Dopo l'estradizione di Milosevic
Giustizia, due pesi e due misure

Se Zoran Djindjic, primo ministro serbo si è addormentato giovedì sera pensando di aver risolto la crisi istituzionale più grave dal rovesciamento di governo del 5 ottobre scorso, stamane ha avuto motivo per ricredersi. Forse, con la consegna di Slobodan Milosevic al Tribunale dell'Aja, ha acceso una miccia che potrebbe anche sconvolgere ulteriormente gli assetti della Jugoslavia, sia come governo che come federazione serbo-montenegrina.

Gli avvenimenti

Vediamo la successione degli avvenimenti che hanno portato a questa situazione e alla quale, perlopiù, ho avuto l'opportunità di assistere. Il 24 marzo, secondo anniversario dell'attacco Nato, il Partito Socialista Serbo, falcidiato dagli arresti dei dirigenti (250) e dal passaggio dei suoi faccendieri o pentiti sotto l'ala riabilitatrice della Dos (Opposizione Democratica Serba, al governo), organizza un convegno internazionale contro la minaccia di arresto di Milosevic. All'estradizione non si pensa neppure.

Il convegno richiama giuristi e personalità della politica e della cultura di fama internazionale e ottiene l'adesione di Ramsey Clark e di molti parlamentari russi e dell'est europeo.

Si conclude con una denuncia dell'illegalità dei tribunale dell'Aja.

Il tribunale dell'Aja e la Jugoslavia

Il tribunale dell'Aja è un tribunale creato dal Consiglio di Sicurezza, cui la Carta dell'Onu non attribuisce tale potere. Non ratificato da nessun governo, finanziato dagli Usa, che si autoregola con normative che violano qualsiasi principio giuridico: testimoni anonimi, detenzione preventiva senza limiti di tempo, "voci di popolo" ammesse come prove, la Nato, parte in causa, come polizia giudiziaria, le procuratrici Louise Arbour, prima, e Carla del Ponte, poi, che incriminano su scoperti suggerimenti statunitensi, rapimenti di imputati mediante blitz di commando Nato. In più, una parzialità spudorata: ogni denuncia di crimini Nato nei confronti della popolazione civile, bombardata in Jugoslavia, contaminata da chimica e uranio, decimata tra le minoranze in Kosovo, viene rigettata. Il rapporto tra imputati serbi e imputati croati, bosniaci o albanesi è di 200 a 10. Gli incriminati croati possono essere giudicati in patria.

Un milione di firme

Un documento finale che invita a firmare contro detenzione ed estradizione dell'ex-presidente, a prescindere dal giudizio politico sul suo operato, raccoglie in pochi giorni un milione di firme in tutto il mondo.

Nei giorni successivi i sostenitori di Milosevic riescono, per la prima volta dopo gli eventi di ottobre, a riempire la grande piazza della Repubblica a Belgrado. Compito non facile, vista l'aria di repressione e ostracismo che tira nei confronti dei sopravvissuti del precedente sistema.

Il tentativo di sequestro di marzo

Djindjic si rende conto che il tempo lavora contro di lui. Kostunica si dichiara contro l'estradizione. Tre giorni dopo un mio incontro con Milosevic (l'ultimo con un giornalista prima di arresto ed estradizione), ancora fiducioso e accanito accusatore della strategia Usa di distruzione della Jugoslavia, in puntuale coincidenza con l'ultimatum Usa per l'arresto «entro il 31 marzo, se no niente miliardi di prestito», uomini mascherati tentano di sequestrare Miosevic nella sua residenza e metterlo su un elicottero coni motori accesi.
Il colpo di mano fallisce per l'opposizione di una nutrita folla e per la minaccia dei militari di gnardia di usare le armi. Kostunica è all'estero.
Rientra e condurrà le trattative per un arresto regolare con tutte le garanzie del caso, che avviene allo scadere dell'ultimatum.

Gli avvenimenti di giugno

Torno a Belgrado a metà giugno per una nuova iniziativa del comitato contro l'estradizione, presieduto da Ramsey Clark e dal parlamentare e giurista bulgaro, Velko Valkanov, presidente dell'Unione Antifascista dei paesi dell'Est europeo.

Incontriamo in carcere un Milosevic sempre combattivo ma fortemente minato nella salute. Toma Fila capofila dei suoi 50 legali, tutti volontari, mi conferma che, dopo tre mesi di interrogatori di centinaia di testimoni, neanche una prova è emersa per corroborare l'accusa di "abuso di potere", l'unica finora mossagli. Fila teme per la vita del detenuto, visto che. dopo un infarto e con una pressione sui 200, gli sono negate le cure di specialisti di sua fiducia, il ricovero in ospedale e che Milosevic respinge le terapie disposte dai sanitari del tribunale.

Un'altra manifestazione raccoglie, a dispetto della possibilistica cifra ufficiale di "più di 5 mila", 25 mila manifestanti, che si recano in corteo fino alla prigione e tentano di divellere le canceliate. Individuo una maggioranza di operai, contadini, studenti, quel popolo che, a 27 mesi dalla fine della guerra, deve continuare a soppottare le sanzioni, vive all'87% con meno di due dollari al mese, cioè sotto il livello di povertà, registra una disoccupazione del 60% e un'inflazione dell'85%, aspetta la riapertura — o la ventilata promessa a mul tinazionali straniere, Zastava alla Peugeot — di fabbriche la cui ricostruzione o il cui funzionamento sono stati bloccati dopo il 5 ottobre.

L'industria jugoslava funziona al 16% della sua capacità e ricerche di centri locali denunciano effetti spaventosi della contaminazione chimica provocata dalle bombe:

8 mila nuovi casi di tumore a Pancevo, specie tra le donne, dalla fine dell'aggressione. Gli studenti protestano contro la quadruplicazione delle tasse universitarie.

Economisti e studiosi del Fmi, come Michael Chossudovski dell'Università di Ottawa, denunciano che i prestiti promessi dai creditori sono destinati esclusivamente a ripagare debiti e relativi interessi contratti fin dal 1992, sotto embargo, e sono condizionati alla privatizzazione di tutto e all'accesso alla ricostruzione e all'acquisto di società da parte di imprese euroamericane. Un primo "aiuto" del Fmi, di 150 milioni di dollari, ripaga un debito contratto da Belgrado con banche svizzere e norvegesi per restituire un prestito equivalente dello stesso Fmi.

Il resto è la cronaca di queste ultime ore, ma il dossier balcanico, aperto dall'embargo, proseguito con le bombe, con l'invasione, i pogrom albanesi e i ricatti finanziari, che gli Usa pensavano di chiudere con la consegna di Milosevic, è più aperto che mai, in Jugoslavia, come in quel remake che è la Macedonia smembrata da Uck-Nato.

Fulvio Grimaldi
Roma, 30 giugno 2001
da "Liberazione"