengono fatte sui conti di questo o quel cliente. Dopo la pubblicazione sulle riviste missionarie dei dati '98 sulle banche italiane coinvolte nell'export bellico e soprattutto dopo che Banca Etica e il Consorzio di microfinanza etica Etimos hanno deciso di chiudere il conto aperto presso la filiale di Padova, il Banco Ambrosiano Veneto ha replicato affermando che non è in grado di sapere, e soprattutto di impedire, le operazioni che l'Agusta - il produttore italiano di elicotteri militari a cui si riferivano le esportazioni '98 - fa sul suo conto bancario. Ma se si intende mantenere un profilo di banca attenta all'etica e al sociale, è proprio necessario accettare l'Agusta come cliente?

LETTERA APERTA ALLE "BANCHE ARMATE"

Una proposta di Missione oggi, Nigrizia, e Pax Christi ai parroci, ai vescovi, ai responsabili di istituti religiosi…e a tutte le persone di buona volontà.

   Come evidenzia la relazione sull'esportazione italiana di armi nel 1998, che il presidente del consiglio ha presentato al parlamento lo scorso 31 marzo, sono numerose la banche italiane che hanno sostenuto l'export bellico per un totale di 1.236 miliardi di lire.
   Ecco l'elenco: Banca Carige; Banca Commerciale Italiana; Banca Nazionale del Lavoro; Banca Nazionale dell'Agricoltura; Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino; Banca Popolare di Brescia; Banca Popolare di Intra; Banca Popolare di Lodi; Banca Popolare di Novara; Banca San Paolo di Brescia; Banca Toscana; Banca di Roma; Banco Ambrosiano Veneto; Banco Bilbao Vizcaya; Banco di Chiavari e della Riviera Ligure; Banco di Napoli; Banco do Brasil; Barclays Bank; Cariplo; Cassa di Risparmio di Firenze; Cassa di Risparmio di La Spezia; Credito Agrario Bresciano; Credito Emiliano; Credito Italiano; Crèdit Agricole Indosuez; Istituto San Paolo di Torino; Monte dei Paschi di Siena; Ubae Arab Italian Bank; Unicredito Italiano; Unione Banche Svizzere.
   L'appuntamento del giubileo - che vuole essere un momento di conversione autentica - può diventare l'occasione per fare chiarezza e cambiare strada anche sui risparmi. Questo è possibile se le diocesi, le parrocchie, le comunità religiose, i singoli credenti e tutte le persone di buona volontà chiederanno esplicitamente alle banche presso cui hanno i propri depositi se sono o meno coinvolte nel commercio delle armi. Nell'indire il giubileo il papa dice: "Devono essere eliminate le sopraffazioni che portano al predominio degli uni sugli altri: esse sono peccato e ingiustizia. Chi è intento ad accumulare tesori solamente sulla terra (cfr. Pt. 6,19) non arricchisce dinanzi a Dio (Lc 12,21)". E ancora: "Specialmente i paesi ricchi e il settore privato assumano la loro responsabilità per un modello di economia al servizio di ogni persona".
   Mentre sono in atto anche nella chiesa italiana importanti iniziative tese alla riduzione del debito dei paesi poveri, siamo convinti che questo non basta. Non è difficile ipotizzare che i fondi che si raccolgono per opere di carità, per condonare il debito e per altro, vengano poi depositati in banche che investono quegli stessi soldi nel traffico di armi. La tentazione di 'mammona' è forte per tutti.
   Spesso le banche si rivolgono alle parrocchie offrendo condizioni particolarmente favorevoli. Crediamo sia moralmente doveroso chiederci come e dove investono questi istituti bancari. Se è vero che il sistema economico, le "strutture di peccato" si basano sul consenso dei singoli, è importante riscoprire le responsabilità che ognuno ha nell'appoggiare più o meno esplicitamente tale sistema. Non possiamo accettare il criterio che avendo dei soldi li dobbiamo far fruttare al meglio senza interrogarci sul modo.
   Sarebbe un forte gesto di richiamo alle coscienze, se le varie realtà ecclesiali si muovessero in questa direzione, interrogandosi al loro interno (consigli pastorali, consigli per gli affari economici) e indirizzando alle banche una lettera pubblica. Sarebbe un gesto profetico per testimoniare che ci sta a cuore prima di tutto il Vangelo.

Chiediamo quindi di:

Le riviste Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace (mensile di Pax Christi) si impegnano a seguire gli sviluppi di questa iniziativa e il dibattito che ne deriverà.

LA RELAZIONE DEL GOVERNO SULL'EXPORT DI ARMI ITALIANE

   La Relazione sull'export italiano di armi nel '98, presentata dal presidente del Consiglio in Parlamento il 31 marzo scorso è un volume di 565 pagine: di queste, ben 311 sono la relazione del ministero del Tesoro, che nei rapporti precedenti occupava appena una trentina di fogli. Trecento pagine cruciali, dense di nomi, di cifre e dettagli delle operazioni di vendita all'estero per banca, impresa, paese di destinazione, autorizzazione e contenuto della fornitura. I funzionari del ministero del Tesoro - guidato al momento della stesura della relazione dall'attuale presidente della Repubblica ci offrono uno spaccato, come da tempo non si vedeva, dell'operatività, e del giro di soldi, delle esportazioni italiane di armamenti.
   Nel 1998 le operazioni bancarie autorizzate connesse all'export italiano di armi sono ammontate a 1.236 miliardi di lire (1.114 miliardi di operazioni effettive). La cifra è inferiore a quella del 1997, che era pari a 1.724 miliardi di lire. Ma nelle transazioni bancarie le oscillazioni sono più marcate. In esse si riflettono operazioni che durano da anni, grosse commesse che i paesi importatori, soprattutto quelli più poveri del Sud del mondo, stanno pagando da tempo. Il Sud ( e l'Est) sono tornati ormai da qualche anno ad essere i principali destinatari delle armi italiane, dopo la breve parentesi dei primi anni '90 in cui la legge 185, la legge italiana sul commercio delle armi, veniva applicata con un po' di rigore e i clienti delle zone più povere erano diventati pochi.
   La classifica '98 delle esportazioni comincia con un mega-contratto con la Siria, 229 milioni di dollari, circa 400 miliardi di lire, per la fornitura da parte di Finmeccanica, la holding pubblica dell'industria degli armamenti (e precisamente della sua divisione Officine Galileo) di 500 sistemi di controllo del tiro per carri armati: Damasco riammodernerà la sua dotazione di corazzati, di marca sovietica, con sofisticate apparecchiature occidentali. Come aveva già fatto la Repubblica Ceca, che nel '96 aveva acquistato 355 di questi sistemi. Le operazioni '98 con Praga riguardano la nuova commessa di 75 radar avionici Grifo della Fiar (148 miliardi di lire) da installare sui nuovi aerei addestratori cechi L-159.
   Per la Repubblica Ceca la Fiar si appoggia all'Unicredito Italiano, mentre la fornitura alla Siria passa per l'Ubae Arab Italian Bank, che è con 350 miliardi di operatività scalza le maggiori banche nazionali in testa alla classifica degli istituti di credito che hanno sostenuto le esportazioni di armi italiane. L'Ubae è controllata dalla Libyan Arab Foreign Bank di Tripoli (40% del capitale) e tra i soci italiani vede la presenza di Banca di Roma (16,6%), Monte dei Paschi, Bnl, San Paolo di Torino, Telecom Italia (2%).
   È ancora il radar della Fiar il protagonista delle operazioni con il Pakistan: 85 miliardi di lire per una commessa di 100 sistemi che risale al 1994, di cui paga una rata nel '98 tramite il Banco di Napoli. I radar stanno consentendo all'aeronautica pakistana di aggiornare l'avionica sia dei caccia di costruzione cinese F-7 che dei Mirage acquistati dalla Francia. Giusto in tempo per lo scontro con l'India. Al riarmo del Pakistan partecipano anche la Iveco-Fiat, fornendo autocarri (66, per un valore di 14 miliardi di lire, banca d'appoggio ancora Unicredito), e la Cosmos di Livorno, che continua a fornire parti di ricambio per i suoi minisommergibili Sx-756 venduti negli anni '80 (la nuova autorizzazione '98 è di 4 milioni di dollari) e ad incassare tramite la Banca Commerciale Italiana.
   La Comit sembrava negli ultimi anni leader indiscussa delle "banche armate". E invece nel '98 si ritrova solo quarta per nuove autorizzazioni, anche se ancora prima per movimenti "segnalati", dove contano le grandi commesse navali degli ultimi anni in Estremo Oriente: 39,6 milioni di dollari è la "rata" '98 pagata dalla Tailandia, via Comit, per i due cacciamine Intermarine (commessa del 1996), e 76,4 milioni di dollari quella della Malaysia per le corvette missilistiche Fincantieri vendute nel 1997 (valore totale della commessa: 260 milioni di dollari). Dopo l'Ubae invece troviamo, per volume di operatività (307 miliardi), Unicredito Italiano - ancora Credito Italiano fino all'ottobre scorso quando è stato avviato il nuovo gruppo bancario comprendente anche la Banca Crt (Torino), Cariverona, Cassamarca, Rolo Banca e la trentina Caritro - che è l'appoggio bancario quasi esclusivo delle operazioni con la Romania, in particolare della commessa '97 da 85 milioni di franchi svizzeri della Oerlikon-Contraves per cannoni e sistemi radar antiaerei, e delle esportazioni in Botswana.
   Con la Romania lavora anche il San Paolo di Torino, terzo in classifica, che è la principale banca per le esportazioni negli Stati Uniti, ma anche in Eritrea e in Ghana. Nel '98 l'Eritrea paga, tramite il San Paolo, 5 milioni di dollari di rata della commessa '96 da 50 milioni di dollari per 6 aerei caccia Mb-339c dell'Aermacchi, notati in combattimento nella guerra in corso con l'Etiopia. Il Ghana versa oltre 2 milioni di dollari annui di quota per l'acquisto, fatto nel 1993, di 2 Mb-339a e 3 Mb-326k dell'Aermacchi. E un'altra rata di 1 milione 100 mila dollari alla Barclays Bank per la commessa '95 di elicotteri A-109 Agusta.
   È già tanto vedere questi aerei tra le esportazioni autorizzate, perché i 6 aerei leggeri Sf-260 ex Siai- Marchetti, oggi anch'essi Aermacchi, venduti allo Zimbabwe tra il '97 e il '98, non figurano, essendo definiti mezzi "civili" da addestramento, anche se usati da sempre in funzione antiguerriglia. Ci sono invece gli M-290 Redigo, altri aerei "addestratori" prodotti dall'Aermacchi, venduti al Messico nel '98. Si tratta della principale operazione intermediata dalla Banca Nazionale del Lavoro, banca d'appoggio anche per le forniture italiane '98 alla Colombia (7,5 miliardi di lire) e al Sudafrica (1 miliardo e mezzo di lire).
   La Banca di Roma si segnala come banca d'appoggio per le vendite '98 al Perù e all'Equador. Cariplo continua ad incassare, per conto dell'Agusta, oggi divisione Finmeccanica, i pagamenti delle Filippine (oltre 7 milioni di dollari nel '98) per il contratto da 52 milioni di dollari del 1992 per la costruzione in loco di aerei leggeri Sf-260 e S-211. Stesso cliente, Agusta -Finmeccanica, e destinatari ancora più controversi per il Banco Ambrosiano Veneto, che figura come banca d'appoggio per le esportazioni (autorizzate nel '98) di parti di ricambio di elicotteri militari in Turchia e in Perù. Il Crédit Agricole Indosuez, che fa capo al socio francese di maggioranza (23,5%) di Banca Intesa, la Caisse Nationale de Crédit Agricole, intermedia la fornitura di parti di ricambio per elicotteri Agusta in Libano.


Operazioni bancarie relative a esportazioni di armi dall'Italia (1998)
(miliardi di lire)

Aziende di credito

Importi
autorizzati

Importi
segnalati

Importi accessori
autorizzati

Importi
accessori
segnalati

Ubae Arab Italian Bank

357,8

39,8

 

 

Credito Italiano

307,2

101,3

2,2

0,5

Istituto San Paolo di Torino

157,7

84,5

3,2

3,3

Banca Commerciale Italiana

104,7

404,2

6,3

25,3

Banca Nazionale del Lavoro

96,6

75,8

2,5

2,5

Banco di Napoli

85,6

1,1

 

 

Banca di Roma

57,0

69,6

2,8

2,8

Cassa di Risparmio di La Spezia

21,0

5,6

0,6

 

Monte dei Paschi di Siena

9,4

111,7

0,9

0,1

Banca Nazionale dell'Agricoltura

7,5

0,7

 

 

Banco Abrosiano Veneto

6,9

 

0,3

 

Banca Toscana

6,8

 

 

 

Banca Popolare di Brescia

6,1

5,0

 

 

Banco do Brasil

4,1

 

0,4

 

Cariplo

3,3

28,0

0,3

0,4

Credit Agricole Indosuez

1,1

 

 

 

Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino

0,9

0,4

 

 

Banca Popolare di Novara

0,6

1,3

 

 

Banca San Paolo di Brescia

0,5

0,1

 

 

Cassa di Risparmio di Firenze

0,5

 

 

 

Banca Carige

0,4

 

 

 

Barclays Bank

0,3

63,5

 

 

Unione Banche Svizzere

0,2

0,2

 

 

Banco di Chiavari e della Riviera Ligure

0,1

1,1

 

 

Banca Popolare di Intra

0,1

 

 

 

Credito Agrario Bresciano

0,1

 

 

 

Banca Popolare di Lodi

 

95,3

 

 

Credito Emiliano

 

21,4

 

1,8

Totale

1.236,6

1.114,2

19,5

36,7

Nota: gli importi "autorizzati" sono riferiti esclusivamente al 1998, mentre gli importi "segnalati" sono riferiti anche ad operazioni autorizzate negli anni precedenti. Gli importi "accessori", autorizzati o segnalati, comprendono in particolare i compensi di mediazione.

RELAZIONE DEL GOVERNO SULL'EXPORT DI ARMI ITALIANE:
I DATI DEL 2000

    È la cifra più alta dell'ultimo decennio: il valore delle operazioni bancarie relative alle esportazioni italiane di armi del 1999 ammonta a 2.335 miliardi di lire, un dato sostanzialmente corrispondente all'export che il governo ha autorizzato, pari a 2.596 miliardi. Insomma anche negli incassi e nella copertura finanziaria si consolida la ripresa dell'industria bellica italiana sul mercato internazionale, soprattutto verso il sud del mondo - il 65% delle vendite, senza contare la Turchia.
    Sono i dati cruciali della Relazione governativa 2000 sull'export '99, prevista dalla legge 185/90 e presentata a fine marzo in parlamento. Tra gli affari, spicca il megacontratto da 1.200 miliardi di lire degli Emirati Arabi Uniti per apparati elettronici per l'aeronautica. Titolare dell'autorizzazione è l'Elettronica spa di Roma, che si appoggia per gli aspetti finanziari su Unicredito Italiano. Ma l'operazione è molto più vasta e complessa. Secondo la ricostruzione di Os.C.Ar., l'Osservatorio sul commercio delle armi dell'Ires di Firenze, la commessa fa parte di forniture negli Emirati per 30 miliardi di franchi (9.000 miliardi di lire) ottenute tra il '98 e il '99 dall'industria degli armamenti francese: 33 nuovi cacciabombardieri Mirage 2000-9 e l'aggiornamento di un'altra trentina di Mirage 2000, già in possesso dell'aviazione degli Emirati, nonché un'adeguata dotazione di missili aria-aria e aria-superficie, e di apparati elettronici. A questi colossali affari partecipa il grosso dell'industria bellica d'oltralpe, tra cui il gruppo Thomson-Csf (57% del fatturato per la difesa, 70% esportato), leader di mercato nell'elettronica militare, controllato dallo stato francese, dall'Alcatel (elettronica e spazio) - che significa anche Société Genérale, settima banca al mondo per attivo - e dalla Dassault Industries, la costruttrice dei Mirage. Thomson-Csf partecipa per il 33% del capitale a Elettronica spa, l'impresa romana dell'imprenditore Fratalocchi che vede tra gli azionisti anche Finmeccanica, la holding italiana della difesa. La megacommessa degli Emirati è una joint-venture Elettronica-Thomson, e la stessa relazione del governo precisa che, su 1.200 miliardi, il materiale di produzione francese ne vale 700.    Ma non finisce qui. Ancora una volta le imprese italiane si infilano in giochi più grandi di loro. Infatti negli Emirati i Mirage francesi, con apparati italiani, sono in competizione con gli F-16 statunitensi. Dopo un lungo tira e molla, gli emiri di Dubai e Abu Dhabi hanno recentemente ceduto alle pressioni Usa e hanno comprato ottanta F-16 della Lockeed-Martin, con radar Northrop e missili Raytheon, per un valore di 7 miliardi di dollari. Insomma sulle rive del Golfo Arabo-Persico gira un quinto del mercato globale delle armi e si confrontano i maggiori competitori mondiali. Ma negli Stati Uniti c'è polemica: il contratto con gli Emirati potrebbe essere un mezzo di scambio per ottenere basi militari, e inoltre la tecnologia ceduta sarebbe tra le più avanzate, e questo preoccupa alcuni ambienti Usa attenti alla proliferazione delle armi sofisticate. Nell'area crescono le tensioni: si sta facendo pericoloso ad esempio il confronto tra Emirati e Iran.
    In Italia invece nessuno ha espresso preoccupazioni. Meno che mai Unicredito, uno dei maggiori gruppi bancari nazionali, che grazie alla commessa araba si assicura il primo posto tra le banche che hanno appoggiato l'export di armi nel '99. Oltretutto la commessa ha prodotto "importi accessori", tra cui la lauta tangente legale pagata ai mediatori dell'affare, per oltre 180 miliardi di lire. Non sembra preoccupare i principali azionisti del gruppo - le fondazioni Cariverona, Crt, Cassamarca e i tedeschi di Allianz - neanche il fatto che altre operazioni di Unicredito riguardino esportazioni italiane di armi in India, Marocco, Perù.
    Nella lista del sostegno all'export troviamo poi, al solito, la Banca Commerciale (ora in Banca Intesa), il San Paolo-Imi e la Banca di Roma.
    Comit risulta aver appoggiato soprattutto operazioni con la Francia, ma anche con Turchia, Singapore, Sudafrica. Gli altri istituti che fanno capo a Banca Intesa, Cariplo e Banco Ambrosiano Veneto, questa volta sono più defilati. L'Ambroveneto, in particolare, continua ad incassare per conto dell'Agusta piccole rate di pagamento per parti di elicotteri dalla Turchia e dal Perù. Attraverso il San Paolo-Imi passano i pagamenti del Brasile per la fornitura di 50 missili superficie-aria Aspide (Alenia-Finmeccanica): una commessa da 70 miliardi di cui gli acquirenti hanno pagato una prima rata, e sulla quale viene versata una prima parte del compenso di mediazione vicino al 10% del valore della fornitura. Un ulteriore consistente alimento al debito brasiliano verso il gruppo bancario torinese, che già superava, secondo gli stessi bilanci del San Paolo, i 140 miliardi di lire a fine '98.
    La Banca di Roma sostiene la Sepa spa nelle operazioni per una fornitura da 30 miliardi di "sistemi di automazione della propulsione " navale al Venezuela. Notare che il compenso di mediazione autorizzato dal governo è pari a 1 milione 778mila dollari su 17 milioni 788mila dollari di commessa: il 10% esatto.
    La Banca Nazionale del Lavoro si segnala invece per fare d'appoggio alle esportazioni nel Sultanato del Brunei. Ma anche in Algeria: in barba alle dichiarazioni del governo, secondo il quale nel '99 sarebbero stati rispettati vincoli e divieti della legge 185 - oggi peraltro messa in discussione dallo stesso esecutivo - l'Algeria è stata una destinazione di armi italiane, e la Bnl ha sostenuto la vendita di 5.000 pistole mitragliatrici Beretta, del valore complessivo di 2 miliardi 875 milioni di lire. L'altra grande commessa algerina è quella dei velivoli "senza pilota" Mirach della Meteor (si usano come bersagli da esercitazione): 31 miliardi intermediati dalla Arab Banking Corporation, gruppo bancario multinazionale con sede centrale in Bahrein e come soci principali la società di investimenti dell'Emiro di Abu Dhabi (ancora gli Emirati!), il ministero delle finanze del Kuwait e la Banca Centrale della Libia, e il resto del capitale piazzato sui mercati (occidentali). Non è l'unica banca estera a partecipare al nostro export di armi. La francese Banque Nationale de Paris appoggia le vendite italiane in Bulgaria. La britannica Barclays Bank, colta a dicembre con le mani nella marmellata per essere stata in Gran Bretagna la banca d'appoggio di un trafficante di armi con il Congo, si limita nel '99 ad operazioni con il Canada.
    Cresce invece di importanza, tra le italiane, la Banca Popolare di Brescia, per la quale passano le esportazioni in Malaysia di caccia Mb-339 dell'Aermacchi.
    Tra le cifre minori, la Banca Popolare di Intra (Verbania) risulta essere la banca d'appoggio dell'Aerea spa per esportazioni di parti di elicotteri, di origine statunitense, in Slovenia e addirittura in Guinea. Invece non sappiamo per dove sia passato il pagamento della rata degli aerei militari venduti dall'Aermacchi all'Eritrea: 3 miliardi e 758 milioni di lire nel '99. L'anno prima era il San Paolo, quest'anno il dato non è riportato nelle tabelle di dettaglio. Una svista provvidenziale, dopo l'embargo Onu alle vendite di armi a Eritrea ed Etiopia in guerra.

(Francesco Terreri © NIGRIZIA)

Operazioni bancarie relative a esportazioni di armi dall'Italia per azienda di credito nel 1999
(miliardi di lire)

 

Aziende di credito

Importi autorizzati

Importi segnalati

Importi accessori autorizzati

Importi accessori segnalati

Unicredito Italiano

1.248,0

147,7

187,3

1,0

Banca Commerciale Italiana
(Banca Intesa)

357,1

290,0

2,4

26,2

San Paolo-Imi

151,6

117,3

8,3

11,7

Banca di Roma

101,0

71,5

5,4

...

Banca Nazionale del Lavoro

94,1

39,5

8,9

1,0

Banque Nationale de Paris

62,0

32,6

4,3

-

Arab Banking Corporation

31,3

19,3

-

-

Banca Popolare di Brescia

24,6

7,3

-

-

Banca Nazionale dell'Agricoltura

24,4

1,4

-

-

Cassa di Risparmio di Firenze

6,6

-

0,5

-

Cariplo
(Banca Intesa)

6,1

6,8

-

...

Barclays Bank

2,5

74,3

-

-

Cassa di Risparmio di La Spezia

2,4

3,2

0,1

-

Monte dei Paschi di Siena

1,4

39,0

-

1,4

Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino

1,4

-

-

-

Banco do Brasil

1,0

4,3

0,1

0,3

Banca Popolare di Novara

0,5

0,3

0,1

0,1

Banca Popolare di Intra

0,4

0,1

-

-

Banca Toscana

0,4

...

-

-

Arab Bank

0,3

-

-

-

Banco Ambrosiano Veneto
(Banca Intesa)

0,3

-

...

-

Banca Carige

0,1

0,9

...

-

Credit Agricole Indosuez

-

1,2

-

-

Credito Agrario Bresciano
(Banca Lombarda)

-

0,1

-

-

Nota: gli importi "autorizzati" sono riferiti esclusivamente al 1999, mentre gli importi "segnalati" sono riferiti anche ad operazioni autorizzate negli anni precedenti. Gli importi "accessori" - autorizzati o segnalati - comprendono in particolare i compensi di mediazione.

... = importo inferiore a 0,1 miliardi di lire

Fonte: Presidente del Consiglio dei Ministri, Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento nonché dell'esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia (Anno 1999). Roma: Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, Atti Parlamentari, Doc. LXVII n. 4, 2000 (in particolare: Relazione del Ministero del Tesoro).


Operazioni bancarie relative a esportazioni di armi dall'Italia per paese di destinazione 1999
(miliardi di lire)

Paesi importatori

Importi autorizzati

Importi segnalati

Emirati Arabi Uniti

-

-

Francia

245,8

38,5

Stati Uniti

82,4

29,9

Brasile

70,2

45,1

Bulgaria

62,1

32,8

Cipro

55,8

55,8

Venezuela

45,5

8,5

Romania

37,5

32,1

Algeria

34,2

20,7

Turchia

32,0

24,6

Germania

29,5

26,7

Norvegia

25,3

1,4

Malaysia

24,9

125,3

Singapore

22,6

24,2

Spagna

22,1

22,1

Brunei

20,0

-

Gran Bretagna

13,9

-

Australia

13,8

5,4

Grecia

10,8

5,0

India

9,3

29,5

Thailandia

0,2

72,4

Cina

0,1

20,1

Repubblica Ceca

-

12,9

Totale (compresi altri)

2.117,5

856,8

Nota: gli importi "autorizzati" sono riferiti esclusivamente al 1999, mentre gli importi "segnalati" sono riferiti anche ad operazioni autorizzate negli anni precedenti. Sono indicati i Paesi con ammontare pari ad almeno 10 miliardi di lire negli importi autorizzati o nei segnalati.

Fonte: Presidente del Consiglio dei Ministri, Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento nonché dell'esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia (Anno 1999). Roma: Camera dei Deputati-Senato della Repubblica, Atti Parlamentari, Doc. LXVII n. 4, 2000 (in particolare: Relazione del Ministero del Tesoro).

Fonte della Tabella: UNiMONDO © 2000
SINDACATI, FONDI PENSIONE E "BANCHE ARMATE"

   Siamo un gruppo di dipendenti dello stabilimento dell'Iveco-Fiat di Brescia.
   Dato che pare oramai certo che nel futuro prossimo dei lavoratori ci sarà un più consistente impiego del Tfr (Trattamento di fine rapporto di lavoro, che corrisponde alla vecchia liquidazione) nei "fondi pensione" privati, vorremmo sollevare un piccolo problema "etico".
   Chiediamo ai sindacati: vi pare serio e dignitoso concedere la gestione delle nostre liquidazioni a soggetti finanziari collegati alle cosiddette "banche armate"?
   Le organizzazioni sindacali sanno (o dovrebbero sapere) che alcune riviste missionarie hanno iniziato da un po' di tempo una campagna di informazione e denuncia sul ruolo di alcuni Istituti di credito coinvolti direttamente nelle transazioni finanziarie legate al commercio delle armi. Tra questi ci sono delle banche a cui fanno capo alcuni gestori che hanno, dal novembre scorso, il compito di investire sui mercati finanziari le risorse raccolte secondo quanto stabilito dal progetto "Cometa" previsto dal contratto nazionale dei metalmeccanici, e quindi sottoscritto dalle stesse organizzazioni di categoria.
   In prima battuta la gestione amministrativa è stata affidata al monte dei Paschi di Siena: secondo i dati della Presidenza del Consiglio, questo istituto è coinvolto in operazioni bancarie relative all'esportazione di armi per l'anno 1998 pari a 9,4 miliardi. A questo istituto fanno ora riferimento i seguenti "gestori finanziari": Generali, Paribas, Europlus.
   Troviamo inoltre la Sanpaolo, del gruppo San Paolo di Torino, e la Cisalpina, controllata da Fineco, gruppo Bipop-Carire, cioè Banca Popolare di Brescia. Ambedue appaiono nell'elenco delle banche impegnate nell'export di armamenti: l'istituto torinese per un ammontare di 157,7 miliardi, mentre la banca bresciana per 6,1 miliardi.
   Forse i sindacati ritengono i nostri scrupoli moralistici, e le nostre preoccupazioni eccessive, interessati, a quanto pare, a garantire in primo luogo un buon rendimento ai "fondi pensione": come si dice: "pecunia non olet"!
   Ad ogni buon conto, vorremmo da loro una necessaria e sollecita puntualizzazione, ben felici di essere rassicurati o smentiti.

Grazie per l'attenzione,

R. Cucchini, A. Martina, D. Trinca, I. Mazzola, C. Botta, P. Casarotti, E. Negri, G. Dalè, M. Ravelli.

LE GIUSTIFICAZIONI DELLE "BANCHE ARMATE"

Qualche timido accenno ad un impegno per limitare l'operatività nel settore (Monte dei Paschi di Siena). Qualche banca non presente nella lista del Ministero del Tesoro che pure risponde con attenzione (Popolare dell'Alto Adige, Banca Bovio-Calderari). Per il resto, ai numerosi risparmiatori che - aderendo alla campagna promossa da Pax Christi, Nigrizia e Missione Oggi - stanno scrivendo alle proprie banche per chiedere conto delle informazioni tratte dalle relazioni governative al Parlamento e diffuse dalle riviste dei promotori della campagna, le banche coinvolte con le esportazioni italiane di armi replicano senza aprire un vero dialogo sulle motivazioni della protesta, ma puntando a minimizzare e, in qualche caso, a giustificare. Naturalmente tutte precisano che si tratta di operazioni "legittime e autorizzate": e ci mancherebbe altro! Alcuni degli argomenti usati sono reali, ma non necessariamente modificano la situazione dal punto di vista etico. Altri sono - francamente - equivoci.

"Siamo soggetti passivi"
Partiamo dagli argomenti che puntano a minimizzare basandosi su elementi reali. La risposta più frequente delle banche ai risparmiatori è quella del "ruolo passivo": "siamo soggetti passivi per le transazioni" (Banco Ambrosiano Veneto); "figuriamo nell'elenco… come soggetto finanziario 'passivo', essendo un Istituto verso il quale sono canalizzati dall'estero bonifici a favore di aziende italiane, legalmente autorizzate alla produzione di armi" (Cassa di Risparmio di Firenze); "la natura degli interventi è tecnica, riguardando prevalentemente la negoziazione di flussi di intermediazione" (Monte dei Paschi di Siena); "ci limitiamo a fornire servizi accessori o a gestire il regolamento di negoziazioni commerciali già perfezionate fra le parti e sulle quali non si può in alcun modo intervenire" (Banca Nazionale del Lavoro). In sostanza, gli istituti di credito affermano di essere solo banche d'appoggio per transazioni commerciali tra aziende, e non finanziatori. Nella relazione del Tesoro la natura delle operazioni bancarie non viene precisata, tuttavia la tesi delle banche è plausibile: la maggior parte delle operazioni sono bonifici degli acquirenti sul conto degli esportatori.
Che questo, sul piano etico, comporti una responsabilità minore è materia di discussione. Ma non va sottovalutato un altro aspetto: quando un cliente importante - e le industrie militari lo sono - ha un conto presso una banca, esso ha anche fidi e linee di credito a disposizione. Questo vale soprattutto per quelle operazioni che si prolungano per anni: quando le Filippine pagano gli aerei Siai-Marchetti "a rate" tra il 1992 e il 1998, è difficile che la Cariplo (Banca Intesa) non abbia sostenuto finanziariamente l'azienda esportatrice; come è improbabile che l'Aermacchi si limiti ad incassare i pagamenti dall'Eritrea per i suoi caccia senza una copertura creditizia da parte della "banca d'appoggio" San Paolo di Torino. E situazioni simili sono quelle di Bnl con l'India - un contratto del '92 - o del Monte dei Paschi con il Pakistan - i radar Fiar del '97.

Le banche coinvolte nelle esportazioni italiane di armi hanno generalmente risposto senza aprire un vero dialogo sulle motivazioni della protesta, ma puntando a minimizzare, a giustificare e, in qualche caso, a confondere.

"Non finanziamo l'export di armi"
Non si può che prendere atto, poi, della risposta che danno alcuni istituti di credito, come Cariverona, Rolo Banca o la trentina Caritro, chiamati in causa come parte di un gruppo bancario - in tutti questi casi Unicredito, nettamente in testa nelle operazioni sull'export di armi '99 - ma non citati esplicitamente nella Relazione del governo. "Posso assicurare che da parte di questa Cassa non vi è stato mai e non è in essere alcun finanziamento in favore di imprese coinvolte nell'export di armi" afferma ad esempio il direttore generale di Cariverona. In effetti nel gruppo Unicredito chi tradizionalmente segue il settore militare è il Credito Italiano. Tuttavia occhio agli azionisti del gruppo: tra i soci principali di Unicredito Italiano spa figura per esempio la Fondazione Cassa di Risparmio Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, che non è la banca ma esprime gli interessi che hanno portato Cariverona in Unicredito. Come principale azionista del gruppo - controlla il 16,8% del capitale - la Fondazione è responsabile degli indirizzi generali di Unicredito. Compresi quelli sugli affari militari.

"Non sono armi, ma prodotti di alta tecnologia"
La Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino, nella sua risposta ai clienti che hanno chiesto chiarezza circa il coinvolgimento nell'export di armi, gioca invece su un equivoco: "vi precisiamo che fra le operazioni autorizzate sono comprese… le esportazioni di prodotti ad alta tecnologia verso i paesi Nato". Si tratta - tra l'altro - dello stesso tipo di risposta già dato dall'istituto di Bergamo nel 1995, quando vennero fuori i primi dati sulle "banche armate", ad alcuni soci di Amandla, la locale bottega del commercio equo e solidale. Allora come oggi la Popolare di Bergamo fa (inconsapevolmente?) confusione. Il documento del governo da cui sono tratti i dati comprende infatti anche la relazione del Ministero del commercio estero sulle esportazioni di prodotti ad alta tecnologia "a doppio uso" civile-militare, regolamentate fino al 1997 dalla legge 222 del '92 e oggi dal decreto legislativo n. 89 del '97 che recepisce la normativa europea in materia. Su di esse però, purtroppo, non ci sono molti dettagli. Al contrario, le operazioni bancarie citate nella relazione del Ministero del Tesoro e diffuse dai promotori della Campagna sono collegate solo alla legge 185 sul controllo dell'export di armi, in cui, tra l'altro, la definizione di "arma" è molto restrittiva. Dunque non c'è dubbio che di sistemi d'arma si tratta, e non di generici "prodotti ad alta tecnologia".
Per quanto riguarda la destinazione Nato, dipende dagli anni. Nel 1999 i clienti delle operazioni "appoggiate" sulla banca bergamasca sono effettivamente Gran Bretagna e Stati Uniti. Ma nel '98, tra i destinatari, c'è anche Singapore, un porto di mare in molti sensi. E nel 1993, ultimo dato precedente in cui siano disponibili questi dettagli, le armi vendute e pagate attraverso la Popolare di Bergamo andavano in Arabia Saudita, Oman, Brasile che non sono paesi Nato.

"Sono armi non offensive"
Una variante degli argomenti della Popolare bergamasca è contenuta nella risposta della Cassa di Risparmio di Imola, coinvolta perché recentemente acquisita dalla Banca Popolare di Lodi. La Bipielle è stata nella lista fino al 1998 per operazioni dell'Agusta, la costruttrice nazionale di elicotteri, con la Gran Bretagna, in particolare per la coproduzione con la Westland del nuovo elicottero navale Eh-101. La risposta della banca di Imola mette l'accento sulla "tipologia di strumenti prodotti dalle società oggetto di finanziamento": "tali attrezzature, pur rivestendo una connotazione di natura militare, vengono sempre più utilizzate per 'missioni di pace' o per operazioni di salvataggio, svolgendo un ruolo non 'offensivo' ma di grande ed insostituibile utilità sociale" (la lettera della banca è stata pubblicata da Nigrizia di luglio/agosto). Qui l'argomento del "doppio uso" anche civile è riferito agli stessi mezzi militari. Tuttavia dovremmo fidarci dei governi acquirenti: se la Gran Bretagna utilizzerà questi elicotteri per salvare persone, potremo metterci in pace la coscienza; se invece questi mezzi parteciperanno alla guerra del Kossovo, o peggio saranno venduti all'Indonesia - è una delle controversie in corso a Londra attualmente sull'export bellico - l'"utilità sociale" lascerà alquanto a desiderare.
Ancora più azzardata in tal senso la tesi del Banco Ambrosiano Veneto, il cui responsabile del servizio Enti religiosi, Giuseppe Sormani, ha rilasciato delle dichiarazioni al settimanale della diocesi di Venezia Gente Veneta. In esse, dopo aver lamentato l'"attacco" a cui sarebbe sottoposta la banca, Sormani sostiene che l'Agusta, cliente anche dell'Ambroveneto ed esportatrice di parti di ricambio di elicotteri militari in Turchia e Perù - ma erano solo "ruote per i carrelli degli elicotteri e guarnizioni per le ruote" - "ha l'80% del suo fatturato in ambito civile". Peccato che Finmeccanica, che controlla Agusta, abbia fornito, in occasione del recente collocamento di azioni sul mercato, le cifre del business per settori. In quello degli elicotteri, il 71% dei ricavi viene dal militare. Allora è più limpido l'argomento della già citata Cassa di Risparmio di Imola che, a prescindere dalla percentuale di civile o militare nella produzione, ritiene che non si debba "sottovalutare l'impatto sociale negativo che l'assenza di risorse finanziarie provocherebbe alle famiglie dei numerosi lavoratori che operano nelle imprese del settore". Vecchio argomento giustificazionista, che però coglie un problema reale.

LE BUGIE E I SILENZI
Qualcuno infine la spara grossa. La Bnl, dopo aver ricordato la legittimità delle operazioni e le regolari autorizzazioni ricevute, scrive nelle risposte che "tutte le operazioni in questione sono riconducibili a regolari procedure di approvvigionamento di armamenti disposte da governi di stati sovrani per necessità istituzionali e di difesa del proprio territorio; esigenze pertanto finalizzate a garantire la pace fra gli stati e la sicurezza dei cittadini". Questa sorta di assoluzione generalizzata delle intenzioni degli acquirenti copre, nel solo 1999 - tra gli altri - i governi dell'Algeria, del Brasile, delle Filippine, dell'India e del Pakistan, della Thailandia, della Turchia, nonché il Sultano del Brunei, tutti clienti Bnl. Più preoccupante di questa visione naïve della situazione dei diritti umani nel mondo è solo il silenzio dei colossi del credito, in testa alla lista delle "banche armate": Credito Italiano-Unicredito, Comit-Banca Intesa e San Paolo-Imi.

Francesco Terreri

ESTENDIAMO LA CAMPAGNA ANCHE ALLE BANCHE "NON ARMATE"

La Rete di Lilliput dell'Alto Adige ha inviato la lettera su banche e armi a tutti gli istituti di credito operanti in provincia, presenti e non presenti nel rapporto del Ministero del Tesoro, per "analizzare la sensibilità del mondo bancario al tema del contenuto etico del risparmio". Alcune risposte sono arrivate da banche non coinvolte nell'export di armi. La Banca Popolare dell'Alto Adige, ad esempio, assicura i propri clienti del fatto che i loro depositi "non alimentano indirettamente il mercato delle armi" e dichiara il proprio impegno "a non concorrere neanche in futuro in tali attività". La Banca Bovio-Calderari, del gruppo Banca Sella - anch'esso non presente nelle relazioni governative - afferma la propria sensibilità in materia e ricorda un'iniziativa "etica" del gruppo: il fondo d'investimento Nordfondo Etico, in cui parte delle sottoscrizioni dei risparmiatori vengono devoluti in iniziative benefiche (Unicef, Gruppo Abele, Ai.Bi.). Sono queste le banche "non armate" a cui affidarsi in alternativa a quelle della lista?
Di per sé la relazione del Ministero del Tesoro non esaurisce i possibili legami tra mondo bancario e produzione di armi. Si può fare credito a imprese del settore militare senza essere necessariamente banca d'appoggio per le esportazioni. Tuttavia la sollecitazione nella risposta, anche se non si è coinvolti, e l'impegno che si prende pubblicamente di non partecipare a certe attività sono assunzioni di responsabilità che è importante valorizzare.
Dunque primo suggerimento: ad una banca non presente nella lista sull'export chiedete un impegno pubblico. Se lo prende, ha comunque fatto un gesto significativo. Meno decisive per la valutazione sono le iniziative "etiche" con carattere di beneficenza: quelle le troviamo dappertutto. Secondo suggerimento: guardare se tali iniziative costituiscono, di fatto e al di là delle dichiarazioni, un contributo alla redistribuzione del credito a favore dell'economia sociale e delle fasce più povere della popolazione. Almeno una banca di questo tipo, comunque, da un anno e mezzo c'è anche in Italia: è la Banca Popolare Etica. (F.T.)

13 gennaio 2001

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PROPOSTA DI ORDINE DEL GIORNO

Al Signor Sindaco

 

Il gruppo consiliare del Partito della Rifondazione Comunista chiede che venga posto in discussione nel prossimo consiglio comunale il seguente

ORDINE DEL GIORNO

Oggetto : "Banche armate": Per non essere complici dei mercanti di morte"

IL CONSIGLIO COMUNALE DI _________________IMPEGNA IL SINDACO

A spedire la lettera che segue al direttore della Banca _______________ della quale l'amministrazione comunale è cliente.

"Nella Relazione 2000 che il Governo ha presentato in Parlamento sulle esportazioni di armamenti autorizzate e svolte nel 1999, e in particolare nella parte curata dal Ministero del Tesoro - divulgate da riviste Missionarie e della Finanza etica e della Campagna "Chiama l'Africa" - ho trovato il vostro nome come la prima Banca coinvolta in operazioni connesse con l'export (legale) di armi per un valore di 1.248 miliardi.

 (mettere qui i dati effettivi relativi alla Banca di cui si serve il comune, ad esempio:)

Nella relazione 1999 relativa alle esportazioni di armi svolte nell'anno 1998 avevo letto che siete intermediari di una commessa di 100 radar che stanno consentendo all'aeronautica pakistana di aggiornare l'avionica sia dei caccia di costruzione cinese F-7 che dei Mirage acquistati dalla Francia. Giusto in tempo per lo scontro con l'India; al riarmo del Pakistan partecipano anche la Fiat Iveco, fornendo autocarri (66 per un valore di 14 miliardi di lire banca d'appoggio ancora Unicredito) ed altri relativi ad altre banche).

Nella relazione 2000 relativa al 1999 ho letto di gigantesche operazioni coinvolgenti il vostro gruppo; forniture di aerei francesi agli Emirati Arabi, per l'acquisto di 33 nuovi cacciabombardieri Mirage 2000 e l'aggiornamento di un'altra trentina di Mirage 2000, nonché un'adeguata dotazione di missili aria-aria e aria-superficie e di apparati elettronici, ma anche di esportazioni italiane in India, Marocco e Perù.

Ritengo che l'attività economica e finanziaria non possa sottovalutare il suo impatto sui diritti umani.

Banche ed imprese dovrebbero considerare le conseguenze sociali ed etiche delle loro azioni economiche.

Da questo punto di vista il commercio delle armi continua ad alimentare guerre e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. L'Africa in particolare, pur non essendo in assoluto l'area maggiormente destinataria di forniture di armamenti, è la regione dove i traffici hanno l'impatto più grave in termini umani e materiali. L'Italia continua ad avere un ruolo non marginale in questo mercato. È tra i primi dieci esportatori nelle vendite di grandi sistemi d'arma, e addirittura al terzo posto nel commercio di armi leggere.

Recentemente il Segretario Generale dell'O.N.U. Kofi Annan ha sottolineato come l'impegno contro le piccole armi è "una delle sfide chiave per prevenire i conflitti nel prossimo secolo". A quanto vedo dai dati, un ruolo cruciale nel mercato delle armi lo svolgono gli intermediari finanziari, cioè le banche.

Il Comune di ______________________ da anni è cliente della vostra agenzia numero _____ di __________________, l' ha eletta quale propria tesoreria. Ci troviamo nella situazione per cui anche il nostro bilancio, il denaro dei contribuenti alimenta indirettamente questi gravi fenomeni.

Se dunque i dati riportati nella Relazione del Ministero del Tesoro non sono errati e corrispondono a verità, ci troviamo costretti ad aprire le procedure per risolvere il rapporto con voi.

Naturalmente saremmo lieti di una vostra eventuale presa di posizione che dichiarasse l'impegno a uscire da queste attività.

Riterremmo opportuno, in questo caso, un'informazione trasparente ai risparmiatori sul percorso per arrivare a questo risultato.

Restiamo in attesa di un vostro riscontro e di una vostra eventuale verifica dei dati qui riportati."

 

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