Uri Avnery, ex parlamentare israeliano e leader del movimento Gush Shalom, presenta il suo piano di pace con i palestinesi

80 tesi per un accordo di pace


La soluzione di un conflitto storico di tale durata può essere raggiunta solo se ognuna delle due parti si pone nella condizione di comprendere il mondo spirituale della nazione avversa, con la volontà di confrontarsi su un piano di parità


INDICE
  1. Premessa
  2. Le radici del conflitto
  3. Indipendenza e disastro
  4. "Uno stato ebraico"
  5. "La guerra dei sei giorni"
  6. Il processo di pace
  7. L'accordo di Oslo
  8. L'intifada El Aqsa

PREMESSAIndice

1. Il processo di pace è fallito, trascinando con sé buona parte del movimento pacifista israeliano.

2. Fattori contingenti, quali motivazioni personali o partitiche, fallimento di leadership, egoismi politici, sviluppi politici interni e internazionali, tutti questi fattori, per quanto importanti, sono solo schiuma che galleggia sulle onde, e non sono in grado di spiegare adeguatamente la dimensione del fallimento.

3. La vera spiegazione dev'essere cercata al di sotto della superficie, alle radici del conflitto storico tra le due nazioni.

4. La trattativa Madrid-Oslo è fallita perché le due parti inseguivano la realizzazione di obiettivi contrastanti.
5. Gli obiettivi delle due parti erano emanazione del nucleo più profondo dei loro interessi nazionali. Si erano formati dai loro diversi vissuti storici, dalla diversa visione del conflitto nel corso degli ultimi 120 anni. I vissuti storici degli Israeliani e dei Palestinesi sono in totale contraddizione, sia sul piano complessivo che nei singoli dettagli.

6. Sia i negoziatori che la classe dirigente israeliana, hanno agito ignorando totalmente il vissuto storico palestinese. Anche quando si sono mossi in un quadro di sincera ricerca di una soluzione, i loro sforzi erano destinati al fallimento, in quanto non erano in grado di capire i desideri, i traumi, le paure e le speranze del popolo palestinese. E per quanto tra le due parti non vi possa essere simmetria parago-
nabile, anche i Palestinesi si sono mossi con lo stesso atteggiamento.

7. La soluzione di un conflitto storico di tale durata può essere raggiunta solo se ognuna delle due parti si pone nella condizione di comprendere il mondo spirituale della nazione avversa, con la volontà di confrontarsi su un piano di parità. Un atteggiamento privo di sensibilità, condiscendente e prepotente, preclude ogni possibilità di soluzione negoziata.

8. Il governo Barak, che tante speranze aveva suscitato, era afflitto da un simile atteggiamento, e da questo deriva l'enorme baratro che si è aperto tra le promesse iniziali e la tragicità dei risultati.

9. Una parte significativa del pacifismo (definita anche come sinistra sionista) è portatrice di un simile atteggiamento, ed è perciò fallita insieme al governo che ha contribuito a sostenere.

10. Il ruolo primario di un nuovo pacifismo israeliano, pertanto, deve consistere nel liberarsi dei falsi miti e delle visioni unilaterali del conflitto. Questo non significa rifiutare in toto il vissuto storico israeliano per abbracciare quello palestinese. Significa invece ascoltare con mente aperta e comprendere le ragioni degli altri, per trovare confluenze tra i due vissuti storici.

11. Qualunque altro approccio non può che condurre ad un proseguimento del conflitto, con periodi di tranquillità e conciliazione, frequentemente interrotti da eruzioni di violenza tra le due nazioni e tra Israele ed il mondo arabo. E tenendo a mente la rapida evoluzione dei mezzi di distruzione di massa, nuovi cicli di ostilità potrebbero condurre alla distruzione di tutte le parti del conflitto.

LE RADICI DEL CONFLITTOIndice

12. Il conflitto israelo-palestinese è la continuazione dello scontro storico tra il movimento sionista ed il popolo arabo di Palestina, uno scontro iniziato alla fine del XIX secolo e che non ha ancora trovato soluzione.

13. Il movimento sionista è stato, essenzialmente, la reazione ebraica all'emergere e all'affermarsi dei nazionalismi europei, tutti ostili agli Ebrei. Essendo stati rifiutati dalle nazioni europee, alcuni Ebrei decisero di riconoscersi come nazione separata, seguendo il nuovo modello europeo, e di organizzare un proprio stato nazionale, dove essere padroni dei propri destini. Il principio della separazione, che è alla base dell'idea sionista, ha portato alla lunga il suo fardello di conseguenze. Il credo di base del sionismo, e cioè che una minoranza non può sopravvivere in uno stato nazionale omogeneo secondo il modello europeo, porterà alla pratica esclusione di qualsiasi minoranza nazionale dallo stato sionista che verrà alla luce cinquant'anni dopo.

14. Motivazioni storiche e religiose hanno condotto il sionismo in Palestina, e hanno determinato la decisione di erigere in quella terra lo stato ebraico. La massima che fu coniata era "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Tale massima non era solo frutto di ignoranza, ma derivava anche dall'arroganza allora prevalente in Europa verso popolazioni non europee.

15. La Palestina non era affatto spopolata, allora come in alcun altro momento storico. Vi abitavano mezzo milione di persone, al 90% arabi, che reagirono, com'era naturale, all'incursione di una nuova nazione nella loro terra.

16. Il movimento nazionalista arabo sorse quasi simultaneamente a quello Sionista, avendo inizialmente come obiettivo la liberazione dall'impero ottomano e, subito dopo, dai regimi coloniali che vi si erano sostituiti al termine della prima guerra mondiale. In questo quadro sorse un separato movimento nazionale Arabo Palestinese, dopo che gli inglesi avevano dato vita a uno stato chiamato "Palestina", e che ebbe tra i suoi obiettivi la lotta contro l'infiltrazione sionista.

17. Sin dalla fine del primo conflitto mondiale si è trascinata la lotta tra i due movimenti nazionalisti, quello ebreo-sionista e quello arabo-palestinese, ambedue perseguenti, sulla stessa terra, lo stesso obiettivo: la negazione dell'altro. E la situazione è rimasta a tutt'oggi invariata.

18. Con l'intensificarsi della persecuzione antiebraica in Europa, e con il progressivo chiudersi delle frontiere dei vari paesi del mondo agli ebrei che cercavano scampo dall'inferno, il movimento sionista guadagnò sempre più forza. E l'Olocausto, con i suoi sei milioni di vittime, dette ai sionisti la forza morale e politica per l'affermazione dello Stato di Israele.

19. Il popolo palestinese, che vedeva crescere la popolazione ebraica sulla sua terra, non comprendeva perché fosse suo compito pagare il prezzo per i crimini compiuti contro gli ebrei dagli europei, e si oppose violentemente a ulteriori immigrazioni ebraiche e all'acquisizione di terre da parte di ebrei.

20. Il rifiuto totale all'esistenza dell'altro come nazioneda parte di ognuno dei due popoli condusse fatalmente a percezioni false e distorte, che hanno messo radici profonde nella coscienza collettiva dei due popoli. E tali percezioni continuano ancora oggi a condizionare l'atteggiamento degli uni verso gli altri.

21. Gli arabi si sono convinti che gli ebrei siano stati impiantati sul loro territorio dall'imperialismo occidentale, al fine di soggiogare il mondo arabo e acquistare il controllo dei suoi tesori. Tale convinzione è stata rafforzata dal fatto che il movimento sionista ha cercato, e trovato, alleati nel campo occidentale, portando alla pratica convergenza tra gli interessi sionisti e quelli di forze imperialiste e colonialiste dirette contro il movimento nazionale arabo.

22. Gli ebrei, dal canto loro, si erano convinti che la resistenza araba contro le iniziative sioniste, intese a salvare gli ebrei dai massacri in Europa, fossero frutto della natura sanguinaria degli arabi e dell'Islam. Ai loro occhi i combattenti arabi erano "gangsters", e gli atti di resistenza armata erano definiti "rivolte".

(Per la verità, negli anni '20, il leader estremista sionista Ze'ev Jabotinsky fu pressoché l'unico a riconoscere l'inevitabilità della resistenza araba alla colonizzazione ebraica, giudicandola naturale e giustificata, in quanto tentativo di una popolazione "nativa" di opporsi a una invasione straniera. Jabotinsky riconobbe anche il fatto che gli arabi del territorio costituivano un'entità nazionale separata, e condannò i tentativi di corruzione nei confronti di leader arabi di altri paesi per mettere fine alla resistenza palestinese. Ma la conclusione di Jabotinsky fu comunque che era necessario erigere un "muro d'acciaio" contro gli arabi, e che la loro resistenza dovesse essere spezzata con la forza).

23. Questa totale contraddizione nella percezione dei fatti influisce su ogni aspetto del conflitto. Gli Ebrei, ad esempio, interpretarono la loro battaglia per il "Jewish Labor" come uno sforzo sociale e pro-
gressista avente l'obiettivo di trasformare una nazione di mercanti e speculatori in una di lavoratori e contadini. Gli arabi, invece, la vissero come un tentativo criminale per estrometterli dal mercato del lavoro e per creare, sulla loro terra, un'economia ebraica separata dove gli arabi non avessero posto.

24. I Sionisti erano orgogliosi della loro "Redenzione della terra". L'avevano acquistata a pieno prezzo con il denaro raccolto da sottoscrizioni di Ebrei in tutto il mondo. Gli "Olim" (i nuovi immigrati, letteralmente "pellegrini"), che erano stati intellettuali e mercanti nelle loro precedenti esistenze, adesso si guadagnavano da vivere con il sudore della fronte. Erano intimamente convinti di aver raggiunto tale risultato con mezzi pacifici, e senza toglier nulla a un solo arabo. Per gli arabi, invece, era una crudele cronaca di ruberie ed espulsioni: gli ebrei acquistavano la terra da ricchi possidenti arabi che non avevano in essa alcun interesse, e ne cacciavano con la forza i fellahin che, per generazioni, l'avevano lavorata ricavandone di che vivere. Per ottenere i propri obiettivi i sionisti avevano ingaggiato la polizia turca, prima, e quella britannica poi. Gli arabi sentivano, con disperazione, che la terra gli era stata tolta.

25. Contro la pretesa sionista di aver "trasformato il deserto in un giardino", gli arabi ricorrevano alle descrizioni dei viaggiatori europei che, per molti secoli, avevano descritto una Palestina popolata e fiorente, che nulla aveva da invidiare alle regioni vicine

INDIPENDENZA E DISASTROIndice

26. Il contrasto tra le due interpretazioni nazionali sfociò nella guerra del 1948, "Guerra di Indipendenza" o anche "Guerra di Liberazione" per gli ebrei, "El Naqba", il disastro, per gli arabi.

27. Con l'intensificarsi del conflitto nella regione, e con il crescente impatto psicologico dell'Olocausto, le Nazioni Unite decisero di dividere il paese in due stati, uno ebraico e uno arabo. Gerusalemme e dintorni sarebbe rimasta un'entità separata, sotto giurisdizione internazionale. Agli ebrei andava il 55% del territorio, incluso lo spopolato Negev.

28. Il movimento sionista accettò il piano di spartizione, convinto com'era che fosse di importanza cruciale ottenere un fermo riconoscimento della sovranità di Israele. Ma in riunioni a porte chiuse, Ben Gurion non nascose mai la sua intenzione di ampliare, alla prima opportunità, il territorio concesso agli ebrei. È questa la ragione per cui nella dichiarazione di indipendenza di Israele i confini non sono definiti e lo stato è a tutt'oggi privo di confini definitivi.

29. Il mondo arabo non accettò mai il piano di spartizione, che considerò un vile tentativo delle Nazioni Unite, allora essenzialmente un "Club" per i paesi occidentali e comunisti, di dividere un territorio che non ne faceva parte. Cedere la maggioranza del territorio a una minoranza ebraica, che rappresentava solo un terzo della popolazione, rese la cosa imperdonabile ai loro occhi.

30. La guerra avviata dagli arabi dopo il piano di spartizione fu, inevitabilmente, una guerra "etnica", il tipo di guerra in cui ognuna delle due parti cerca di accaparrarsi quanta più terra possibile e cacciarne la popolazione avversa. Un tipo di guerra (che più tardi verrà definita "pulizia etnica") che sempre comporta espulsioni e atrocità.

31. La guerra del '48 fu una diretta estensione del conflitto arabo-sionista. In quell'occasione ognuna delle due parti cercò di raggiungere i propri obiettivi. Per gli ebrei si trattava di stabilire uno stato nazionale omogeneo, quanto più grande possibile. Per gli arabi si trattava di sradicare l'entità ebrea sionista che si era stabilita in Palestina.

32. Ambedue i contendenti praticarono la pulizia etnica come parte integrante della loro azione. Ben pochi arabi erano rimasti nei territori controllati dagli ebrei, e ben pochi ebrei in quelli controllati dagli arabi. Tuttavia, dal momento che i territori passati sotto il controllo ebraico erano molto più vasti di quelli passati sotto controllo arabo, il risultato fu tutt'altro che equilibrato (le idee dello "scambio di popolazione" e del "trasferimento" erano sorte in campo sionista già negli anni '30. Nella realtà esse volevano dire espulsione della popolazione araba dal paese. D'altro canto, molti tra gli arabi erano convinti che gli ebrei dovessero tornare là da dove erano venuti).

33. Il mito dei "pochi contro i molti" è stato coltivato dagli ebrei per descrivere la resistenza di una comunità ebraica di 650.000 persone contro un mondo musulmano di oltre cento milioni. La comunità ebraica perse nel conflitto l'1% della propria popolazione. Il quadro dipinto dagli Arabi era naturalmente del tutto diverso: una popolazione araba frammentata, con nessuna vera leadership nazionale, senza un comando unificato delle sue scarse forze, con poche armi obsolete, si confrontava con una comunità ebraica estremamente ben organizzata e ben addestrata nell'uso delle armi. I paesi arabi confinanti tradirono le aspettative dei palestinesi, e quando finalmente intervennero con i loro eserciti, lo fecero in competizione tra di loro, senza coordinamento né piani comuni. Sia dal punto di vista sociale che militare, la capacità bellica israeliana era di gran lunga superiore a quella dei paesi arabi, che stavano a stento emergendo dall'epoca coloniale.

34. Secondo il piano delle Nazioni Unite, lo stato ebraico avrebbe dovuto includere una popolazione araba pari a circa il 40% del totale. Ma durante la guerra lo Stato ebraico si era espanso fino a occupare il 78% del territorio, e gli Arabi furono quasi completamente allontanati dai territori occupati. Le popolazioni arabe di Nazareth e pochi altri villaggi in Galilea erano rimaste quasi per caso; infatti, i villaggi del "Triangolo" erano stati ceduti a Israele come parte di un accordo con re Abdullah, e non potevano quindi esseri evacuati.

35. Nel corso della guerra 750.000 palestinesi furono sradicati. Alcuni avevano cercato scampo dai pericoli del conflitto, come sempre fanno le popolazioni civili in ogni guerra. Altri erano stati convinti ad andarsene da atti di terrorismo, come il massacro di Dir-Yassin. Altri ancora furono cacciati nel corso della pulizia etnica.
36. Di particolare rilevanza è il fatto che, dopo le espulsioni, le popolazioni non furono autorizzate a ritornare sulle loro terre, come sempre succede al termine di un conflitto. Al contrario, il nuovo Israele vide l'allontanamento degli arabi come una sorta di benedizione e si affrettò a distruggere totalmente 450 villaggi arabi. Nuovi villaggi ebrei furono costruiti sulle rovine, e ad essi furono assegnati nuovi nomi ebraici. Le case abbandonate nei centri urbani, furono invece assegnate a nuovi immigranti.

"UNO STATO EBRAICO"Indice

37. La sottoscrizione del cessate-il-fuoco alla fine della guerra del 1948 non condusse alla fine del conflitto, che fu invece sospinto a nuovi e più intensi livelli.

38. Il nuovo stato di Israele ha dedicato i suoi primi anni di esistenza al consolidamento del suo carattere nazionale omogeneo come "Stato Ebraico". Grandi estensioni di terra furono espropriate agli "assenti" (i rifugiati), a quelli ufficialmente designati come "presenti-assenti" (arabi che erano fisicamente rimasti in Israele, ma cui veniva rifiutata la cittadinanza), e persino ad arabi con cittadinanza israeliana, ai quali furono tolte la maggioranza delle terre. Su quelle terre fu creata una fitta rete di comunità ebraiche, ed ebrei immigrati furono invitati, ed a volte costretti, a venire in massa. Questo grande sforzo contribuì a fortificare grandemente lo stato in pochi anni.

39. Contemporaneamente lo stato condusse una vigorosa politica tendente a cancellare l'entità palestinese come entità nazionale. Con l'aiuto israeliano, il monarca trans-Giordano Abdullah assunse il controllo della Riva Occidentale, e a partire da quel momento vi è, di fatto, una garanzia militare israeliana sulla esistenza del regno di Giordania.

40. La ragione che è alle spalle del trattato tra Israele e la monarchia Hashemita, che dura ormai da tre generazioni, è stata la volontà di prevenire la formazione di uno stato arabo-palestinese indipendente, che, allora come ora, era considerato di ostacolo alla realizzazione del progetto sionista.

41. Un cambiamento storico nell'assetto palestinese si realizzò alla fine degli anni '50, quando Yasser Arafat e i suoi compagni fondarono il movimento Fatah, avente come obiettivo l'affrancamento dei movimenti di liberazione palestinesi dalla tutela degli altri governi arabi. Non è un caso se il movimento si affermò dopo il fallimento dell'ideale pan-Arabo, portato avanti soprattutto da Gamal Abd-el-Nasser. Fino a quel momento, molti palestinesi avevano sperato di poter essere riassorbiti in una grande nazione pan-araba. Quando il grande sogno venne meno, la separata identità nazionale palestinese riprese ad emergere.

42. L'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), era stata creata da Gamal Abd-el-Nasser al fine di prevenire azioni autonome palestinesi che rischiassero di coinvolgerlo in un indesiderato conflitto con Israele. Obiettivo dell'organizzazione era quindi quello di imporre l'autorità egiziana sui palestinesi. Dopo la sconfitta araba nella guerra del 1967, tuttavia, al-Fatah, guidata da Yasser Arafat, assunse il controllo del Olp, ed è rimasta da quel momento la sola rappresentanza del popolo palestinese.

"LA GUERRA DEI SEI GIORNI"Indice

43. La guerra del Giugno 1967 è vista in modo molto diverso dalle due parti, come succede per tutti gli avvenimenti degli ultimi 120 anni. Secondo il mito israeliano, si è trattato di una disperata guerra difensiva, che ha miracolosamente lasciato ampi territori in mani israeliane. Secondo il mito palestinese, i leader di Egitto, Siria e Giordania sono caduti in una trappola preparata dagli israeliani per appropriarsi di quello che era rimasto della Palestina.

44. Molti israeliani pensano che la "Guerra dei Sei Giorni" sia la radice di tutti i mali, e che solo dopo di essa il pacifico e progressista Israele si sia trasformato in uno strumento di conquista e occupazione. Questa convinzione consente loro di credere nella purezza del sionismo e dello stato di Israele fino a quel punto della storia, preservando i loro vecchi miti. Ma non vi è alcuna verità in questa leggenda.

45. La guerra del 1967 è stata una ulteriore fase della lotta tra i due movimenti nazionali. Non ne ha cambiato l'essenza: ha solo cambiato le circostanze. Gli obiettivi essenziali del movimento sionista, stato ebraico, espansione e insediamenti, avevano già fatto molta strada. Le circostanze particolari rendevano la pulizia etnica impossibile in questo conflitto, ma ciò non impedì che centinaia di migliaia di palestinesi venissero espulsi.

46. Il piano di spartizione del 1947 aveva assegnato a Israele il 55% del territorio (Palestina); un altro 23% era stato occupato nella guerra del 1948, e ora anche il rimanente 22% al di là della cosiddetta "Linea Verde" (la linea di armistizio precedente al 1967) era caduto in mani israeliane. Inavvertitamente, nel 1967 Israele aveva riunificato la popolazione palestinese, inclusi molti rifugiati, sotto il proprio controllo.

47. Subito dopo la guerra si avviò il movimento per gli insediamenti. Quasi ogni fazione politica del paese partecipò al Movimento, dai messianico-nazionalisti di "Gush Emunin" ai laburisti del "movimento unito Kibbutz". I primi insediamenti ricevettero ampio supporto dalla maggior parte dei politici, da Yigal Alon (l'insediamento di Hebron) a Shimon Peres (l'insediamento Kdumim).

48. Il fatto che tutti i governi israeliani abbiano coltivato e fatto avanzare gli insediamenti, anche se in misura diversa, dimostra che l'aspirazione agli insedia-
menti non era limitata ad alcuno specifico settore ideologico, ma estesa all'intero movimento sionista. L'impressione che è stata creata, quella di una piccola minoranza che guida il movimento per gli insediamenti, è illusoria. Solo lo sforzo consolidato di tutte le Agenzie Governative a partire dal 1967 può aver prodotto le infrastrutture legislative, strategiche e finanziarie necessarie a uno sforzo così ingente e di lunga durata.

49. Le infrastrutture legislative incorporano il fuorviante assunto che l'Autorità di Occupazione sia proprietaria delle "terre governative", nonostante queste siano la riserva territoriale essenziale delle popolazioni palestinesi. È assolutamente evidente come il movimento per gli insediamenti contravvenga alle leggi internazionali.

50. La disputa tra i sostenitori del "Grande Israele" e i sostenitori del "compromesso territoriale" è solo una disputa sul modo in cui raggiungere la fondamentale aspirazione sionista: uno stato ebraico omogeneo sul territorio più vasto possibile. I sostenitori del "compromesso" enfa-
tizzano l'aspetto demografico, e vogliono prevenire l'inclusione di popolazione palestinese nello stato.
I sostenitori della "Grande Israele" pongono l'accento sull'aspetto geografico e credono (privatamente o in pubblico) che sia possibile espellere la popolazione non ebraica dal paese (nome in codice: trasferimento).

51. Lo Stato Maggiore dell'esercito israeliano ha giocato un ruolo importante nella pianificazione e nella costruzione degli insediamenti. Ne ha creato la mappa (identificata con Ariel Sharon): blocchi di insediamenti e strade di collegamento, laterali e longitudinali, così che la Riva Occidentale e la Striscia di Gaza siano frantumate in piccoli pezzi, e i palestinesi siano imprigionati in enclave isolate, ognuna circondata da insediamenti e forze di occupazione.

52. I palestinesi hanno impiegato diversi metodi di resistenza, principalmente raid attraverso i confini giordano e libanese, e attacchi all'interno di Israele e ovunque nel mondo. Questi attacchi vengono definiti "terroristici" dagli israeliani, mentre i palestinesi li considerano atti legittimi di resistenza da parte di una nazione occupata. La leadership Olp guidata da Yasser Arafat è stata a lungo considerata terroristica dagli israeliani, ma viene oggi internazionalmente riconosciuta come la sola legittima rappresentante del popolo palestinese.

53. Quando i Palestinesi si resero conto che queste azioni non avevano effetto sulla politica degli insediamenti, che continuava letteralmente a togliere la terra da sotto i loro piedi, alla fine del 1987 lanciarono l'Intifada, una radicale rivolta di tutti i settori della popolazione. Durante tale Intifada, 1500 Palestinesi persero la vita, e tra questi centinaia di bambini, un numero enormemente superiore a quello delle perdite israeliane.

IL PROCESSO DI PACEIndice

54. La guerra dell'ottobre 1973, iniziata con la sorprendente vittoria delle forze egiziane e siriane, e culminata con la loro sconfitta, convinse Yasser Arafat e i suoi più vicini alleati che non esiste una via militare per raggiungere gli obiettivi nazionali palestinesi. Fu pertanto deciso di avviarsi sul sentiero della trattativa con Israele, con l'obiettivo di raggiungere almeno alcuni obiettivi parziali attraverso il negoziato.

55. Al fine di avviare questa nuova politica, Arafat creò per la prima volta contatti con personalità israeliane in grado di avere un impatto sull'opinione pubblica e sulle politiche del governo di Israele. I suoi emissari (Said Hammami e Issam Sartawi) si incontrarono con alcune figure pubbliche, quei pionieri che nel 1975 fondarono il "Consiglio Israeliano per la Pace Israelo-Palestinese".

56. Questi contatti, insieme al crescente impatto che l'Intifada aveva su Israele, all'abbandono giordano della riva occidentale ed alle nuove condizioni internazionali (il collasso del blocco comunista, la guerra del Golfo) portarono alla Conferenza di Madrid e, più tardi, all'accordo di Oslo.

L'ACCORDO DI OSLOIndice

57. L'accordo di Oslo aveva aspetti positivi e negativi.

58. Tra quelli positivi, c'è il fatto che Israele fu portato per la prima volta a riconoscere il popolo palestinese e la sua leadership nazionale, e che il movimento nazionale palestinese fu portato a riconoscere l'esistenza di Israele. In questo senso, l'accordo e lo scambio di lettere che lo precedette furono di straordinaria importanza storica.

59. In effetti, l'accordo diede al movimento nazionale palestine-
se una base territoriale in terra palestinese, la struttura di uno Stato "in fieri" e delle forze armate - fatti questi che avrebbero avuto un ruolo rilevante nella futura azione palestinese. Per Israele, l'accordo apriva le porte del mondo arabo, e poneva fine agli attacchi palestinesi - almeno fino a che l'accordo ebbe forza.

60. Ma la debolezza degli accordi risiedeva nel fatto che ambedue le parti speravano, con essi, di raggiungere obiettivi completamente diversi da quelli dichiarati.
Per i palestinesi si trattava di un accordo temporaneo che avrebbe aperto la strada alla fine dell'occupazione e consentito l'affermazione dello Stato palestinese su tutti i territori occupati. Gli israeliani invece lo videro come un mezzo per mantenere il controllo su vasti settori della Riva Occidentale e della Striscia di Gaza, con l'autogoverno palestinese nel ruolo di forza di polizia ausiliaria a protezione di Israele e degli insediamenti.

61. È per questo che Oslo non rappresentò l'inizio del processo per porre fine al conflitto, quanto piuttosto una nuova fase del conflitto stesso.

62. Proprio perché le aspettative delle due parti erano così divergenti, e ognuna rimase così fortemente vincolata al proprio vissuto nazionale, ogni singolo passo dell'accordo fu interpretato in maniera differente. Infine, molti passi dell'accordo non furono rispettati, da Israele in primo luogo (il terzo emendamento, i quattro passaggi di sicurezza e altro).

63. Per tutto il periodo del "processo di Oslo" Israele proseguì la vigorosa espansione degli insediamenti, creandone di nuovi sotto varie forme, allargando quelli esistenti, creando una rete elaborata di strade di comunicazione, espropriando terre, demolendo abitazioni e sradicando coltivazioni. I palestinesi, dal canto loro, usarono questo periodo per rafforzarsi, sia all'interno che fuori del quadro degli accordi. Nella realtà, il confronto storico proseguiva sotto la forma di negoziato, il "processo di pace", divenuto una sorta di pace per procura.

64. In contrasto con la sua immagine, che si affermò dopo l'assassinio, Yitzhak Rabin mantenne il conflitto vivo "in campo", mentre al contempo cercava di guidare il processo politico verso il raggiungimento della pace secondo i termini israeliani. Come discepolo dell'esperienza sionista, e avendone accettato tutti i miti, Rabin soffriva di dissonanza cognitiva, quando le sue speranze di pace si scontravano con la sua concezione del mondo. Solo alla fine della sua vita, a quanto sembra, aveva cominciato ad nteriorizzare alcuni elementi del vissuto storico palestinese.

65. Il caso di Shimon Peres è ancora più grave. Si è infatti creato una immagine internazionale di uomo di pace, ed ha persino ristrutturato il proprio linguaggio per riflettere tale immagine ("il nuovo Medio Oriente") pur rimanendo nel profondo un tradizionale falco sionista. Questa realtà è apparsa chiaramente nel breve e violento periodo durante il quale è stato primo ministro dopo l'assassinio di Rabin, e ancor più nel suo attuale ruolo di portavoce e apologista di Sharon.

66. Ma la più chiara espressione del dilemma israeliano è stata fornita da Ehud Barak, giunto al potere assolutamente convinto della sua capacità di sciogliere il nodo gordiano del conflitto storico, con un solo drammatico colpo, alla maniera di Alessandro il Grande. Barak si è affacciato al problema nella più totale ignoranza del vissuto palestinese, e con totale disprezzo per la sua importanza. Barak ha presentato le sue proposte come ultimatum, e si è mostrato sorpreso e risentito per il loro rifiuto.

67. Agli occhi suoi e di larga parte dell'opinione pubblica israeliana, Barak ha tentato ogni strada e fatto ai palestinesi offerte più generose di qualsiasi altro primo ministro. In cambio, si attendeva dai palestinesi la sottoscrizione della fine del conflitto. I Palestinesi hanno invece percepito le sue proposte come un'arrogante pretesa, dal momento che ciò che Barak chiedeva era la rinuncia alle loro aspirazioni nazionali fondamentali, quale il diritto al ritorno nei territori e la sovranità su Gerusalemme Est e la spianata delle Moschee. Inoltre, mentre Barak presentava le richieste di annessione come marginali arrotondamenti territoriali (i "blocchi di insedia-
menti"), secondo i calcoli palestinesi queste rappresentavano il 22% delle terre oltre la linea verde.

68. Nella prospettiva palestinese, essi avevano già accordato il compromesso decisivo, accettando di stabilire il proprio Stato all'interno della Linea Verde, cioè in un mero 22% della loro patria storica. E a quel punto potevano solo accettare dei marginali spostamenti di confine in un contesto di scambi territoriali. Il tradizionale atteggiamento israeliano, invece, è che i confini raggiunti nella guerra del 1948 sono un fatto acquisito che non può più essere argomento di discussione, e che ogni compromesso deve invece incentrarsi sul rimanente 22% di territorio.

69. Come molti altri termini e concetti, la parola "concessione" assume significati diversi a seconda delle parti. Per i palestinesi, la convinzione è che loro hanno già concesso il 78% della loro terra, quando hanno accettato di accontentarsi del rimanente 22%. Gli israeliani, invece, credono di concedere qualcosa quando si dichiarano disposti a "cedere" parte di quel 22% (la riva occidentale e la striscia di Gaza).

70. Il summit di Camp David, nell'estate del 2000, imposto ad Arafat contro il suo volere, era prematuro e ha portato la situazione al parossismo. Le pretese di Barak, presentate al summit come proposte di Clinton, prevedevano che i palestinesi accettassero la fine del conflitto rinunciando al diritto al ritorno ed al ritorno stesso. Che accettassero complicate soluzioni per Gerusalemme Est e la Spianata delle Moschee, senza in realtà ottenerne la sovranità. Che accettassero ampie annessioni territoriali nella riva occidentale e nella striscia di Gaza, insieme alla presenza militare israeliana in altre grandi aree, nonché il controllo israeliano sui confini che separano lo stato palestinese dal resto del mondo. Ma nessun leader palestinese accetterebbe mai di sottoscrivere un simile accordo, e così il summit si è risolto in un fallimento e nella fine delle carriere di Clinton e di Barak.

L'INTIFADA EL AQSAIndice

71. Il fallimento del summit, il venir meno di ogni speranza per il raggiungimento di un accordo e il sostegno incondizionato dell'America a Israele, hanno portato inevitabilemnte a una nuova fase di confronto violento, che si è meritata il titolo di Aqsa Intifada. Per i palestinesi, questa è la giustificata rivolta nazionale contro il prolungarsi dell'occupazione, per la quale non si riesce a vedere un termine e che sta materialmente, giorno dopo giorno, sottraendo territori. Per gli israeliani si tratta di un'esplosione di terrorismo sanguinario. I suoi attori sono eroi nazionali per i palestinesi, criminali che non meritano alcuna pietà per gli israeliani.

72. I mezzi di informazione ufficiali israeliani non usano più il termine "insedia-
menti", quanto piuttosto quello di "residenti", il che comporta che ogni attacco contro di essi si trasformi in un crimine contro dei civili. I palestinesi considerano i coloni come l'avanguardia di una pericolosa forza nemica, che ha come obiettivo di privarli delle loro terre, e che deve pertanto essere ricacciata.

73. Gran parte dello schieramento pacifista israeliano è crollato nel corso della Aqsa Intifada dimostrando che molte delle sue convinzioni hanno piedi di argilla. Soprattutto dopo che "Barak ha tentato ogni strada e fatto ai palestinesi offerte più generose di qualsiasi altro primo ministro", l'atteggiamento palestinese è apparso incomprensibile a quella parte dello schieramento pacifista che non ha mai rinunciato al vissuto storico sionista, e non ha interiorizzato il fatto che esiste anche un vissuto palestinese. La sola spiegazione che è rimasta per costoro è che i pale-
stinesi hanno tradito il movimento pacifista israeliano, che non hanno mai avuto la vera intenzione di raggiungere la pace e che il loro vero proposito è di ricacciare in mare gli ebrei, come ha sempre affermato la destra sionista.

74. È così venuta meno la linea di demarcazione tra sionismo di destra e di sinistra. I leader del partito laburista si sono uniti al governo Sharon e ne sono diventati i più efficaci apologeti (Shimon Peres) e persino l'opposizione formale di sinistra (Yossi Sarid) vi ha preso parte. Una prova ulteriore che l'interpretazione sionista della realtà è l'unico cemento in grado di ricomporre le sfaccettature del sistema politico israeliano, rendendo insignificanti le distinzioni tra Rehavam Zeevi ed Avraham Burg, tra Yitzhak Levi e Yossi Sarid.

75. Vi è un evidente declino nel desiderio palestinese di riaprire il dialogo con lo schieramento pacifista israeliano, conseguenza delle delusioni ricevute dal "governo di sinistra", che tante speranze aveva suscitato dopo gli anni di Netanyahu; e conseguenza anche del fatto che, ad eccezione di piccoli gruppi pacifisti radicali, non si è sentita alcuna voce di dissenso contro la reazione brutale delle forze di occupazione. La tendenza a serrare i ranghi, tipica di ogni nazione in una guerra di liberazione, apre la strada alle forze più estremiste, sia nazionaliste che religiose, dello schieramento palestinese, con il possibile veto a ogni tentativo di cooperazione israelo-palestinese.

76. Il crollo del vecchio schieramento pacifista richiede la creazione di una nuova struttura, che sia realista, aggiornata, forte ed efficace, in grado di influenzare l'opinione pubblica e capace di mettere sul tavolo della discussione una completa revisione dei vecchi assiomi, al fine di influenzare un vero cambiamento nel sistema politico israeliano.

77. A questo fine, il nuovo schieramento pacifista deve essere in grado di portare l'opinione pubblica a un riesame del vissuto storico nazionale, e di liberarlo dei suoi falsi miti. Deve sforzarsi di unificare le visioni storiche di ambedue i popoli in una singola "narrazione", libera da pregiudizi storici, e che sia accettabile per ambedue le parti.

78. Contemporaneamente, deve fare opera di educazione nei confronti del popolo di Israele per far comprendere che, insieme ai bellissimi e positivi aspetti delle imprese sioniste, una terribile ingiustizia è stata compiuta ai danni dei palestinesi. Questa ingiustizia, che è culminata con la "Naqba", ci obbliga ad assumercene la responsabilità e a correggerla per quanto possibile.

79. Con una nuova comprensione del passato e del presente, il nuovo schieramento pacifista deve formulare un piano di pace basato sui seguenti principi:

  1. La creazione di un libero e indipendente stato palestinese a fianco di quello israeliano.
  2. La Linea Verde sarà il confine tra i due stati. Limitati scambi territoriali possono aver luogo, purché concordati dalle due parti.
  3. Gli insediamenti israeliani verranno evacuati dal territorio dello stato palestinese.
  4. Il confine tra i due stati sarà aperto al movimento di beni e persone, sulla base di accordi mutuamente concordati.
  5. Gerusalemme sarà la capitale dei due Stati: Gerusalemme Ovest capitale di Israele e Gerusalemme Est capitale della Palestina. Lo stato palestinese avrà piena sovranità su Gerusalemme Est, così come su Haram Al-Sharif (la montagna del Tempio). Lo stato di Israele avrà piena sovranità su Gerusalemme Ovest, incluso il Muro Occidentale e il quartiere ebreo. Ambedue gli stati raggiungeranno un accordo sulla unità fisica e municipale della città.
  6. Israele riconoscerà, in linea di principio, il diritto palestinese al ritorno come diritto umano inalienabile. La soluzione pratica al problema dovrà discendere da accordi basati su considerazioni giuste, eque e pratiche, e includerà il ritorno al territorio dello stato di Palestina, il ritorno allo Stato di Israele e le compensazioni.
  7. Le risorse idriche verranno controllate congiuntamente e distribuite secondo accordo, in modo equo e paritetico.
  8. Un accordo di sicurezza tra i due Stati assicurerà ambedue, tenendo in considerazione le specifiche esigenze sia di Israele che della Palestina.
  9. Israele e la Palestina coopereranno con altri stati della regione, per stabilire una comunità medio-orientale sul modello dell'Unione Europea.

80. La sottoscrizione di un accordo di pace e la sua onesta attuazione in buona fede porterà a una storica riconciliazione tra le due nazioni, basata su equità, cooperazione e rispetto reciproco.

Indice
Uri Avneri
Israele, 31 dicembre 2001