Tanti, micidiali, misteriosi: sono i gruppi della resistenza irachena che martellano le potenze occupanti

La polveriera Iraq, nome dopo nome

Lo sfondo della simpatia popolare verso la resistenza

La resistenza irachena, meglio sarebbe parlare di «resistenze», è composta da numerose organizzazioni indipendenti ed è frutto di una molteplicità di cause nelle quali giocano un ruolo importante vari fattori quali l'orgoglio nazionale, il rifiuto dell'occupazione straniera, la volontà di mantenere unito il paese di fronte al tentativo americano-israeliano-curdo di dividerlo in tre mini-entità, aspirazioni politiche e religiose, la povertà, gli errori dell'amministrazione Usa.

Errori che in realtà non sono tali ma sono il frutto della politica degli integralisti cristiani sionisti e dei neoconservatori Usa, i «Likudnik» (legati al Likud), che stanno gestendo la politica Usa in Iraq. In particolare la loro teoria della «Tabula rasa», della distruzione dell'Iraq come entità statale «araba» con forti istituzioni centrali e un esercito in grado di superare le divisioni etnico-confessionali e, in futuro, di costituire un contrappeso alla pax «americano-israeliana» nella regione.

Tra le misure prese dagli Usa in Iraq la più impopolare è stata senza dubbio quella dello scioglimento dell'esercito con il licenziamento di tutto il personale del ministero della difesa, dei servizi, del ministero dell'informazione. Nonché quello di tutti coloro che avevano fatto parte del partito unico, il Baath. Questo è lo sfondo della simpatia popolare verso la resistenza che dal centro sunnita del paese, nella capitale, si va allargando anche verso il nord a Mossul e Kirkuk e il centro sud sciita.

La manodopera non manca. Gran parte della guardia repubblicana e dei servizi iracheni, prima dell'arrivo degli americani, passò in clandestinità comportandosi un pò come l'esercito russo di fronte all'avanzata di Napoleone (vecchio retaggio questo delle università militari sovietiche) e dopo alcuni mesi di attesa, quando è apparso chiaro che sarebbero rimasti disoccupati, si sono gettati nella mischia.

Questa resistenza «lealista» agisce sia in simbiosi con altre tendenze sia in proprio operando attraverso gruppi come i «Fedayin di Saddam», «al Ansar» composta da militanti del Baath, il «Fronte nazionale per la liberazione dell'Iraq» creato la scorsa primavera da membri laici e islamici della guardia repubblicana, l'«Awda» (il ritorno) per un Iraq laico e baathista ma senza più Saddam Hussein, e il misterioso «Movimento della testa del serpente». Questa sarebbe solo una parte della resistenza. Il resto è composto da correnti islamiste e nazionaliste, spesso intrecciate tra di loro e in alcuni casi con quella lealista: la «Faruq Brigade» del Movimento islamico (sunnita) in Iraq, La «Brigata del martire Khattab» (sunnita), gruppi islamici radicali che fanno riferimento al Wahabismo salafita (per i quali bisogna distruggere gli stranieri che entrano con la forza nei territori islamici) e gruppi islamici di ispirazione sufi. In campo sciita troviamo settori in passato legati al Partito al Dawa, alcuni gruppi di seguaci del leader radicale sciita Muqtada al Sadr, e i settori del Pc passati alla lotta armata. Tra i resistenti vi sono poi gruppi di nazionalisti arabi o di baathisti non riconducibili al passato regime come il «National Iraqi Commando Front», le «Iraqi resistence brigades», «Il fronte unito per la liberazione dell'Iraq», il «Segretariato generale per la liberazione dell'Iraq democratico».

Stefano Chiarini
Roma, 13 novembre 2003
da "Il Manifesto"