Chavez aveva intenzione di bloccare ogni tipo tentativo di privatizzazione

Golpe petrolifero

Principale fornitore di petrolio degli Stati Uniti, il Venezuela è il paese cardine dell'integrazione del continente latino americano

Sarà un caso ma un golpe nel quinto produttore mondiale di petrolio proprio in mezzo alla crisi mediorientale dà da pensare. E di fatto, il petrolio venezuelano è sempre stato al centro degli interessi statunitensi. Nell'ultimo rapporto sulla Politica Energetica Nazionale della Casa Bianca si sottolinea la crescente integrazione dell'industria energetica del Venezuela con quella statunitense: "La crescita degli investimenti internazionali nel settore energetico del Venezuela, particolarmente nelle sue abbondanti risorse petrolifere, stanno aumentando la capacità del paese di andare incontro ai propri obiettivi di sviluppo e di tenere il passo con il mercato energetico mondiale. Il Venezuela" continua il documento "sta anche lavorando alla liberalizzazione del settore del gas naturale, a sua volta destinata ad aumentare gli investimenti stranieri per espandere la produzione venezuelana". Se questo era il programma dell'ammistrazione Bush alcune delle riforme proposte da Chavez, non potevano non dare fastidio al colosso americano e alla lobby del petrolio.

Il 13,4 in più

Sono passati i bei tempi in cui ci volevano le nazionalizzazioni per scatenare un golpe. Nell'era del mercato globale i margini sono molto più stretti. Sicuramente, a compattare l'eterogeneo fronte di industriali, commercianti e latifondisti che hanno affossato Chavez, è stato il pericolo costituito dall'entrata in vigore di molte delle 49 leggi proposte dal presidente, come quella volta a ridurre la concentrazione dell'80 per cento delle proprietà agrarie nelle mani di appena il 2 per cento della popolazione, che avrebbe duramente colpito i latifondisti.

Indubbiamente, però, era la "legge del petrolio", destinata a frustrare i desideri di privatizzazione tanto delle imprese petrolifere straniere quanto delle imprese neoliberiste locali, a infastidire maggiormente gli Usa. Secondo la nuova legge le imprese petrolifere avrebbero dovuto pagare delle royalties più elevate, passando da un ben misero 16,6 per cento al 30, e la presenza pubblica nel settore sarebbe diventata ingombrante con l'obbligo di assegnare allo Stato almeno il 51 per cento dei capitali di tali imprese.

Fino a oggi Washington, pur non nascondendo il suo fastidio per la presidenza di Hugo Chavez, non considerava il colpo di stato come uno strumento accettabile per la sua estromissione. Per gli analisti indipendenti non è però da escludere che la crisi in Medio Oriente, e soprattutto l'annuncio della sospensione di un mese delle forniture dall'Iraq, non abbia fatto rapidamente cambiare idea al potente amico amerikano. A questo bisogna aggiungere la disputa contrattuale con il Messico, e il conseguente blocco delle forniture.

L'integrazione del continente latino-americano, sempre più cortile di casa Usa, dal punto di vista energetico ha nel Venezuela un cardine importantissimo. Nel primo Summit dell'Americas Hemispheric Energy, che vede i due paesi co-coordinatori dell'iniziativa, i ministri dell'energia hanno lavorato all'integrazione del mercato energetico continentale. Lavoro proseguito a Quebec City dove, mentre fuori si scatenava la polizia canadese, dentro ai palazzi si andava a comporre un tassello importante dell'Accordo sul libero commercio delle Americhe, riguardante appunto le risorse petrolifere del Centro e del Sud America.

Gli esperti discutono - e litigano - sulla questione dell'esaurimento del petrolio almeno da ottant'anni. L'esaurimento delle scorte è stato annunciato per la prima volta negli anni '20 dal geologo George Otis Smith, che stimava appena altri vent'anni di autonomia per il pianeta. Come si è visto le cose non sono andate in questo modo: la scoperta di nuovi giacimenti, ma soprattutto gli enormi progressi tecnologici dell'industria estrattiva, hanno consentito di tenere il passo con una produzione che è praticamente raddoppiata ogni dieci anni. Ma, scienziati a parte, la questione delle riserve petrolifere è un'arma geo-politica fondamentale in mano ai politici. L'ha dimostrato Bush lanciando, nel maggio scorso, un messaggio forte e chiaro: "stiamo esaurendo l'energia in America". E lui di petrolio se ne intende.

Enrongolpe?

A proposito degli affari della famiglia Bush salta agli occhi il ruolo giocato dalla Enron negli affari interni del Venezuela. Nel 1993 la Export-Import Bank statunitense, insieme alla francese COFACE e all'italiana SACE finanziarono, con 290 milioni di dollari, gli impianti venezuelani per l'estrazione del gas naturale, la metà dei quali era saldamente in mano Enron. Gli impianti, al 50 per cento di proprietà della transnazionale, furono finanziati di nuovo nel 1998 con ben 400 milioni di dollari provenienti dalla Overseas Private Investment Corporation, altra banca d'investimento statunitense, e di nuovo nel 2000 con altri 65 milioni di dollari della Export-Import Bank.

Se il ruolo della Enron nell'ondata di privatizzazioni che ha investito l'America latina è cosa ben nota, gli scandali relativi alla pratica delle special purpose entities ideate per occultare perdite e pagare tangenti è finita in tribunale solo negli Stati Uniti. I casi scoppiati in Brasile, Bolivia, Venezuela Colombia e Argentina sono stati rapidamente insabbiati. In alcuni di questi scandali, come quello venuto fuori in Argentina nel '98, è emerso con chiarezza il patto di ferro fra la transnazionale e W. Bush, che non ha esitato a esercitare pressioni dirette sui rappresentanti del governo di allora per dare il via libera alla Enron, come è stato reso noto dal ministro ai Lavori pubblici di allora, Rodolfo Terragno.

Sabina Morandi
Fonti: Il centro di documentazione del Transnational Resource & Action Center
e italy.indymedia.org
Roma, 13 aprile 2002
da "Liberazione"