Dopo che il leader del loro sindacato è stato assassinato davanti al cancello dello stabilimento dove lavoravano, Edgar Paez e i suoi colleghi dello stabilimento di imbottigliamento della Coca Cola di Carepa, in Colombia, hanno cercato, per quattro anni, di portare davanti alla giustizia i responsabili. Invece, alcuni degli stessi lavoratori sono finiti dietro le sbarre mentre gli assassini restavano in libertà.
Ritenendo i tribunali colombiani incapaci di assicurare
la giustizia, hanno deciso di trascinare la Coca Cola di fronte ad un
tribunale degli Stati Uniti, trovando in loro aiuto un potente sindacato
statunitense.
Quest'estate, il sindacato colombiano SINALTRAINAL
insieme a United Steel Workers of America e all'International Labor Rights
Fund, hanno intentato causa in Florida contro Coca Cola Inc., Panamerican
Beverages (la maggiore azienda di imbottigliamento di bibite dell'America
Latina, con alle spalle 60 anni di collaborazione con Coca Cola) e Bebidas
y Alimentos (posseduta da Richard Kirby di Key Biscayne, Florida, che
gestisce lo stabilimento di Carepa). Le tre compagnie sono accusate di
complicità nell'assassinio di leader sindacali colombiani. I sindacati
sperano che questa nuova strategia fermi l'ondata di assassinii di
sindacalisti che dura da più di un decennio.
I sindacalisti colombiani
stanno girando gli Stati Uniti per raccogliere supporto per la loro causa
ed eventuali future azioni similari.
La causa intentata in Florida
sostiene che alle 8:30 del mattino del 5 dicembre 1996, una squadra
paramilitare di estrema destra appartenente alle Forze Unite di Autodifesa
(AUC) si è presentata al cancello dello stabilimento di imbottigliamento
di Carepa. Isidro Segundo Gil, uno dei dirigenti del sindacato andò a
vedere cosa volessero e loro aprirono il fuoco, uccidendolo. Un'ora più
tardi, i paramilitari rapirono da casa sua un altro leader sindacale che
riuscì a fuggire e volò a Bogotà. Quella sera, fecero irruzione nella sede
del sindacato e la bruciarono.
Il giorno seguente, un gruppo
armato fino ai denti entrò nello stabilimento e radunò tutti i lavoratori.
"Hanno detto che se non si fossero licenziati entro le 4 del pomeriggio
sarebbe successa loro la stessa cosa accaduta a Gil - sarebbero stati
uccisi", ricorda Paez.
Rafael Fernandez, portavoce della Coca
Cola, asserisce che il codice di comportamento dell'azienda prevede il
rispetto dei diritti umani. Il portavoce della Coca Cola in Colombia,
Pedro Largacha, sostiene che "gli imbottigliatori colombiani sono
assolutamente indipendenti dalla Coca Cola Company". L'azienda
imbottigliatrice, Bebidas y Alimentos, sostiene di non aver avuto alcuna
possibilità di fermare i paramilitari. "Non sei tu ad usarli, sono loro
che usano te", sostiene Kirby, "nessuno dice ai paramilitari cosa fare".
Ma nella causa si accusa il direttore dello stabilimento, Ariosto
Milan Mosquera, che ha un passato di complicità con i paramilitari, di
aver dato loro ordine di distruggere i sindacato. Paez sostiene che non
solo i dirigenti dello stabilimento sono responsabili ma che la Coca Cola
stessa ne ha tratto beneficio. "All'epoca della morte di Gil, eravamo
impegnati in trattative con l'azienda", dice, "dopo di ciò non hanno più
negoziato con il sindacato. Ventisette lavoratori di dodici dipartimenti
lasciarono lo stabilimento e si trasferirono. Tutti i lavoratori dovettero
abbandonare il sindacato per salvare le loro vite e il sindacato fu
completamente distrutto. Per due mesi, i paramilitari restarono accampati
proprio fuori dal cancello dello stabilimento. La Coca Cola non se ne
lamentò mai con le autorità".
Le lettere di dimissioni e le
richieste di risarcimentofurono preparate dall'azienda. I lavoratori
esperti che lasciarono lo stabilimento, dove guadagnavano 380-400$ al
mese, furono sostituiti da nuovi assunti a salario minimo: 130$ al mese.
Durante una successiva indagine da parte del Ministero della
Giustizia colombiano, il direttore dello stabilimento e il direttore della
produzione furono detenuti, insieme al capo paramilitare del luogo. Tutti
e tre furono successivamente rilasciati senza alcuna accusa.
Gli
omicidi non sono stati né i primi né gli ultimi fra i dirigenti sindacali
degli stabilimenti colombiani della Coca Cola. Nel 1994 altri due
attivisti sindacali, Jose David e Luis Granado, furono anch'essi
assassinati a Carepa e i paramilitari pretesero che i lavoratori
abbandonassero il sindacato. Nel 1989, Jose Avelino Chicano fu ucciso
nello stabilimento di Pasto. Quest'anno, un dirigente sindacale dello
stabilimento di Bucaramanga, Oscar Dario Soto Polo, è stato assassinato.
Quando il sindacato denunciò gli omicidi, il capo della sicurezza dello
stabilimento, Jose Alejo Aponte, accusò i dirigenti del sindacato di
terrorismo. In cinque furono incarcerati per sei mesi. Sui muri dello
stabilimento di Barrancabermeja fu scarabocchiato un graffito: "Fuori
Galvis dalla Coca Cola, firmato AUC". Juan Carlos Galvis è il presidente
del sindacato dello stabilimento.
"Uno dei nostri maggiori
problemi in Colombia consiste nella criminalizzazione in generale della
protesta sociale", accusa Paez.
Secondo un altro sindacalista
colombiano, Samuel Morales della Confederazione Unificata dei Lavoratori
(CUT), la maggiore federazione sindacale del paese, "in molti modi le
corporation transnazionali governano virtualmente gli stati nei quali
operano. Nel nostro paese, il denunciarle con forza sta diventando un
crimine. Ottengono manodopera economica indebolendo i sindacati e
sbarazzandosi dei lavoratori con maggiore anzianità".
Ad ottobre,
125 dirigenti sindacali colombiani sono stati assassinati solo in
quest'anno. Gli omicidi dell'anno scorso, costarono la vita ad altri 129.
Ogni 5 sindacalisti uccisi al mondo, 3 sono colombiani.
I
paramilitari vengono ritenuti responsabili per quasi tutti gli omicidi dei
sindacalisti. Robin Kirk, che monitorizza gli abusi ai diritti umani in
Colombia per Human Rights Watch, racconta che esistono forti legami fra le
AUC e i militari colombiani. "I militari colombiani e l'apparato
dell'intelligence sono stati virulentemente anti comunisti fino dagli anni
'50", spiega, "e considerano i sindacalisti come sovversivi, come una
minaccia potenziale e molto pericolosa".
"Credono che sia un
crimine", aggiunge Morales, "presentare qualsiasi alternativa, qualsiasi
opzione di cambiamento sociale, anche solo lottare per i diritti e le
necessità dei lavoratori. I paramilitari non agiscono da soli. In Colombia
vengono chiamati la 'sesta divisione' dell'esercito".
Nonostante
l'ondata di morte e violenza, gli aiuti degli Stati Uniti alle forze
armate colombiane sono cresciuti rapidamente. Tramite il Plan Colombia,
gli Stati Uniti hanno incanalato più di 1 miliardo di dollari nel paese,
quasi interamente in aiuti militari. Paez sostiene che la guerra alla
droga finanziata dagli Stati Uniti sia un pretesto per proteggere gli
investitori transnazionali. "L'obiettivo del Plan Colombia è
l'eliminazione dei movimenti per il cambiamento sociale nel nostro paese",
dice. "Tutto ciò crea un ambiente molto più favorevole per lo sfruttamento
delle nostre risorse naturali e della nostra manodopera".
Uno
degli obiettivi della causa alla Coca Cola consiste nell'effettuare
pressioni sui governi colombiani e statunitensi affinché si attengano alle
convenzioni dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e degli
Accordi di Ginevra sui Diritti Umani. Ma i sindacalisti colombiani
vorrebbero anche vedere i responsabili degli assassinii portati davanti
alla giustizia.
"Vogliamo strappare la maschera che nasconde il
coinvolgimento delle corporation transnazionali nel nostro conflitto
interno", spiega Paez, "per fare ciò, abbiamo bisogno di un forum di
giudizio fuori dal paese, poiché in Colombia i colpevoli di questi crimini
restano impuniti. In questo caso particolare, la Coca Cola è uno dei
responsabili. Ma non sono l'unica azienda che persegue politiche che
violano i diritti umani. Noi stiamo fornendo la nostra risposta globale
alle loro operazioni globali".