Luis Inacio "Lula" Da Silva, ex operaio, è il primo presidente di sinistra del Brasile.

La strada di Lula

lula vittoriaDetto Lula. Come segnato dal destino, ha vinto - anzi, stravinto - nel giorno stesso del suo compleanno. Luiz Ignacio da Silva detto Lula (cioè calamaro) è diventato presidente a 57 anni spaccati, al quarto tentativo. Ben riuscito. La Cnn manda in sequenza le immagini del Brasile in festa, i balli per le strade, le piazze inondate di folla e bandiere, la stella del Pt (partito dei lavoratori) che guizza, si innalza e vibra su migliaia di magliette, berretti, cartelli, striscioni.

E' vera festa. Lula l'inedito, lo strano, colui che non doveva vincere. L'arrabbiatissima aristocrazia del denaro, quell'1 per cento che detiene oltre il 15 per cento delle immense ricchezze del Brasile, non si dà pace che un ex operaio, una scalcinata ex tuta blu debba andare a sedere proprio là, nella reggia di Brasilia, a Palazzo del Planalto. Proprio nella poltrona che fu dell'imperatore Pedro II.

Lula dalle 9 dita (il mignolo glielo ha tranciato una presa quando aveva 18 anni) il 1° gennaio 2003, appena finita la transizione del presidente uscente Cardoso, siederà infatti proprio là. Dall'alto del suo 63 per cento di voti.

Il Vincitore Impossibile

Uno che non doveva vincere, ma che ha vinto. Uno che viene da lontano e che ha patito tutte le pene e le umiliazioni della povertà e della esclusione. Uno che la miseria l'ha guardata molto da vicino e l'ha patita sulla pelle. E questo vuol dir molto, moltissimo, in questo continente brasiliano dove la povertà è un ergastolo dalla nascita per oltre 50 milioni di abitanti (metà dei quali bambini).

E così l'hanno votato perché Lula è Lula. Perché non c'entra né tanto nè poco con quell'elite intellettuale previlegiata e borghese che in Brasile per tanti anni ha predicato bene e razzolato male; perché ha messo in cima al suo programma la cosa più semplice e umana, «voglio dare 3 pasti al giorno ai 40 milioni di brasiliani che oggi patiscono la fame». La cosa più semplice e umana, ma sino ad oggi irraggiungibile, in Brasile.

Il magnate George Soros ha già pronosticato il caos dopo la sua vittoria (dando per scontato che i nordamericani possono votare liberamente, ma non i brasiliani); ma lui Lula, l'ex tuta blu che ha fatto campagna elettorale in maglietta e ha percorso 3000 chilometri a bordo di un "pau de arara", il camion dal tetto di tela dei derelitti del sertao, è prudente, saggio, calmo. «Ho sempre fatto il sindacalista - ha dichiarato recentemente in una intervista - e so negoziare. Ho negoziato tutta la mia vita», ricordando il suo primo grande accordo concluso, riguardava l'industria automobilistica e risaliva al 1978.

Non farà miracoli, non potrà farli; e lo dice. Ma ha in mente quello, quello che ai George Soros dà terribilmente ai nervi: «Un Brazil decente», il leit motiv della sua propaganda elettorale. La Scommessa sui cui ha vinto. Venendo da lontano.

Una vita da operaio

«Una biografia imbarazzante», ha scritto qualcuno. E infatti è fuori dai canoni, per uno che arriva al potere. Di poverissima famiglia contadina, nato in quella specie di inferno in terra che è il sertao (il deserto) del Nordest, la sua vita è come un racconto di Dickens: otto fratelli e nessun padre (l'uomo se la squaglia lasciando moglie e figli abbandonati a se stessi), vive sulla strada, la scuola neanche la vede da lontano; piccolo analfabeta a 10 anni si dà da fare come lustrascarpe, a 12 porta a casa la sua prima paga, a 15 entra in fabbrica e studia da tornitore: sarà quello il suo unico "pezzo di carta" (ma si rifarà in carcere quando, arrestato sotto la dittatura militare, resterà per due anni nelle prigioni del Dops (la polizia politica) dove leggerà, studierà, «maturerà», dice lui stesso).

Ancora oggi vive a San Bernardo Do Campo, un quartiere popolare di San Paulo, dove a 27 anni, guidava gli scioperi delle tute blu. Nell'80 in una scuola di San Paolo nasce il Pt (Partito dei lavoratori). E comincia a correre la sua carriera politica. E' il candidato più votato (650 mila preferenze) alle elezioni per la assemblea costituente. Alle prime competizioni libere dopo la dittatura raccoglie 31 milioni di voti, ma perde contro Collor; ci riprova ancora nell'89 e nel '94, sempre battuto da quel Fernando Henrique Cardoso, che oggi è riuscito a sconfiggere. «Il nostro partito - dice - ha compiuto 22 anni. Essenzialmente ci siamo mantenuti intatti. Come allora, siamo a favore della distribuzione della ricchezza, della giustizia sociale, della lotta ai pregiudizi, a favore della democrazia».

E«siamo maturati». Oggi il Pt è il più grande partito di sinistra del più grande paese dell'America Latina (175 milioni di abitanti, il quinto paese del mondo), «oggi - dice sempre Lula - il Pt governa più di 50 milioni di brasiliani in cinque stati, 7 capitali e molte città con più di 200 mila abitanti».

Lula che viene da lontano. Oggi è sposato con Marisa, di origini italiane, ma la sua prima moglie muore di epatite perché non può curarsi; e a Bahia, là giunto nel corso della sua tornata elettorale, scoppia a piangere davanti ai 1500 lavoratori che sono venuti a salutarlo, 1500 dalle braccia troncate, finite dentro i micidiali ingranaggi del macchinario antidiluviano. «Il Brasile è uno dei paesi più ingiusti del mondo», accusa nei suoi discorsi. Al primo posto - dice -insieme alla riforma tributaria basata sull'equità, viene la riforma agraria, che «sarà portata avanti con il consenso dei lavoratori senza terra, dei sindacati e dei proprietari rurali. Non sarà necessaria nessuna occupazione di terre e nessuna violenza. Perché - dice - il Brasile possiede 90 milioni di ettari di terra improduttiva e possiamo distribuirla a tutte le persone che vogliono coltivarla».

Lula che viene da lontano. Lui lo sa, ha sulle spalle «il debito sociale più grande del mondo», il risarcimento dovuto a un Paese dove solo il 20 per cento della popolazione è inserita nella sua economia, dove il salario minimo non raggiunge i 60 dollari, la metà delle terre è nelle mani dell'1 per cento dei possidenti e gli indici di malaria, lebbra e Aids sono tra i più alti a livello mondiale.

La sfida da vincere

E Lula che viene da lontano ha sulle spalle anche l'eredità di un debito pubblico stratosferico, quei 260miliardi di dollari che possono stritolarlo. La sua ardua scommessa passa per queste due vie terribilmente strette e terribilmente ineludibili: dimensione sociale e dimensione economica del tutto inscindibili, nella nuova visione del presidente operaio.

I tecnocrati sono neri. «Dimostrerò che un tornitore meccanico può fare per questo paese quello che le elites non sono riuscite a fare», ha detto e ripetuto nei suoi comizi. I fautori del liberismo spinto sono neri. Lula il rosso, ex operaio senza titolo di studio, ha vinto denunciando «il comportamento predone» dell'economia gestita dalle multinazionali e dall'alta finanza, quella che inchioda l'America Latina ai suoi record nefasti - «il 43,8 per cento della popolazione è povera e il 18 per cento estremamente povera» -.

Notizie da Washington dicono che il partito di Bush è furioso e che certi ambienti Usa sono in fibrillazione: di Lula il rosso si temono, là nei pressi di Bush, le sue "relazioni pericolose", quelle con la Cuba di Castro, il Venezuela di Chavez, l'Ecuador di Gutierrez. E che c'è massimo allarme nel Fmi.

Lula lo sa. Anche in Italia non sono pochi a scrivere «Lula si gioca tutto». Lui lo sa. Non farà miracoli, Lula il rosso. Ma uno sicuramente l'ha già fatto: ha dimostrato che il pensiero unico si può interrompere, che il diktat Usa può essere fermato. Enorme.

Grazie, Lula.

Maria Rosa Calderoni
Roma, 29 ottobre 2002
da "Liberazione"